Expo 2015: noi sappiamo e non ci stiamo!

noExpo
Noi sappiamo perché i politici lombardi e nazionali hanno concepito Expo 2015.
Noi sappiamo il movente che li ha mossi e che costituisce la causa del loro speculativo progetto; non a caso Expo è una S.p.a. il cui scopo è il massimo profitto.
Noi sappiamo quanta devastazione ambientale Expo 2015 ha arrecato al verde lombardo e al tessuto agricolo del territorio: 1.700.000 mq di superficie per gli stand, 2.100.000 mq di superficie per strutture di servizio e supporto sull’area ex Alfa Romeo di Arese.
Noi sappiamo quanto maggiore ancora tale scempio sarebbe stato se i movimenti spontaneamente costituitisi non si fossero opposti alla realizzazione di opere ulteriori scriteriate e distruttive.
Noi sappiamo quali politici e quali società – anche cooperative, frutto abusivo ed avvelenato di un’antica e nobile tradizione alternativa e solidaristica – da Expo 2015 hanno tratto ingenti profitti.
Noi sappiamo che Expo 2015 è una manifestazione oggettivamente inutile in un’epoca in cui tutti possono vedere – nel lampo di un clic – oggetti e luoghi dall’altro lato del globo.
Noi sappiamo la speculazione si abbatterà sul territorio una volta terminato Expo 2015.
Noi sappiamo che Expo 2015 rappresenta un retorico ricatto perché con la scusa di salvaguardare un malsano “orgoglio nazionale” si vuole anestetizzare la coscienza critica dei cittadini perché nessuno s’indigni a fronte dello sperpero di ingenti risorse pubbliche e della corruzione sottesa a tale flusso di denaro.
Noi sappiamo che a causa di Expo 2015 soldi pubblici sono stati sottratti a spese sociali di primaria necessità e rilevanza.
Noi sappiamo che Expo 2015 costituisce un precedente pericoloso ed un allarmante esperimento di ingegneria sociale perché – per la prima volta – giovani disoccupati verranno utilizzati come cavie per un lavoro gratuito contrabbandato come “opportunità” di volontariato e così dagli stessi accettato per disperata illusione di un fantomatico “ritorno” curriculare.
Noi sappiamo che – a causa di questo – Expo 2015 costituirà un esperimento di macelleria sociale ripetibile in un prossimo futuro.
Noi sappiamo che Expo 2015 è una ignobile vetrina in cui un tema drammatico come quello della “Fame nel Mondo” viene spudoratamente sfruttato al fine di precostituirsi un alibi morale proprio da quei soggetti economici che di tale tragedia sono la causa principale.
Noi sappiamo che su questo punto l’ipocrisia di Expo 2015 raggiungerà livelli intollerabili anche alla luce del fatto che dietro allo slogan “Nutrire il pianeta” si nascondono proprio le stesse multinazionali che da decenni il pianeta lo sfruttano, lo affamano o lo nutrono di cibo di dubbio valore nutritivo e di sicura insostenibilità ambientale.
Noi sappiamo che Expo 2015 è l’occasione attesa dalle Corporations per sferrare un ulteriore attacco ai beni comuni ai diritti ed alla salute dei cittadini (la stampa ha riportato il caso di Uber – presente in Expo 2015 – che ha svolto opera di sostanziale crumiraggio proponendo corse gratuite in occasione dello sciopero dei lavoratori del trasporto pubblico locale contro contro il Jobs Act da parte dei sindacati dei trasporti locali; poi c’è ManPower – che proprio dal Jobs Act trarrà ingenti profitti (fonte: Il Sole 24 ore) – società che gestisce il lavoro gratuito entro Expo 2015; poi ancora sempre le grandi Corporations – che puntano, a breve, e grazie al trattato neoliberista TTIP in fase di negoziazione – ad invadere l’Europa con OGM; e per chiudere non mancano neppure le onnipresenti società alimentari italiane – vecchie e nuove – che sfruttano anch’esse la precarietà lavorativa dei giovani come regola del proprio sistema “vincente”.
Noi sappiamo che Expo 2015 sfornerà un documento (la c.d. “Carta di Milano”) totalmente inutile, privo di rilevanza e grondante di retorica, buono solo ad imbonire le coscienze degli sprovveduti; e questo quando – a ben vedere – presso le Nazioni Unite già esistono organismi istituzionalmente deputati ad occuparsi del tema/slogan di Expo 2015.
Noi sappiamo che Expo 2015 sarà l’occasione tanto attesa dalla classe politica italiana – ed in primis dal capo del governo, soggetto che più di tutti ha devastato i diritti fondamentali dei cittadini e dei lavoratori, lo stato sociale, l’ambiente (v. il decreto trivella selvaggia), ha dissipato pubbliche risorse in missioni militari, nei caccia-bombardieri F 35 progettati per il first strike nucleare, in dannose ed inutili opere (come il TAV Torino-Lione) per lucrare consenso mediatico passeggiando lungo una passerella che i media italiani – addomesticati da milionarie elargizioni ricevute gratuitamente proprio da Expo 2015 – saranno solerti nello stendere con propagandistica genuflessione, degna del ventennio più nero (da intendersi come tale non solo quello berlusconiano, ma pure quello totalitario dell'”uomo solo al comando”).

Noi sappiamo cosa EXPO 2015 è in realtà.
E per questo diciamo – forte e chiaro – il nostro NO!

Il prossimo primo maggio il circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa alle 14:00 sarà in piazza XXIV maggio a Milano per la MayDay – No Expo per ribadire:

NO all’assurdità concettuale di EXPO 2015
NO alla speculazione – movente di EXPO 2015
NO alla cementificazione – effetto di EXPO 2015
NO allo sfruttamento – strumento di EXPO 2015
NO all’ipocrisia – tattica di EXPO 2015
NO all’autoritarismo – modus operandi elettivo di EXPO 2015
NO EXPO.

Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti

(F. De André)

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Proiezione DOC “THE SUMMIT – Genova i 3 giorni della vergogna”

Proiezione DOC "THE SUMMIT - Genova i 3 giorni della vergogna"
Riproponiamo la proiezione del DOC “THE SUMMIT”, annullata il 19 marzo scorso per cause impreviste.

Giovedì 2 Aprile 2015 alle ore 20.30 al circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa
“THE SUMMIT – Genova i 3 giorni della vergogna”
Film documentario

THE SUMMIT è il DOC/Inchiesta sul G8 di Genova 2001 realizzato da Franco Fracassi e Massimo Lauria, presentato all’ultima ed. Festival di Berlino.

A POCHE SETTIMANE DALLA OPULENTE, POMPOSA, ENFATICA E DISGUSTOSA INAUGURAZIONE DI EXPO 2015 A MILANO, IL PARALLELISMO CON GENOVA 2001 CI VIENE NATURALE.
IERI COME OGGI IL POTERE NEOLIBERISTA CELEBRA SE STESSO IN “GRANDI EVENTI”, REPRIME IL DISSENSO DI CHI SI OPPONE E RESISTE AL SUO DISEGNO EGEMONICO, CAUSA DI POVERTÀ, PRECARIETÀ GENERALIZZATA, SISTEMATICA DISTRUZIONE DI DIRITTI, DI STATO SOCIALE, DI DISUGUAGLIANZA E DI DIVARIO SEMPRE MAGGIORE TRA LO 0,9% DI CHI DA TALE DISASTRO TRAE PROFITTO E POTERE SENZA LIMITI ED IL 99,1% DELLA POPOLAZIONE CHE PERDE PROGRESSIVAMENTE LA SUA DIGNITÀ DI ESSERE UMANO.

Diretto dai giornalisti d’inchiesta Franco Fracassi e Massimo Lauria, presenti a quel G8, dopo una lunga indagine condotta insieme ad un gruppo di giornalisti, getta luce, a dieci anni di distanza, su molte zone d’ombra del G8 di Genova, racconta quei due indimenticabili giorni, le speranze dei manifestanti, i meccanismi che hanno portato alla violenza indiscriminata da parte delle forze dell’ordine e di una parte dei manifestanti, gli interessi politici internazionali intorno a quel G8.

THE SUMMIT è il frutto del lavoro di oltre cinquanta persone, di oltre cento intervistati, di oltre mille pagine di documenti raccolti, di oltre mille ore di registrazioni audio ascoltate, di oltre cento ore video visionate. Un viaggio attraverso le forze dell’ordine e la catena di comando, nazionale ed internazionale. Un viaggio che parte dal vertice dell’Organizzazione mondiale per il commercio a Seattle fino al G8 di Genova, passando per i summit di Nizza, Praga, Napoli e Goteborg. Un film in cui si intrecciano riprese dal vero e ricostruzioni attraverso disegni ed animazioni.

Premi

  • “Festival di Berlino 2012” – Selection “Panorama Dokumente”
  • “I’ve seen films” (Milano) – Premio Miglior Documentario 2012
  • “Bifest” (Bari)  – Selection
  • “Festival do Rio” (Rio de Janeiro) – Selection
  • “Genova Film Festival”

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Jobs Act e leggi sul lavoro: il fascismo che non ti aspetti

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Diciamolo subito chiaramente: il jobs act è una rapina.

Rapina di diritti, di futuro, di vita.

Un crimine che, come nella migliore tradizione dello sfruttamento, è legalizzato.
Lasciamo agli altri i dubbi, le previsioni, le attese di nuovi posti di lavoro… con il jobs act tutti i lavoratori diventano precari.
Le “tutele crescenti” saranno per i padroni che potranno licenziare sempre di più pagando solo una multa. Una elemosina.
Per i lavoratori è una perdita storica in termini di dignità e di qualità della vita.
Ma mettiamo per il momento da parte la rabbia e riflettiamo: come ci siamo arrivati?
Il jobs act è, attualmente, l’ultimo stadio di un processo di espropriazione e di attacco ai lavoratori che dura da anni, all’insegna di un fascismo dissimulato, ma presente ed aggressivo.
Una delle tappe fondamentali è la legge sulla limitazione del diritto di sciopero, che anche se valida per i servizi pubblici essenziali ha contribuito a diffondere l’idea che al di sopra degli inevitabili ed insanabili contrasti tra lavoratori ed padroni ci sia un interesse superiore che deve sempre prevalere, a danno dei lavoratori.
E’ anche grazie a questo mito dell’interesse “generale” che le lotte si sono private della necessaria radicalità, rendendo impossibile una resistenza efficace.
Leggiamo:

“La Nazione Italiana è un organismo avente fine, vita, mezzi di azione superiore a quelli degli individui divisi o raggruppati che lo compongono. E’ una unità morale, politica ed economica che si realizza integralmente nello Stato fascista.
Il lavoro sotto le sue forme intellettuali, tecniche e manuali è un dovere sociale. A questo titolo e solo a questo titolo è tutelato dallo Stato.”

Queste sono le parole di apertura della Carta del Lavoro, espressione normativa e di principio del corporativismo fascista.
L’interpretazione e la comprensione sono semplici: gli interessi dei gruppi sociali, ad esempio quelli dei lavoratori, trovano una legittimazione ed anche il loro limite in una istanza superiore, l’interesse nazionale che coincide con l’interesse dello stato.
Non esistono diritti, il lavoro è tutelato solo se aumenta la potenza dello stato.
Va però anche precisato che il corporativismo tutelava gli imprenditori definendo la proprietà come il mezzo più efficace e più utile a difendere gli interessi della nazione.
Eccola qui l’istanza superiore a cui tutte le parti sociali devono inchinarsi: il diritto del più forte.
Non è difficile notare una certa certa somiglianza con la mentalità attuale: è importante aumentare la produttività, la flessibilità, essere concorrenziali, il benessere, la qualità della vita non sono diritti, ma premi per chi si comporta bene.

Ma non basta, leggiamo qui:

“Nelle imprese a lavoro continuo, il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, ad una indennità proporzionata agli anni di servizio. Tale indennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore.”
(carta del lavoro 1927, regime fascista )

“Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.”
(jobs act 2015, tutele crescenti, regime ……. ?)

Qui l’analogia col regime fascista è palese, addirittura imbarazzante, in entrambi i casi i lavoratori sono completamente subordinati ai loro capi, niente diritti.

 

Abbiamo fornito questi brevi, ma significativi esempi, per invitare alla riflessione e alla comprensione:
Renzi sta solo completando un lavoro coerente e continuo di restaurazione del privilegio cominciato da chi ha governato prima di lui, va combattuto, certo, facendo però attenzione a scegliersi gli alleati.
Ecco cosa diceva l’anarchico e antifascista Camillo Berneri a proposito del corporativismo:

“Che certi socialisti, certi repubblicani, certi comunisti siano radicalmente avversi alla riforma corporativa, quasi quanto noi lo siamo, è credibile, anzi certo. Ma questo assoluto prevalere della critica antifascista sull’equivocità e sull’insufficienza del corporativismo fascista dimostra come pochissimi sono coloro, fuori dal campo nostro, che di quella riforma rigettano non solo il carattere contingente, ma anche le premesse teoriche e le storiche conseguenze. Quando è Salvemini, liberale-autonomista, che critica il corporativismo fascista la sincerità è indubbia; ma quando sono dei feticisti dello Stato e del socialismo di Stato è legittimo pensare che alla demagogia esaltatrice dei fascisti faccia riscontro una demagogia denigratrice di antifascisti aspiranti alla realizzazione di un corporativismo, certamente diverso da quello fascista nelle funzioni sociali, ma a quello affine nelle forme totalitarie, accentratrici e burocratiche.”

Chiaro, no?