Ho cercato di contare fino a dieci. Anzi ho contato di più. Perché a volte si rischia di andare oltre, di scrivere cose che poi, a riguardarle dopo, rischiano di sembrare eccessive, stonate.
Quello che pubblico qui di seguito e un estratto del lungo articolo pubblicato a firma Paolo Finzi, sul numero di A Rivista anarchica distribuito questo mese. Per chi lo volesse, dato che sul sito sarà disponibile tra un po’, sono disponibile a mandare gli screenshot dell’articolo in privato.
Un articolo in cui le sciocchezze si mischiano ad alcune infamità vere e proprie, fatto ancora più incredibile se pensiamo che ad essere preso di mira è un morto. L’idea e sempre la stessa, da qualche mese a questa parte. Da una parte l’anarchico buono, il buon padre di famiglia, il rivoluzionario “saggio”, morto innocente precipitando da una finestra in questura, l’uomo di popolo di buoni principi e di valide letture, seguace di un Malatesta opportunamente depurato e democratizzato, buono, per l’uso che se ne fa, un po’ per tutte le stagioni.
Dall’altra, un anarchico “cattivo”, uno poco affidabile, irregolare, estemporaneo. Uno che, insieme a quelli come lui le bombe avrebbe anche potuto metterle. Ci sono delle perle in questo articolo. “Anarchismo stiracchiato tra droghe e bombette, estremismi verbali e sporcizia personale…”.
Per dio Paolo Finzi.
Il miglior Vittorio Feltri non avrebbe potuto usare prosa e argomenti migliori.
C’è spietatezza, e c’è anche il malcelato orgoglio personale di far parte di un anarchismo buono, nutrito di buone letture, pacifico più che pacifista. Se quelli gridavano “Bombe, sangue, anarchia” e io non so se lo facevano davvero, altri, articolista in testa, dietro, come le perpetue, a coprire gli slogan con “Cafiero, Malatesta e Bakunin” e nel rivendicarlo, nemmeno si viene sfiorati dall’idea che la santa trimurti vi avrebbe probabilmente riso dietro, avrebbe riso di questo decoro anarchico. Invece io credo, avendo conosciuto bene Pietro e un po’ meno bene Finzi, che molti dall’anarchismo istintivo (ma a differenza del mio, nutrito di ottime letture, perché Pietro, i classici, li conosceva eccome) di quel gruppo di giovani, avrebbero dovuto imparare delle cose. E invece no. Molti hanno trascinato mestamente il loro anarchismo per anni, coltivando con passione orticelli personali, facendo proseliti (pochi), trovando giullari sempre pronti a cantate e suonate (ogni riferimento non è casuale) e persino usufruendo di insperate occasioni di salire alla ribalta, come in occasione di questo cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana.
Che triste fine.
Che epilogo orrendo.
Partiti incendiari siete finiti a pisciare su un morto.
Vi regalo un’ultima immagine. Il contrasto stridente tra la “sporcizia personale” e, parlando di Calabresi “Oltre che per l’altezza si stagliava per la semplice eleganza dei suoi golf girocollo e soprattutto per come parlava…”.
Nemmeno Natalia Aspesi (che peraltro stimo) avrebbe colto con la stessa finezza i tratti distintivi del commissario. Si è sempre affascinati dal potere e dalle sue manifestazioni esteriori, ma di solito ci si esprime con maggior sobrietà.
La chiudo qui. Questo post l’ho fatto soprattutto per quanti di voi continuano a comprare A Rivista Anarchica, e magari ci scrivono pure sopra. Sappiatevi regolare. Non è più tempo per l’anarchia da salotto.
Cillo