Pietro aveva già più di un bypass e il consiglio del medico di stare a riposo, ma quando ci si dovette mobilitare contro TeBio nel maggio del 2000 lui, con la moglie Pia e tutto il Ponte, non si tirò indietro.
“TeBio”: prima mostra-convegno internazionale sulle biotecnologie che si svolse a Genova, non era altro che una vetrina per le multinazionali del settore e l’ennesima occasione propagandistica per chiedere la liberalizzazione dei mercati e la deregolamentazione normativa nei settori dalla produzione al consumo.
A farla da padroni ovviamente le multinazionali europee e americane che sferravano il loro attacco alle libertà delle popolazioni mondiali, puntando sul mercato globale al fine di spostare le produzioni dai paesi più industrializzati a quelli in via di sviluppo, zone franche in cui i diritti umani non sono garantiti, i salari sono più bassi e le questioni etiche non prioritarie. Il tutto senza dare reali benefici alla popolazione del posto, anzi distruggendone buona parte dell’economia locale.
Un refrain che in questi ultimi 15 anni si è più volte riproposto con sempre più forza dirompente e che negli ultimi mesi vede dare il suo colpo finale attraverso quei trattati internazionali, come il TTIP, che puntano ad armonizzare le legislazioni dei paesi, rimuovere gli ostacoli al libero mercato ossia a garantire a questi mostri transnazionali, la libertà di sfruttamento di risorse e lavoro e la commercializzazione dei cosidetti beni comuni, senza più alcun tipo di freno, neanche dalle già deboli resistenze di alcuni gruppi delle istituzioni statali incastrati in quell’abominio di giustizia detto arbitrato internazionale (ISDS).
Sia allora TeBio, che il TTIP oggi, erano avvolti da segretezza, o meglio, totale mancanza di informazione che lasciava e lascia presagire peggiori pericoli.
Furono 3 calde giornate di lotta indette dalla rete Mobilitebio con lo slogan “Il mondo non è in vendita, ribellarsi è naturale”. I rapporti di forza allora erano differenti: i movimenti erano consistenti, attivi e coesi seppure nelle diverse anime a volte enormemente distanti fra loro. Erano in grado di incidere nella vita politica e di portare le proprie argomentazioni all’attenzione di tutti.
Il cuore della mobilitazione fu la manifestazione del 25 col tentativo di sfondare i cancelli della fiera di Genova e portare all’interno di TeBio l’opposizione alle neo politiche ultraliberiste. Numerose furono le azioni simboliche durante il corteo ed il Ponte col suo striscione “Contro i veleni del profitto per l’ecologia della libertà” non si fece scappare l’occasione di creare insubordinazione ed imprimere nuovi immaginari. Pietro non si tirò indietro, neanche quando la violenza di stato si fece sentire col classico armamentario di manganelli e gas CS e successivamente col suo strascico di denunce e processi.
Allora come oggi c’era una “sinistra” connivente con la visione liberista. Connivenza e di conseguenza l’abiura degli ideali, in nome di una modernità che in quanto tale dovrebbe portare benefici. La lotta noi la facevamo e la facciamo contro l’oppressione che quella idea di “modernità” porta con se, per una diversa concezione della vita.
Le tematiche di Mobilitebio dopo 15 anni sono ancora attuali e il ricordo di Valpreda passa per l’attualità per la campagna No TTIP che ci vede coinvolti.
45 Anni fa moriva Pinelli assassinato. Perché quelle bombe il 12 dicembre?
In quegli anni era consapevolezza comune una prospettiva di vita grigia e senza senso. Una società fortemente ipocrita e perbenista veniva attraversata da flussi migratori da sud a nord, dalle campagne alle fabbriche. Il lavoro alla catena di montaggio e in ufficio era totalmente alienante, la condizione femminile subiva la pensante influenza vaticana di forma (impossibile ossigenarsi i capelli piuttosto che vestire calze trasparenti) e le spinte di trasformazione di costume e mentalità giovanile subivano il giudizio snob e inquisitore del pensiero dominante.
C’era una cappa culturale opprimente che ti impediva di vivere una vita consapevole. L’idea di mettersi il gessato grigio e la cravatta diventava asfissiante per una generazione che veniva dai campi e dalle rovine della guerra.
Noi volevamo vivere e reclamavamo l’amore libero, la liberalizzazione delle droghe, l’antipsichiatria…
In questo humus, la contestazione assumeva diverse sfaccettature. Gli anarchici contestavano lo stato come primo responsabile della condizione sociale, ma generalmente la gente reclamava quelli che vennero chiamati i bisogni reali: dalla casa, alle tutele sul lavoro, alla maggiorazione del salario.
Nel ‘69 in Italia scoppia il fermento sindacale. Tutti chiedono di vivere una vita piena e migliore. E’ probabilmente in quel periodo che si fa strada la paura nella borghesia dominante. Contestualmente scoppiano ordigni in tutta Italia, la cui paternità risulta essere ambigua e mai chiara: sebbene fosse, ai più, evidente la matrice nera, non c’era ancora consapevolezza delle possibili collusioni coi servizi.
Quella di piazza Fontana è solo una delle tante bombe in quel periodo, sicuramente però fu la più devastante. Nell’aria si sentiva la puzza di colpo di stato di stampo dittatoriale, visto anche lo scenario internazionale con i colonelli greci e la Spagna di Franco, probabilmente tutti questi ordigni disseminati sul territorio nazionale erano parte di una precisa strategia golpista.
Il 12 dicembre la strage. I servizi segreti di Roma indicavano la pista anarchica alla questura di Milano e poche ore dopo l’esplosione, Pinelli veniva portato in questura. Per 2 giorni e 2 notti venne torchiato fino ad essere assassinato volando dalla finestra. Calabresi era in quella stanza come testimoniato da Lello Valitutti ed è sicuramente il responsabile morale di quello che è accaduto negli uffici.
Le 17 vittime di piazza fontana, l’omicidio di Pinelli e l’ingiusta ed infame incriminazione di Valpreda, Gargamelli, Mander, Borghese e Di Cola rappresentano per la generazione del 68 il gesto più eclatante e spavaldo del potere criminale. Nasce quindi un movimento della società civile che partecipa alla campagna di controinformazione che scava sui retroscena della strage di piazza fontana. Analizza e verifica ogni documento, ogni velina mettendo in evidenza luci, ombre e contraddizioni.
Molto del materiale cartaceo e video è basato su quel lavoro di ricostruzione.
PERCHE’ IL 15 DICEMBRE , DAL 1970 A OGGI Il 12 dicembre 1970, nel primo anniversario della strage, la questura vietò la manifestazione indetta dagli anarchici. Circa 3000 persone sfidarono il divieto e in quella occasione lo studente Saverio Saltarelli trovava la morte in seguito ad un candelotto di lacrimogeni sparato ad altezzo uomo dai carabinieri.
Per tutti gli anni 70 il 12 dicembre diventa un appuntamento fisso ed incarna il senso dell’alternativa e la dimostrazione che le istituzioni non funzionano in quanto incapaci di dare delle risposte. Il processo Valpreda si trascina fino agli anni 80 senza nessun colpevole e la sentenza Pinelli risulta sin da subito ignobile, con la teoria del malore attivo.
Dopo il 77 la tensione sociale viene meno, i movimenti hanno uno stop. A quel punto viene rilanciata la data del 15 dicembre a ribadire l’ingiustizia della società e a presentare una diversa prospettiva di valori. Era importante partire dall’assassinio di Pinelli di per se incontrovertibile, una storia che prendeva passione, sangue e cuore.
Negli anni 80 e 90 le iniziative sono un crescendo: manifestazioni notturne molto partecipate nonostante il freddo particolarmente pungente, rappresentazioni di Paolo Rossi, Paolini piuttosto che Lucarelli e Moni Ovadia. Iniziative potenti che non sono servite a cambiare le sorti formali dei processi, ma a tenere alto il concetto di coscienza collettiva. Si dice che la memoria esiste se qualcuno la narra, noi volevamo a tutti i costi narrare.
Oggi è importante ribadire la non condivisione nella memoria, perché quando si tenta di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici non possiamo renderci complici, non possiamo legittimare culturalmente questa opera di normalizzazione di appiattimento che ha come fine quello nascondere le responsabilità di autori e mandanti e di far passare per normale un momento storico che ha visto lo stato straordinariamente feroce e violento.
Ricordare l’assassinio di Pinelli e l’innocenza di Valpreda e di tutti gli altri compagni incarcerati, allora e oggi, significa rappresentare un presente in cui la fanno da padrone diritti negati, sfruttamento e diseguaglianze.
IL 15 DICEMBRE 2014
Lunedì ci sarà Di Stefano che prospetterà lo scenario economico che stiamo vivendo e le implicazioni dei trattati internazionali di deregolamentazione come il TTIP.
Scaramucci che oltre alla memoria storica si chiederà dove va la sinistra, Saverio Ferrari ci parlerà delle nuove alleanze in seno alla destra fascista e populista.
Ci saranno le testimonianze della famiglia con Claudia e Silvia Pinelli, Landini sui pericoli del jobs act e Renato Sarti che reciterà un pezzo tratto dal suo spettacolo “Chicago Boys”