Jobs Act e leggi sul lavoro: il fascismo che non ti aspetti

altan-fascismo

Diciamolo subito chiaramente: il jobs act è una rapina.

Rapina di diritti, di futuro, di vita.

Un crimine che, come nella migliore tradizione dello sfruttamento, è legalizzato.
Lasciamo agli altri i dubbi, le previsioni, le attese di nuovi posti di lavoro… con il jobs act tutti i lavoratori diventano precari.
Le “tutele crescenti” saranno per i padroni che potranno licenziare sempre di più pagando solo una multa. Una elemosina.
Per i lavoratori è una perdita storica in termini di dignità e di qualità della vita.
Ma mettiamo per il momento da parte la rabbia e riflettiamo: come ci siamo arrivati?
Il jobs act è, attualmente, l’ultimo stadio di un processo di espropriazione e di attacco ai lavoratori che dura da anni, all’insegna di un fascismo dissimulato, ma presente ed aggressivo.
Una delle tappe fondamentali è la legge sulla limitazione del diritto di sciopero, che anche se valida per i servizi pubblici essenziali ha contribuito a diffondere l’idea che al di sopra degli inevitabili ed insanabili contrasti tra lavoratori ed padroni ci sia un interesse superiore che deve sempre prevalere, a danno dei lavoratori.
E’ anche grazie a questo mito dell’interesse “generale” che le lotte si sono private della necessaria radicalità, rendendo impossibile una resistenza efficace.
Leggiamo:

“La Nazione Italiana è un organismo avente fine, vita, mezzi di azione superiore a quelli degli individui divisi o raggruppati che lo compongono. E’ una unità morale, politica ed economica che si realizza integralmente nello Stato fascista.
Il lavoro sotto le sue forme intellettuali, tecniche e manuali è un dovere sociale. A questo titolo e solo a questo titolo è tutelato dallo Stato.”

Queste sono le parole di apertura della Carta del Lavoro, espressione normativa e di principio del corporativismo fascista.
L’interpretazione e la comprensione sono semplici: gli interessi dei gruppi sociali, ad esempio quelli dei lavoratori, trovano una legittimazione ed anche il loro limite in una istanza superiore, l’interesse nazionale che coincide con l’interesse dello stato.
Non esistono diritti, il lavoro è tutelato solo se aumenta la potenza dello stato.
Va però anche precisato che il corporativismo tutelava gli imprenditori definendo la proprietà come il mezzo più efficace e più utile a difendere gli interessi della nazione.
Eccola qui l’istanza superiore a cui tutte le parti sociali devono inchinarsi: il diritto del più forte.
Non è difficile notare una certa certa somiglianza con la mentalità attuale: è importante aumentare la produttività, la flessibilità, essere concorrenziali, il benessere, la qualità della vita non sono diritti, ma premi per chi si comporta bene.

Ma non basta, leggiamo qui:

“Nelle imprese a lavoro continuo, il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, ad una indennità proporzionata agli anni di servizio. Tale indennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore.”
(carta del lavoro 1927, regime fascista )

“Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.”
(jobs act 2015, tutele crescenti, regime ……. ?)

Qui l’analogia col regime fascista è palese, addirittura imbarazzante, in entrambi i casi i lavoratori sono completamente subordinati ai loro capi, niente diritti.

 

Abbiamo fornito questi brevi, ma significativi esempi, per invitare alla riflessione e alla comprensione:
Renzi sta solo completando un lavoro coerente e continuo di restaurazione del privilegio cominciato da chi ha governato prima di lui, va combattuto, certo, facendo però attenzione a scegliersi gli alleati.
Ecco cosa diceva l’anarchico e antifascista Camillo Berneri a proposito del corporativismo:

“Che certi socialisti, certi repubblicani, certi comunisti siano radicalmente avversi alla riforma corporativa, quasi quanto noi lo siamo, è credibile, anzi certo. Ma questo assoluto prevalere della critica antifascista sull’equivocità e sull’insufficienza del corporativismo fascista dimostra come pochissimi sono coloro, fuori dal campo nostro, che di quella riforma rigettano non solo il carattere contingente, ma anche le premesse teoriche e le storiche conseguenze. Quando è Salvemini, liberale-autonomista, che critica il corporativismo fascista la sincerità è indubbia; ma quando sono dei feticisti dello Stato e del socialismo di Stato è legittimo pensare che alla demagogia esaltatrice dei fascisti faccia riscontro una demagogia denigratrice di antifascisti aspiranti alla realizzazione di un corporativismo, certamente diverso da quello fascista nelle funzioni sociali, ma a quello affine nelle forme totalitarie, accentratrici e burocratiche.”

Chiaro, no?

GIORNATA DELLA MEMORIA….CORTA

propaganda fascista - rivista - la difesa della razzaGiornata della memoria, la liberazione di Auschwitz.
Il ricordo della Shoah, dell’annientamento di milioni di ebrei, omosessuali, rom, sinti, oppositori politici. Tutte vittime dei tedeschi, anzi, dei nazisti, che solo da loro può venire un male tanto grande.
Ricordare è costruire una identità, peccato che la memoria, quando non è un ingranaggio collettivo,  sia uno strumento selettivo, scarta molto e non sempre sceglie bene. Ad esempio: tutti ricordiamo i luoghi dello sterminio gestiti dai nazisti, ma quanti conoscono i nomi dei campi di concentramento italiani?
Sì perchè anche l’Italia, fece la sua parte.
Fossoli, San Sabba, Borgo San Dalmazzo,Bolzano sono i nomi più noti, ma ci sono anche quelli qui sotto:

  1. Campo di internamento di Agnone (Campobasso, Molise), presso il convento di S. Bernardino da Siena.
  2. Campo di internamento di Alberobello (Bari, Puglia)
  3. Campo di concentramento di Arbe (Fiume, Dalmazia) (giugno 1942 – settembre 1943)
  4. Ateleta (L’Aquila, Abruzzo)
  5. Campo di internamento di Bagno a Ripoli (Firenze, Toscana), presso Villa La Selva (luglio 1940 – settembre 1943)
  6. Campo di internamento di Campagna (Salerno, Campania) (giugno 1942 – settembre 1943)
  7. Capannori (Lucca, Toscana)
  8. Carana (Cosenza, Calabria)
  9. Campo di internamento di Casoli (Chieti, Abruzzo)
  10. Campo di internamento di Chieti (Abruzzo)
  11. Campo di internamento di Civitella in Val di Chiana (Arezzo, Toscana), presso Villa Oliveto
  12. Campo di internamento di Corropoli (Teramo, Abruzzo), presso Badia Celestina.
  13. Campo di internamento di Ferramonti di Tarsia (Cosenza, Calabria) (giugno 1940 – settembre 1943)
  14. Campo di internamento di Gioia del Colle (Bari, Puglia)
  15. Campo di internamento di Isernia (Campobasso, Molise)
  16. Campo di internamento di Isola del Gran Sasso (Teramo, Abruzzo)
  17. Campo di internamento di Lama dei Peligni (Chieti, Abruzzo), presso un edificio nel centro del paese (luglio 1940 – settembre 1943)
  18. Campo di internamento di Lanciano (Chieti, Abruzzo)
  19. Campo di internamento di Manfredonia (Foggia, Puglia), presso il Macello Comunale (giugno 1940 – settembre 1943)
  20. Marsiconuovo (Potenza, Basilicata)
  21. Campo di internamento di Montechiarugolo (Parma, Emilia-Romagna)
  22. Montefiascone (Viterbo, Lazio)
  23. Campo di internamento di Nereto (Teramo, Abruzzo)
  24. Campo di internamento di Notaresco (Teramo, Abruzzo)
  25. Osimo
  26. Campo di internamento di Scipione (Parma, Emilia-Romagna)
  27. Sforzacosta (Macerata, Marche)
  28. Terranova di Polino (Potenza, Basilicata)
  29. Campo di internamento di Tortoreto (Teramo, Abruzzo), presso l’attuale Municipio di Tortoreto e una villa a Tortoreto Stazione, ora
  30. Alba Adriatica (luglio 1940 – settembre 1943)
  31. Campo di internamento di Tossicia (Teramo, Abruzzo)
  32. Campo di internamento delle Tremiti (Foggia, Puglia)
  33. Tuscania (Viterbo, Lazio)
  34. Campo di internamento di Urbisaglia (Macerata, Marche) (giugno 1940 – ottobre 1943)
  35. Valentano (Viterbo, Lazio)
  36. Treviso (Veneto)

(fonte: wikipedia)

Chi li conosce? Chi li ricorda?
E chi conosce o ricorda “La difesa della razza“? Rivista patinata pubblicata in periodo fascista che propagandava il razzismo più criminale e che aveva come collaboratori due dei padri della destra italiana, Evola ed Almirante?
In Italia il razzismo ha radici solide ed antiche, le leggi razziali promulgate nel 1938 non erano un servile adeguarsi alla politca nazista, ma il logico e naturale sviluppo del colonialismo italiano responsabile di stragi e deportazioni.
Come al convento di Debra Libanos, in Etiopia, dove gli italiani ammazzarono 2000 persone (altre migliaia nei giorni precedenti), come in Libia dove gli italiani non ebbero remore ad usare armi chimiche, e dove costruirono il campo di concentramento di El Aghelia (10000 prigionieri, morti a migliaia).
La lista potrebbe andare avanti, ma così è sufficiente, per chi vuol capire.
Capire che esiste una relazione tra una memoria storica lacunosa e i rigurgiti razzisti che viviamo ogni giorno.
Non parliamo solo dei fascioleghisti, di Salvini che invoca la linea dura, ma anche di quei “moderati” in doppiopetto che applicano politiche liberticide nei confronti dei migranti, sgomberano e incarcerano.

Ricordare è costruire una identità, non lasciamo che sia il potere a farlo.