Intervista inutile del 06/08/2019 – Parte 1

Due domande per vedere se riuscite a spiegare le vostre ragioni anche a chi non ha capito nulla in questi continui flame su Facebook. Obiettivamente a molti risulta difficile capire.
Tanto abbiamo la sensazione che sarà inutile. Tutte le critiche arrivano da Facebook. È uno strumento dei padroni, che guadagna proprio dai post e commenti, che parla alla pancia degli utenti che si credono attivi, ma sono di fatto passivi. La tecnologia non è mai neutra, come direbbe Curcio o il collettivo Ippolita o Grizziotti o qualunque individuo o collettivo che ha studiato un poco il fenomeno. Lo sa bene il ministro degli interni italiano e probabilmente anche qualcun altro. È uno strumento che ha un meccanismo che fa vivere solo il presente, che cancella il passato e che non lascia spazio alla riflessione. L’attenzione ad un post è di massimo 3 secondi. Sappiamo già che questa intervista sarà lunga, che richiederà 10 minuti di lettura, perché le risposte dovranno essere articolate. Pochissimi saranno gli utenti di FB che la leggeranno tutta. Oltretutto ci piacerebbe parlare, anzi agire, nel presente contro le ingiustizie di oggi, che ci sembra molto più importante.

Claudia Pinelli vi ha accusato di essere apertamente ostili verso l’iniziativa del 14 dicembre di cui è promotrice.
Messa così, pare un fatto personale. Non è una questione personale. Proviamo a dirlo sempre, ma evidentemente non siamo bravi comunicatori. O meglio siamo pessimi comunicatori su FB. Vogliamo essere nella contraddizione di Facebook, perché non ci piace parlarci addosso, ma lasciamo volentieri ad altri la medaglia di media manager. A Salvini, Renzi, Grillo e a quelli che da loro hanno imparato.

Cominciamo bene. Sembra un tono inutilmente polemico.
Vero. Siamo abituati alle piazze e alle assemblee. Abbiamo toni irruenti su questioni che crediamo importanti. A volte risultiamo sopra le righe. Non siamo politici di palazzo e non aspiriamo a diventarlo. Noi.

Ancora polemica…
Si, ci togliamo qualche sassolino… Passiamo al sodo. Come abbiamo già scritto, siamo apertamente in contrasto (non ostili) con tutte le iniziative (quindi non espressamente quella del 14 di cui è promotrice anche Claudia) che sono irrispettose della memoria come crediamo sia l’iniziativa del 14 dicembre. Siamo contro da sempre all’iniziativa ufficiale delle autorità il 12 dicembre per esempio, anche quando il sindaco era Pisapia. Non ci pare che questa nostra posizione abbia scatenato polemiche. La catena umana ha però l’aggravante di essere promossa da persone che sedevano al tavolo accanto a noi fino a pochi mesi fa, da noi invitate. Inoltre vede l’adesione di persone che crediamo affini e a cui abbiamo chiesto il perché. Ci sembra anche normale voler comunicare, a tutti coloro che rischiano di fare confusione, che il Ponte non aderisce all’iniziativa, anzi pensiamo sia pericolosa.
Silvia e Claudia Pinelli hanno un’amicizia decennale con Mauro Decortes (storico animatore del Ponte), lui è anche spesso invitato a casa di Licia. Possiamo dire che è stato Decortes a insistere nel volerle alle iniziative. Silvia e Claudia hanno sempre declinato gli inviti, fino al 2009 più o meno. Dal 2009, con una certa insistenza da parte di Decortes, dapprima Claudia, poi Silvia hanno invece quasi sempre partecipato, non organizzato, alle iniziative promosse dal Ponte, su Pinelli e Valpreda. Diremo di più, al nostro interno dopo i primi anni c’è stato chi non vedeva di buon occhio i loro interventi: ne metteva in discussione il valore politico. Ma anche dall’esterno ci è stato fatto notare che i loro interventi risultavano fuori luogo. Decortes, però, si è sempre speso affinché ci fossero, creando anche qualche scontento all’interno, ma non divisioni.
Ovviamente sono state invitate in qualità di familiari anche ad altre iniziative, anche fuori Milano. Sempre dal 2009 in poi.
Può darsi che in tarda adolescenza almeno Claudia abbia militato in avanguardia operaia, di questo non abbiamo riscontri, ma ci fidiano. Più o meno tutti a Milano hanno attraversato qualche collettivo per qualche tempo.

Quindi dite che sono circa 10 anni che le sorelle Pinelli sono coinvolte in questa campagna.
Sì.

E invece voi dite di esserci da sempre.
Sì. Non è che lo diciamo, basta che qualcuno abbia un minimo di memoria storica per riconoscerlo. Abbiamo documentazione fotografica, ma davvero non ci sembra il caso. Sia chiaro, negli anni anche altre realtà hanno rinnovato la memoria. Sicuramente il Ponte lo fa continuamente dal 1970 tutti gli anni. E siamo abbastanza certi che siamo gli unici ad averlo fatto continuativamente. Fino al 1977 le iniziative venivano portate avanti dal nucleo storico: compagni di Pinelli e Valpreda, a cui si era aggiunto Decortes nel 1972. Dopo il ’77, una sorta di ricambio generazionale ha visto sfilarsi alcune persone, ma Decortes, Valpreda e pochi altri sono rimasti. Se volessimo individuare una persona che c’è sempre stata dai primi anni 70 a oggi, con diverso livello di coinvolgimento, è Decortes. È lui che ha girato in lungo e in largo la penisola per la campagna Valpreda.
Ci teniamo a dire che l’attività del Ponte non si esaurisce nella campagna Valpreda Pinelli. Siamo stati, siamo e sempre saremo presenti nelle piazze conflittuali dove ci sono le lotte.

Qualcuno ha messo in giro voci che gli attuali animatori del Ponte frequentano il posto dal 90.
Non è vero. Chi lo dice sono persone che non si sono mai viste nelle piazze. O al massimo venivano a farsi una passeggiata. Chi ha militato conosce bene la realtà, il resto sono pettegolezzi e falsità.
Come tutti i posti, anche il Ponte ha visto avvicendarsi persone. Tuttavia ci sono almeno 5 persone che continuano la militanza nel Ponte da molto tempo: Mauro Decortes dal 1972, Marco Serio dai primi anni 80, poi Gianni Mackinson che ha fatto il 68 e si è avvicinato al Ponte poco dopo Marco, Marco Zucchi che, dopo un lungo periodo in un kibbutz, da quasi 10 anni è ritornato al Ponte attivamente, e Marco Cilloni.
Ci sono poi Fedora, Pasquale e Pia, la compagna di Pietro Valpreda, arrivati intorno al 75, che insieme a Gabriella, Luciano, Vittorio, Carmelo arrivati negli anni 80, continuano ad essere vicini al Ponte e miltarci compatibilmente con le vicende della vita, ma che sanno esserci quando l’appuntamento lo richiede.
Negli ultimi 20 anni si è unito Paolo meglio conosciuto come netico, l’anima “hacara” del Ponte, Simonetta, la compagna sempre in lotta coi lavoratori della logistica, Ingrid, il cui padre era anarchico e conosceva Valpreda, particolarmente ferita da questa vicenda, il gruppo che si occupa dei concerti di autofinanziamento e altre persone che preferiscono non essere menzionate.
Ci sono anche vari simpatizzanti che ruotano intorno al Ponte e collettivi che ci si riuniscono. Il Ponte è ed è stato uno dei punti di riferimento per la “Milano ribelle”.
In ogni caso la linea politica e le iniziative sono condivise da tutti gli animatori, “giovani” e meno “giovani”.
La maggiorparte di loro ha conosciuto la repressione anche violenta, tutti hanno vissuto piazze e situazioni molto calde pagandone il pedaggio che lo stato democratico impone a chi dissente.

E la famiglia Pinelli?
Licia, insieme al Ponte e ad altre realtà, ha seguito i processi dall’inizio fino alla fine. Ha scritto “Una storia quasi soltanto mia” con Piero Scaramucci e rilasciato interviste. Per sua scelta ha sempre preferito un profilo basso e rimanere lontana dai “riflettori”, sebbene seguisse tutto. Un rispettabile, e da noi rispettato, dignitoso silenzio.
Sia chiaro sin da subito: la stima per Licia è immutata. Decortes ha avuto colloqui telefonici privati con lei anche su questa storia e dovrebbero incontrarsi a breve. Sappiamo che lei preferisce non essere coinvolta e non lo faremo.

Claudia e Silvia la nominano spesso.
Sono questioni personali e non vogliamo entrarci. Noi non la nomineremo più.

Ok, andiamo avanti. Perché non avete accettato il 15 come data per la catena umana? Perché vi siete imposti con Valpreda?
Contestualizziamo un po’. Decortes come abbiamo detto è “di famiglia”. In maniera del tutto informale era stata paventata questa iniziativa da un musicista, quello che poi diventerà il creatore del gruppo FB e in una prima fase amministratore. Siamo nella fase preliminare in cui si dà una idea di massima della data e di come ci si immagina l’iniziativa. Tutto era da costruire, la prima proposta effettivamente era la data del 15 dicembre. Tutti gli anni dal 1970 il Ponte fa la sua di iniziativa il 15 dicembre (ovviamente ci sarà anche quest’anno); in quel momento, in quella situazione, sembrava normale chiedere di spostarla al 14, così, sia il Ponte avrebbe potuto essere parte della catena, che le sorelle presenti il 15 alla nostra iniziativa. Inoltre c’era l’indubbio vantaggio che il 14 sarà un sabato. La proposta del 14 era stata immediatamente accettata e la cosa è finita lì con la promessa che poi l’appello di adesione sarebbe stato prima condiviso e poi diffuso.
Precisiamo poi che tutti gli anni da circa un decennio, altre realtà, per fortuna, fanno le loro di iniziative e l’anno scorso ce ne è stata almeno una il 15 stesso. Nessuno ci è mai venuto a chiedere il permesso, ovviamente; né tanto meno abbiamo mai pensato di opporci, per questioni di date.
Poi le cose sono andate avanti. La catena è stata lanciata su FB creando un gruppo. C’era già un appello di adesione che vedeva solo Pinelli e la sua storia decontestualizzata. Era febbraio forse. Ovviamente ci siamo approcciati. Lo spirito iniziale era di farne parte. Per farne parte volevamo che ci fosse un terreno comune di azione. Alcuni di noi hanno chiesto di aggiungere Valpreda almeno nell’appello. Una richiesta minima tutto sommato, a cui probabilmente ne sarebbero seguite altre di natura politica. Ricordare l’assassinio di Pinelli decontestualizzandolo è una manovra che fa lo stato da sempre. Non porre il dovuto accento sulle lotte di quegli anni, sulle bombe attribuite agli anarchici prima di dicembre 69, sull’ingiusta carcerazione di Valpreda e altri compagni è una maniera per assolvere lo stato assassino, stragista, torturatore di innocenti e spietato repressore di lotte. Nessuno di noi ha mai messo in discussione le modalità di svolgimento dell’iniziativa, non siamo “luttuosi , i tristi, i moralisti” come ci ha definito Gianfranco Manfredi. Non siamo artisti, ma riconosciamo nelle arti il potere di rottura, che ovviamente non viene dal nulla, ma dal contesto e dalle motivazioni in cui l’arte nasce e cresce. Lo stesso Baj è venuto al Ponte portando il suo estro. I Living theater sono stati ospiti del Ponte per più giorni in viale Monza e hanno dato vita alle loro performance anche in giro per Milano. Non siamo musicisti, perciò non ci esprimiamo sul valore stilistico di “addio Lugano bella” per esempio. Tuttavia il valore di quella canzone è nel racconto che fa del contesto storico.
Volevamo far parte della catena, chiedevamo il minimo per esserci. A riprova della buonafede, dopo il primo incontro informale, Decortes a titolo personale si era informato presso la questura se la modalità di svolgimento fosse compatibile. A seguito delle richieste di inserire Valpreda, ne nasce una polemica all’interno del gruppo FB, andata avanti un paio di giorni forse, la cui sola risposta è stata che eravamo arroganti, che insultavamo che non avevamo rispetto ecc. ecc. E quindi niente Valpreda. In più c’è stata una sorta di epurazione. Tutti fuori: anarchici del Ponte che avevano osato porre istanze, ma anche chi chiedeva solo spiegazioni di tale atteggiamento.
E fino a maggio Valpreda non è comparso nell’iniziativa. Adesso c’è, speriamo sia stato capito il motivo per cui doveva esserci.

Ma insomma voi non vi siete chiesti perché di questo atteggiamento nei vostri confronti?
Ovviamente sì. Decortes (che non ha FB) ha anche parlato con le sorelle per chiedere spiegazioni e la risposta è stata che siamo stati cafoni, maleducati, ignoranti ecc. ecc. Giusto una nota. Il più bersagliato di questa storia è stato Marco Serio. Molti conoscono Marco, sicuramente chi ha lottato nelle piazze negli ultimi 40 anni sa chi è. Che di lui si possa dire che sia una persona maleducata ecc. ecc. ci pare ridicolo. Da persone terze ci viene riconosciuto di aver sottoposto delle istanze con la normale correttezza. Comunque ci siamo chiesti quali fossero le possibili motivazioni di questo atteggiamento.
C’entra ovviamente la ricorrenza: è il 50esimo, l’attenzione mediatica potrebbe essere elevata e un posto sotto il cono di luce è ambito da tutti, anche da chi ruota attorno a questa iniziativa. In ogni caso una risposta certa non l’abbiamo, abbiamo varie ipotesi e alcune hanno anche riscontri oggettivi. Non le condivideremo.

Seconda parte –>

IL SOLDATO CONTRORIVOLUZIONARIO

A quasi 50 anni da Piazza Fontana continua la pubblicazione di documenti per non farci rubare la memoria. La lettura di questo documento è molto utile per la comprensione del clima politico negli anni della strategia della tensione

RIPORTIAMO QUI UNO STRALCIO DELL’INTERVENTO DI EDGARDO BELTAMETTI (ORDINE
NUOVO) AL CONVEGNO SULLA GUERRA RIVOLUZIONARIA ALL’ISTITUTO “POLLIO”
E UN BRANO TRATTO DAL LIBRO “LE MANI ROSSE SULLE FORZE ARMATE” SCRITTO DA RAUTI E GIANNETTINI

IL SOLDATO CONTRORIVOLUZIONARIO

Forse in questo confronto far la personalità del soldato del mondo libero e l’agente della g.r. (guerra rivoluzionaria, ndr) il quale ha rinunciato alla sua personalità per abbassarsi al livello di cieco strumento, sta la realtà della risposta alla g.r. e alla sua concreta possibilità di una risposta vittoriosa. Il soldato che ha compreso questa realtà, non si distingue per l’uniforme che porta, ma per la maggiore fermezza delle sue convinzioni interiori; saprà, se necessario, diventare un soldato della clandestinità di cui conosce le regole rigorose; saprà fare di sé stesso un’arma quando proiettato nella dimensione della g.r., conservi intatti i valori dello spirito. Infatti, il soldato non difende soltanto il territorio, ma difende un’idea, la libertà i valori dello spirito, in una parola: l’uomo.
Di conseguenza la funzione militare non è più soltanto quella di organizzare un apparato per la difesa fisica dello Stato, ma assume anche il compito della condotta di una guerra contro un nemico che ha per obbiettivo la conquista e il controllo della popolazione.
Ovviamente bisogna trovare altre basi alla organizzazione militare. Non sto qui ad insistere su questo problema ed esso si affaccerà più avanti, ma è evidente che si verifica una sovrapposizione delle due nozioni del soldato e del cittadino, anche questo permanentemente mobilitato almeno sul piano morale. Dirò soltanto che l’occidente ha potenzialmente nel suo arsenale un uomo spiritualmente più ricco, il quale può avere ragione del nemico che ha degradato l’individuo ad un frammento della massa. Si tratta però di mobilitarlo, nel senso più nobile della parola, per farne il protagonista della vittoria e della pace. Rimarrebbe ora anche da vedere come l’occidente può preparare l’elemento umano per affrontare la g.r. senza tradire le proprie convinzioni. Non ho la presunzione di rispondere ora a questo fondamentale interrogativo. Mi limito a porre il problema, che è morale e tecnico, ed affidarlo all’attenzione vostra, sicuro che nel corso dei lavori di questo Convegno esso sarà considerato, sì da porre le fondamenta per un più approfondito esame.
D’altra parte mi sembra che questo problema, a causa della sua importanza, meriterebbe una trattazione a parte ed io faccio voti affinché esso sia l’oggetto di un prossimo convegno. Consentitemi tuttavia di fare alcune considerazioni generali.
Si tratta prima di tutto di convincersi che si è in stato di guerra e, se le finalità sono diverse, i mezzi di lotta debbono comunque essere scelti sulla base della realtà che ci propone la guerra rivoluzionaria. Quindi stabiliamo subito che non vi è alcuna differenza morale nel colpire il nemico con quelle armi che si dimostrino efficaci. La lotta ravvicinata ci impone i metodi che le sono propri: combattere la sua ideologia con i nostri temi ideologici; disarmare il nemico psicologicamente per minarne il suo orgoglio; se occorre eliminarlo con azione isolata con lo stesso criterio che si userebbe sul campo di battaglia. Una delle caratteristiche della g.r. ed ovviamente della risposta ad essa, ci consente spesso di scegliere il nemico da abbattere ed è naturale che è più redditizio eliminare un capo che un gruppo di gregari, anche se l’azione in sé ha più l’apparenza di un attentato sleale che di una battaglia leale.
Ciò premesso, la cosa più importante è educare il soldato a questo tipo di guerra. Ed allora bisogna distinguere due momenti: l’educazione morale e l’addestramento tecnico. L’educazione morale si ottiene indicando chiaramente gli obbiettivi, sottolineando la differenza che passa fra i nostri e quelli degli avversari. In realtà questo aspetto dell’educazione dipende molto dal clima in cui si vive; vale a dire che tale educazione appartiene in primo luogo all’insegnamento pubblico, scaturisce dall’impegno con cui tutta la società nazionale è sollecitata a mantenersi unita, legata alla sua storia ed alle sue tradizioni. In altre parole è questa opera di governo o, per lo meno, un’azione che può essere svolta dalle istituzioni che sono le più sensibili custodi dei valori fondamentali, in prima fila le Forze Armate.
Una carica morale di livello elevato è la premessa per un addestramento che sia efficace ed una garanzia che l’addestramento tecnico non abbia fine a sé stesso. Tant’è vero che l’addestramento tecnico non è che la continuazione dell’educazione morale. Questa non soltanto conferisce al soldato l’entusiasmo necessario per accettare di essere educato al rischio ed alle fatiche, ma lo garantisce di saper valutare e controbattere l’aggressione della propaganda aggirante, dell’insidia ideologica, dell’agguato psicologico.
Guardando il problema da questo doppio punto di vista, che è il modo corretto per porcelo, è evidente che il soldato di oggi, ed intendo quello della guerra non ortodossa, dev’essere un soldato d’élite, un’individuo preparato anche culturalmente, dai riflessi pronti sia per sottrarsi al nemico che gli tiene il fucile puntato sulla schiena, sia per comprendere all’istante dove si cela l’insidia morale. Il soldato della guerra non ortodossa, se vuole raggiungere la coscienza del pericolo, deve essere convinto della propria giusta causa e deve essere ideologicamente preparato per comprendere il valore politico del suo dovere. Perciò egli deve essere informato degli scopi strategici e tattici che si vogliono raggiungere onde avere sempre coscienza delle sue azioni e delle iniziative. Egli deve essere e sentirsi un protagonista cosciente e non uno strumento cieco di guerra. Ed in ciò sta l’essenziale della differenza che passa tra il soldato della libertà e l’agente della g.r.

Noi diciamo che è un’illusione, una patetica ma pericolosa illusione, porre l’accento sulla apoliticità delle Forze Armate e sul fatto che esse si trovano ad addestrare uomini in tempo di pace.
Anzitutto, si confonde l’apoliticità con l’apartiticità. Questa è giusta e doverosa, mentre l’apoliticità non esiste: noi non stiamo parlando delle Forze Armate di un qualsiasi paesucolo del Centro America, he si ponesse a vegetare nel limbo del neutralismo assoluto; stiamo parlando delle Forze Armate dell’Italia, che è un Paese occidentale, il quale ha determinati obblighi verso l’Occidente e doveri ancora più precisi in materia di lotta la comunismo internazionale.
Intendiamoci: si può anche non pensarla così. In Italia ci sono quasi dodici milioni di comunisti, socialisti, radicali, e progressisti generici – di marxisti, insomma – i quali non la pensano affatto così. E fanno di tutto per trasformare il nostro in un paese neutrale prima e poi addirittura impegnato nell’altro campo; in un paese che andrebbe a raggiungere il vasto ammasso dei terzaforzisti, per poi cadere nell’orbita sovietica.
Ma finché non imboccheremo la strada del terzo mondo e del relativo sottosviluppo, noi siamo un Paese occidentale e non possiamo non prendere atto che viviamo in un’epoca nella quale tende anche a scomparire il vecchio confine tra guerra e pace.
Abbiamo visto anche che per i comunisti ed i loro soci, non conta neppure più quello che si chiamava il “confine della Patria”. Essi parlano apertamente di guerra ideologica, prevedendo ed ipotizzando il rifiuto massiccio di obbedienza in caso di mobilitazione, predisponendo in varia guisa il conflitto civile di domani.
Ed anche questo gioca un ruolo determinante nella progressiva riduzione del confine tra guerra e pace.
Prendiamo atto della realtà così com’è, per quanto spiacevole essa sia: oggi siamo in tempi di guerra fredda, di costante aggressione ideologica, di sotterranea e fanatica erosione delle coscienze.
E vogliamo o non vogliamo difenderci dal comunismo internazionale, il quale attacca l’Occidente dovunque è possibile, aizzando senza tregua contro di noi i popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, ma aggiunge a questa lotta un’altra azione, più insidiosa e sottile, che si svolge al di qua delle frontiere territoriali?
Vogliamo o non vogliamo difendere l’Europa, difendere l’Occidente, difendere i valori spirituali e culturali che esso ha elaborato e che sostanziano la nostra civiltà? O dobbiamo sul serio rassegnarci al grigiore collettivista che ha reso drammatica la vita nell’Oriente europeo, per poi scivolare sul pantano inconcludente di quel sovietismo che non riesce a risolvere i problemi elementari dell’esistenza del popolo russo?
Siamo in tempi di scelte fondamentali e ad esse non si può sfuggire, perché è la realtà stessa e proporcele e ad imporle.
Siamo in tempi di guerra rivoluzionaria, ecco tutto, e l’Esercito, e tutte le Forze Armate non possono non tenerne conto.
Sull’esempio di quanto hanno fatto e stanno facendo le forze Armate di tutti i paesi, in base alle responsabilità che ci derivano dalle Alleanze in atto, nel quadro della più ampia e leale solidarietà con il mondo occidentale.
Su questi temi si è dunque sviluppata, per la durata di mesi, in perfetta concomitanza, la polemica all’interno delle Forze Armate e la campagna scandalistica delle sinistre contro il Capo di Stato Maggiore Difesa, quando il 20 giugno il Capo di Stato Maggiore Esercito dava nuove disposizioni, con le quali faceva completamente marcia indietro su ciò che aveva deciso con le disposizioni del 21 aprile e del 2 maggio. Non staremo a dire del presumibile stupore dei quadri e dei reparti dipendenti, mentre sarebbe interessante rivelare le ragioni di questo improvviso cambiamento di rotta.
Parlando qui appresso della questione politica, potremo orientarci anche a questo proposito.

 

Ricordando Valpreda, a 50 anni dalla strage di Stato, con Gianfranco Manfredi

Venerdì 21 giugno 2019 alle ore 21:00, presso il Circolo Anarchico PONTE DELLA GHISOLFA, in viale Monza 255 a Milano:

1969-2019 – a 50 anni da Piazza Fontana incontriamo Gianfranco Manfredi, indimenticato cantautore, ora autore di fumetti.

Gianfranco ci presenterà, insieme al disegnatore Roberto Rinaldi, i suoi ultimi due lavori per Bonelli Editore: “Autunno Caldo” e “La strage“. Due importanti contribuiti alla difesa della memoria e alla comprensione del presente.

L’evento si svolgerà nella Sala Pinelli del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa e sarà anche un’occasione per ricordare Pietro Valpreda, ingiustamente accusato della strage e scomparso nel 2002.

Oltre a Gianfranco Manfredi avremo interventi di Saverio Ferrari ( Osservatorio democratico sulle nuove destre ), Gianni Mackinson e Mauro Decortes ( entrambi del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa ) e un intervento di Roberto Gargamelli, amico e compagno di Pietro Valpreda ed anche di Emilio Borghese.