C’era una volta Barcellona

Vi presentiamo la guida a Barcellona anarchica di Leonardo Meraviglia.

 

STORIE DEL MONTJUICH La Colonia Iulia Augusta Faventia Paterna Barcino fu eretta in una posi-zione favorevole per il controllo del territorio, posizionata com’era fra il mare e le montagne in una zona pianeggiante ben adatta alle coltivazioni.
Non aveva grandi dimensioni ma indubbiamente era ricca in virtù dei floridi commerci, soprattutto vino, sale e ceramiche. In città si era sviluppate manifat-ture che producevano il garum, una pasta di pesce macerata nel sale partico-larmente apprezzata in tutto l’impero. La via Augusta la collegava direttamente a Roma e le sue 70 torri distribuite lungo le mura le davano l’aspetto di una fortezza del tutto inespugnabile e ne testimoniavano l’importanza strategica. Alle sue radici Barcellona rimase per secoli fedele. Attorno alla città romana si sviluppò progressivamente quello che divenne uno dei centri urbani più importanti d’Europa e che tale rimane ancora oggi.
Il sovrano Filippo V e i suoi successori, timorosi dei fermenti autonomistici che con forza secolare agitavano di continuo la Catalogna, l’avevano stretta nel ferreo controllo dell’esercito e della Chiesa Cattolica, gli antichi puntelli della monarchia assolutistica iberica sin dal tempo dei sovrani della Reconquista. La città era soffocata dalle mura, entro le quali si aprivano sei porte, e la popo-lazione complessiva ammontava a circa 180.000 abitanti, compresi quelli resi-denti alla Barceloneta e ad Hostfranc, con la presenza di numerosi stranieri, fra i quali circa 5.000 francesi per lo più esuli dopo la rivoluzione del 1848. La presenza militare era evidente nei luoghi che stringevano la città verso il mare:
il Castello del Montjuich da un lato e la Ciutadela dall’altro, nonché dalle caserme sul lato del porto e nella parte più interna della cinta muraria. Chiese e conventi erano disseminati ovunque, in particolare lungo il percorso delle Ramblas, allora ancora costeggiate dalle mura. In pratica l’area urbana corrispondeva agli attuali quartieri del Raval, del Barrio Gotic e del fronte portuale, ovvero quelli che di fatto costituiscono la città vec-chia.
L’avanzante processo di industrializzazione era per altro evidente già alla metà del secolo XIX: in città erano attive ben 130 manifatture, 800 botteghe e 60 fabbriche per un totale di oltre 54.000 lavoratori, di cui il 41% impiegati nel solo ramo del tessile.

 

Di seguito le cinque parti della guida

1 – MONTJUICH

2 – RAVAL

3 – GRANDE BARCELLONA

4 BARCELLONA RIVOLUZIONARIA

5 – BARCELLONA SILENZIOSA

 

 

 

 

 

 

«Il Pkk ha compiuto la sua missione»: fine della lotta armata

Da il manifesto

«Il Pkk ha compiuto la sua missione storica». Con queste parole, e con una dichiarazione che ha il peso di una cesura epocale, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan ha annunciato ieri lo scioglimento della sua struttura organizzativa e la fine della lotta armata. Dopo quarant’anni di conflitto con lo Stato turco, il partito fondato da Abdullah Öcalan chiude un ciclo e apre un nuovo fronte esclusivamente politico, civile, democratico.

IL 12° CONGRESSO – l’ultimo nella storia del Pkk – ha riunito 232 delegati «in condizioni di sicurezza nonostante le difficili circostanze, tra cui incessanti attacchi aerei e terrestri, l’accerchiamento delle nostre aree e un embargo continuo da parte del Partito Democratico del Kurdistan (Kdp)», si legge nel comunicato conclusivo del congresso. Tra loro, in prima fila, Cemil Bayik e Duran Kalkan, unici presenti ad aver partecipato al congresso di fondazione del partito, avvenuto il 27 novembre 1978 nel villaggio di Fis. In apertura dei lavori è stata annunciata la morte di due storiche figure del movimento, Ali Haydar Kaytan – anche lui tra i ventidue fondatori – e Rıza Altun, alle quali il congresso è stato dedicato.

IL PKK È STATO una delle espressioni più durature della lotta armata in Medio Oriente. Come quasi tutti i movimenti armati del suo tempo, la sua storia militare inizia nella valle della Bekaa, nel sud del Libano, dove il partito aveva trovato rifugio dopo il sanguinoso colpo di Stato militare del settembre 1980 in Turchia. Quando Israele lanciò la sua invasione su larga scala del Libano nel 1982, ai combattenti del Pkk fu assegnato dal quotidiano Serxwebun il titolo di «eroi del Castello di Beaufort», un forte risalente ai tempi delle Crociate, situato a meno di cinque chilometri dal confine israeliano, in cui i militanti curdi opposero una feroce e disperata resistenza. Due anni dopo, il 15 agosto 1984, l’esperienza maturata nella Bekaa venne messa in pratica nella prima azione armata del Pkk contro lo Stato turco, che diede inizio al conflitto terminato, almeno in teoria, con il 12° congresso.

Per oltre un decennio il Pkk ha sfidato lo Stato turco con l’obiettivo di gettare le basi per la fondazione di un Kurdistan socialista, sopravvivendo alla caduta del Muro di Berlino e allo sfaldamento del blocco socialista. Nel 1993, durante la fase più cruenta del conflitto, Öcalan lanciò la prima proposta di pace, accettata dall’allora presidente turco Turgut Özal, seguita da un cessate il fuoco unilaterale e incondizionato del Pkk. La morte di Özal, tuttavia, determinò la fine del primo, fragile tentativo di giungere a una soluzione politica per la questione curda.

DOPO LA CATTURA di Öcalan, avvenuta nel 1999 nel contesto di un viaggio alla ricerca di un paese europeo disposto a supportare un nuovo processo di pace, il movimento visse un periodo di ristrutturazione interna che portò, da un lato, all’abbandono di figure chiave del partito, tra cui il fratello minore di Abdullah Öcalan, Osman e, dall’altro, al «cambio di paradigma»: il passaggio da partito-guerriglia dedito alla fondazione di uno Stato socialista curdo a organizzazione decentrata, focalizzata sulla democratizzazione della regione secondo il paradigma del Confederalismo democratico, ideato in carcere proprio da Abdullah Öcalan. Un’ulteriore svolta arrivò nel 2013, quando un appello di Öcalan, non dissimile da quello del 27 febbraio scorso, portò al ritiro delle forze di guerriglia dalla Turchia.

In quel caso, il messaggio fu il risultato dei «colloqui di Oslo», iniziati nel 2007. Il cessate il fuoco bilaterale che ne conseguì, anche se breve, consentì al Pkk di concentrare i propri sforzi militari contro l’ascesa dello Stato islamico di Iraq e Siria, culminati nella vittoria di Kobane e il salvataggio degli ezidi intrappolati a Shengal nell’agosto 2014. Uno sforzo militare valso al partito una legittimità internazionale fino ad allora inedita, in cambio del sacrificio di migliaia di guerriglieri, tra cui alcuni dei comandanti più esperti.

Il passaggio sancito ieri rappresenta l’atto conclusivo di questa lunga transizione. Il Pkk si scioglie, ma lascia in eredità un’idea politica rinnovata, denominata nel comunicato finale «socialismo della società democratica»: una visione antigerarchica, femminista, ecologista e municipalista, che rifiuta tanto lo Stato-nazione quanto il socialismo statalista. La centralità del territorio, la parità di genere, la giustizia ecologica e la governance locale diventano i nuovi cardini.

UN’UTOPIA CONCRETA , già sperimentata nelle municipalità curde del sud-est della Turchia e nel nord-est della Siria, rispettivamente il nord e l’ovest del Kurdistan. Lo scioglimento del Pkk, inoltre, potrebbe aprire per l’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord-est l’opportunità di negoziare la sua posizione nella nuova Siria post-Assad da una migliore posizione, eliminando il principale fattore di legittimazione per le incursioni turche.

«Finora non c’è stato nessun accordo scritto o verbale tra il Pkk e lo Stato turco – ha detto Zagros Hiwa, portavoce del Pkk, al giornalista della Bbc Jiyar Gol – Quello che è avvenuto è una dichiarazione unilaterale di buona volontà da parte del Pkk, cui hanno fatto seguito dei passi concreti allo scopo di aprire la strada a una soluzione democratica della questione curda». Apparentemente, la sfida ora sarà passare da una «Turchia senza terrorismo», obiettivo dichiarato da Erdogan a una Turchia democratica.

«ORA È TEMPO che le altre parti interessate, in particolare lo Stato turco, prendano le necessarie misure politiche e legali verso una soluzione pacifica e democratica della questione curda – continua Hiwa – Quello che avverrà d’ora in poi dipende totalmente dalle misure legali e politiche adottate dallo Stato. Il leader Öcalan supervisionerà l’implementazione pratica di questo processo. Affinché sia in condizione di farlo, dovrebbe essere liberato dalla prigione e messo in condizione di lavorare liberamente in un ambiente sicuro».

Fonte

DALLA PARTE DEL SUOLO. L’ECOSISTEMA INVISIBILE – INCONTRO CON PAOLO PILERI

 

In uno strato sottilissimo di terra c’è la più alta densità vitale del pianeta. Il suolo è un ecosistema unico nel suo genere, di cui continuiamo a ignorare la bellezza. È anche quello più altruista, che permette di sopravvivere a tutto ciò che sta sopra. Eppure noi lo maltrattiamo, avveleniamo, distruggiamo. Per fermare al più presto il suo consumo, serve riscoprire la meraviglia sotto i nostri piedi. Tornare a prendersi cura della terra, per salvare noi stessi insieme a lei.

Presentazione con l’autore
giovedì 22 maggio alle 21:00

CIRCOLO ANARCHICO
PONTE DELLA GHISOLFA
VIALE MONZA 255 MILANO