Piazza Fontana: sterilizzare per pacificare

Qualche giorno fa si accennava al pericolo del revisionismo a proposito della strage di stato.
Credo di non essere il solo a percepirlo; siamo al suo cinquantenario e non è sbagliato aspettarsi tentativi di apporvi un sigillo finale, una interpretazione autentica e definitiva da tramandare ai posteri.
Sto parlando di una operazione di potere, di una narrazione funzionale al potere. Narrazione e realtà sono agli antipodi, è bene ricordarlo.
E’ necessario quindi fare attenzione a quanto nei prossimi mesi i media ci proporranno a proposito della strage di Piazza Fontana, dell’assassinio di Pinelli, dell’incarcerazione di Valpreda e di altri compagni, ammesso che di questi ultimi decidano di parlare.
E’ anche necessario precisare a questo proposito, che sono due i revisionismi possibili.

Il primo è quello che pretende di individuare i responsabili materiali e gli organizzatori della strage e della persecuzione contro gli anarchici in soggetti diversi da quelli individuati attraverso la controinformazione dei compagni, le inchieste di giornalisti coraggiosi e in parte i processi che si sono svolti: gruppi neofascisti, servizi segreti italiani e stranieri, basi NATO.
Affermare che i responsabili della strage sono altri da questi è revisionismo.

Ma non è questo che bisogna temere. Sono convinto che questa verità affermatasi in anni di lotte dure e tenaci sia, nonostante tutto, ancora difficile da negare.
Dobbiamo invece affrontare un altro revisionismo: quello dove i fatti sono affermati con enfasi e vigore.
Questo revisionismo non nega i fatti. Li sterilizza. E li sterilizza cancellando il contesto sociale e politico in cui sono avvenuti.
E lo fa parlando del dolore, dei morti, dei feriti e delle loro famiglie. Solo di quello. Niente altro.

Anni di informazione spazzatura, di giornalismo da riporto, di tv del dolore non sono passati invano. Quello sarà il linguaggio del potere.
Il revisionismo che sterilizza per pacificare sfrutta i sentimenti. Narra, ma non spiega.

Che vuol dire sterilizzare per pacificare? O meglio: che vuol dire pacificare? Non significa mettere pace. Nel linguaggio del potere una società è pacificata se sono scomparse tutte le possibilità di ribellione, se tutti sono rassegnati a non rivendicare una vita migliore. E la strage di stato fu proprio una reazione al ribellarsi di milioni di uomini e donne che proprio una vita migliore volevano. Qui, in Italia. E ve ne furono che, pensate, volevano persino una rivoluzione. Pacificare consiste nel convincere che la ribellione sia madre della violenza, della morte, del dolore, del lutto. Mentre è vero il contrario.
Dopo 50 anni il conto è ancora aperto e il potere proverà a chiuderlo perchè la necessità di una vita migliore, qui ed ora, rimane. Non è mai andata via.
Sta a noi provare ad opporci.

Opporci ricordando tutto e tutti a tutti e sforzandoci di usare un linguaggio diverso da quello del potere: quelli che lo fanno, anche se animati da buone intenzioni, diventano utile strumento di chi vuole pacificare.

Abbiamo qualche settimana davanti a noi, facciamone buon uso.

Facciamo del nostro peggio 😉

Marco