Dell’egotismo e delle sue applicazioni pratiche

hate crime mahurinDi fronte ai recenti fatti parigini non si può rimanere indifferenti, siamo davanti ad un azione eclatante,  e sotto molti aspetti nuova e inaspettata e probabilmente è sano il fatto che eventi simili ancora aprano un dibattito.
L’aspetto preoccupante è come sia il processo narcisistico a farla da padrone.
Seppur in buona fede, quel “Je suis charlie” che è stata la reazione di solidarietà più condivisa a caldo, è un richiamo diretto all’immedesimarsi.
Ma immedesimarsi davanti ad un attacco non può che portarci al considerare l’attacco come azione perpetrata da un agente esterno, quindi alla identificazione di un nemico.
Ognuno poi può dare al nemico la faccia che preferisce, la gamma può variare dal “burattinaio incompetente” al più classico “diverso”.
E mentre chi si basa su riflessioni geopolitiche ancorate a schemi vecchi di decenni si perde in giustificazioni terzomondiste semplicemente imbarazzanti, inizia ad affiorare la corrente del “Je ne suis pas” alimentata dalla giusta indignazione nei confronti dell’ipocrisia di chi non si sarebbe fatto nessuno scrupolo a biasimare (se non eliminare fisicamente) le vittime dell’attentato se fossero state “a casa sua”, assistiamo quindi a razionalizazioni basate sulla qualità delle vittime, dove per rispondere alla legittima domanda “perchè loro ci toccano ed altri no?” l’unica risposta che sembriamo riuscere a darci è il senso di colpa.
Intanto il processo di frammentazione, in atto divide sempre più l’opinione pubblica oramai affamata di colpevoli.

Forse in tutto questo si sta perdendo il senso dell’accaduto.

Diciassette persone sono morte pochi giorni fa in un grottesco atto teatrale che, da chiunque sia stato scritto e poi recitato, cerca esattamente la creazione di un “noi” e di un “loro”, cosa che a quanto pare gli sta riuscendo egregiamente.

Il fatto che un atto simile ci tocchi non è di certo sbagliato, ma è proprio in questi momenti che dovremmo stare più attenti a come comunichiamo e soprattutto a cosa veicoliamo, e se proprio c’è il bisogno di trovare un nemico, forse sarebbe una buona occasione di trovarlo in se stessi, riconoscendo quanto ancora condizionamenti millenari che spesso attribuiamo “all’altro” non abbiano per niente perso la loro efficacia, ricordandoci che finche quelle corde esisteranno ci sarà sempre qualcono pronto a tirarle.

Abbandonate le matite, la Francia si aggrappa alla bandiera.

Charlie Hebdo
Alla fine il giorno del grande cordoglio è arrivato. Moltissime persone, e per una volta la stima di un milione non sembra azzardata, si sono radunate in Place de la Republique a Parigi per manifestare il loro sdegno per la strage di Charlie Hebdo e quella di Portes de Vincennes. Una massa imponente di persone ha risposto compatta ad una serie di attacchi obiettivamente vili che sono costati la vita a molti innocenti.
Davanti alla tragedia, il popolo Francese reagisce con una delle più grandi manifestazioni di piazza che si sia mai vista nel paese.

Anche se davanti a fatti terribili come quelli dei giorni scorsi, un moto d’indignazione può essere per lo meno comprensibile, purtroppo,  molte cose  stonano. Innanzitutto la sfilata dei capi di stato e di governo, alcuni dei quali, vedi Netaniahu, si sono macchiati di crimini a mio avviso se possibile ancor più orrendi di quelli messi in atto dai due fratelli Algerini e dal loro sodale Coulibaly. Tra l altro proprio il governo israeliano, anni fa, arrivò a far uccidere il famoso vignettista palestinese Naji al ahli, che con le sue vignette raccontava l’occupazione con gli occhi di una bambina.

E poi tutte quelle bandiere francesi.
A me hanno fatto impressione. Avrei capito se i manifestanti avessero deciso di sfilare dietro il ben più unificante vessillo della bandiera della pace. Ma il fatto che in moltissimi abbiano scelto di sventolare il tricolore bianco rosso e blu, ci dice quanto il pericolo di rigurgiti nazionalisti e reazionari, sia reale. E ci dice anche che non c’è bisogno della Le Pen e dell’estrema destra per realizzare politiche reazionarie, che se queste hanno un volto “moderato”, sono più accettabili. Come da copione le masse hanno reagito rifugiandosi in un simbolo identitario, niente affatto pacificatore. E questo mi introduce dritto nella terza questione che mi porta a pensare che quella di oggi a Parigi sia stata una pessima giornata.

Se si escludono i rappresentanti “ufficiali” delle comunità islamiche, quella di oggi è stata una manifestazione in gran parte “bianca”. Cioè vi hanno partecipato quasi solo francesi doc, bianchi e appartenenti al ceto medio acculturato.
Le banlieus, i ragazzi e le ragazze dei quartieri dormitorio della cintura delle grandi città, sono stati i grandi assenti. Anzi, risulta che in diverse scuole dei quartieri, i ragazzi si siano rifiutati di osservare finanche il minuto di silenzio che un paio di giorni fa, aveva fatto fermare la Francia intera. Questo per dare la misura del senso di esclusione che intere generazioni di francesi di seconda generazione sentono nei confronti di un paese che sempre più appare patrigno o matrigno, un senso di esclusione alienante e pericoloso che rischia purtroppo di fomentare spaccature profonde e difficilmente sanabili fra la popolazione francese.

Insomma, a ben vedere, di motivi per rallegrarsi della folla oceanica di oggi, sembrano essercene ben pochi.

Il giorno delle matite spezzate

charlie-hebdo

Me la vedo la scena. Me li vedo che entrano nella saletta dove è riunito il comitato di redazione. Penso che fossero seduti. Oppure no. Non ha importanza. Un uomo di ottant’anni, un altro con una capigliatura assurda, due cinquantenni con la faccia da ragazzini, un po’ di umanità varia. Avranno detto al correttore di bozze, un uomo di origine araba, tu sei peggio di loro, tu lavori per questi cani infedeli, sei peggio di loro. Può essere persino che abbiano riso prima di compiere il macello.  Tanto sparavano ad un concetto, non a degli esseri umani.

C’è una tredicesima vittima della strage nella redazione di Charlie Hebdo.
Questa tredicesima vittima si chiama libertà.
Perché è evidente che nelle intenzioni di chi ha pensato, organizzato ed effettuato questo massacro, non c’era soltanto la voglia di ammazzare quei buontemponi di Wolinsky e company ma anche e soprattutto l’idea di fare in modo che tutto si riducesse ad uno scontro tra noi è loro. E ci sono riusciti benissimo. Perché nelle manifestazioni di cordoglio,  nelle fiaccolate, nei “Je suis Charlie” c’è implicito un senso di appartenenza, un richiamo all ovile , quel riflesso pavloviano che ci porta a cercare l’unità nazionale, il compromesso storico di fronte alle minacce o supposte tali.  E un giornale che vendeva appena 50000 copie, ed era per questo sull’orlo della chiusura, diventa per questo il ” nostro Charlie”.

Quanti tra coloro che oggi erano in Place de la Republique, andranno a ingrossare le fila di coloro che già votano per i neofascisti in doppio petto del Front National. Quanti tra coloro che stamattina postavano e retwittavano matite spezzate domani voteranno per la lega o i cinque stelle, e inneggeranno a forni e campi di sterminio?

Perché chiunque siano mandanti ed esecutori una cosa sicuramente l’hanno ottenuta. Riempiranno ancora di più chiese e moschee, dove andranno a rintanarsi i più, in attesa dell apocalisse finale, quel cosiddetto scontro tra civiltà che serve tanto a distrarre le masse dal futuro di sfruttamento che si prospetta per loro.

Perchè se Allah è grande anche Gesu non scherza