“Si, Paolo Finzi, io ero uno di quelli brutti, sporchi e cattivi… ed orgoglioso di esserlo stato” di Enrico Di Cola

Enrico Di ColaL’ultimo numero di A rivista anarchica è interamente dedicato a Pino Pinelli. All’interno vi è un articolo di Paolo Finzi intitolato Il mio Pino. Visto che in questo capitoletto si parla di tematiche legate all’essere anarchici, alla questione della violenza, oltre che del rapporto tra Valpreda e Pinelli vorrei anche io dire qualcosa al riguardo.

Il linguaggio

Quello che più colpisce in questo articolo è il livore e la volontà denigratoria che Finzi dimostra contro Pietro Valpreda e i compagni a lui vicini. E questo lo fa utilizzando un vocabolario tipicamente borghese e reazionario e mettendo in bocca a Pinelli pensieri che sono suoi. Ecco alcuni esempi: Pinelli sarebbe stato per “il rifiuto di ogni stolta esaltazione della violenza, di comportamenti anti-sociali, ecc.”, il rifiuto di chi “nei pur ristretti ambiti anarchici e libertari, si faceva portavoce di un anarchismo stiracchiato tra droga e bombette, estremismi verbali e sporcizia personale, irregolarità ed estemporaneità”.

Come tutti sappiamo Pinelli, per la sua età, faceva parte della generazione precedente a quella del ’68, all’epoca noi ragazzi lo vedevamo come un vecchio anche se in realtà aveva poco più di 40 anni. Era uno dei pochi compagni della generazione di mezzo, quelli cioè che erano stati troppo giovani per partecipare alla guerra di Spagna e nel 68 troppo vecchi per vivere fino in fondo i fermenti delle lotte studentesche. Pinelli inoltre era un lavoratore, un uomo sposato e con figli, uno cresciuto con la vecchia cultura anarchica. Sebbene fosse aperto e curioso di conoscere il nuovo, a differenza di Valpreda che era poco più giovane di lui, non seppe o non poté “diventare parte” del movimento, del nuovo che stava nascendo.

Lo potremmo definire un osservatore esterno, rispettoso di quanto stava germogliando attorno a lui in quegli anni. Per questo sono certo che le frasi di Finzi sopra riportate non facessero parte del suo bagaglio culturale. Sono convinto che si tratti invece del pensiero, della cultura piccolo borghese, gretta e reazionaria, di Paolo Finzi (quello di allora come quello di oggi) che evidentemente non venne mai neppure lontanamente scalfito dalla profonda rivoluzione culturale in atto in quegli anni.

“L’esaltazione stolta della violenza” vorrebbe dire forse che Pinelli era contrario a chi inneggiava a Bresci, a Caserio, e a tutti quegli anarchici che si erano immolati per la causa anarchica contro re e dittatori? Non credo proprio, come non credo che ci sia un solo anarchico che non rivendichi quelle azioni esemplari.

Nell’articolo di Finzi colpisce anche la deriva psuedo sociologica nella quale scivola quanto parla di “comportamenti anti-sociali” .

Se io colpisco dei simboli, come ad esempio una vetrina di una multinazionale americana o l’ufficio governativo di un paese dittatoriale (cose che io rivendico di aver fatto) non credo proprio che il mio sia un atteggiamento anti sociale. Ho semplicemente compiuto atti di cosciente solidarietà verso gli oppressi, ho cercato di rompere il silenzio complice degli Stati verso quelle dittature. E sono sicuro che Pinelli sapeva fare questa distinzione.

Finzi deve aver avuto un’infanzia molto infelice ed un’adolescenza ancor più triste. Quando parla di “anarchismo stiracchiato tra droga e bombette, estremismi verbali e sporcizia personale, irregolarità ed estemporaneità” parla infatti di un’intera generazione, di quella della contestazione globale, che va dai “figli dei fiori” ai Provos, per arrivare a noi anarchici sessantottini. Come centinaia, migliaia, di giovani tutti abbiamo passato in qualche modo queste fasi. Tutti abbiamo tirato qualche spinello, abbiamo lanciato qualche molotov, abbiamo alzato i toni della discussione estremizzando le nostre posizioni per provocare un qualche tipo di reazione da parte di un mondo popolato da zombies (anche anarchici). A volte ci è capitato di essere sporchi, e questo succedeva quando si viaggiava in autostop per cui ci si poteva solo arrangiare con qualche fontanella. Sebbene non sia rilevante, ad onor del vero devo dire che Valpreda anche in queste occasioni era sempre molto attento alla sua pulizia personale e viaggiava addirittura con una bottiglietta di alcol per disinfettarsi e migliorare la sua circolazione sanguigna.

Ma il mio record personale di sporcizia – sei giorni senza lavarmi – l’ho raggiunto quando sono stato ospite delle patrie galere, in cui la doccia era consentita una volta a settimana e per il resto avevi solo 15 minuti per sciacquarti e pulire il buiolo prima del rientro in cella! Naturalmente ero molto irregolare ed estemporaneo nel tirare molotov e lanciare pietre: lo facevo solo quando ero sicuro di non essere preso, quando ne avevo o mi si presentava l’occasione. Certamente non era una attività quotidiana! Povero Finzi, forse ci invidia perché noi osavamo fare quello che lui aveva paura di compiere, non ha saputo ribellarsi fino in fondo contro la famiglia e la società ed oggi – come tanti pentiti – rinnega tutto e tutti, rinnega il modo di essere e di vivere di un’intera generazione di ribelli!

Anarchia non vuol dire bombe?

Nel paragrafo intitolato Anarchia non vuol dire bombe leggiamo “… Vi si accenna (si parla della lettera inviata il 12 dicembre 1969 da Pinelli al compagno ingiustamente incarcerato per le bombe del 25 aprile, Paolo Faccioli) a quello che è sempre stato un nostro chiodo fisso: la questione della violenza, il tentativo del potere di far apparire gli anarchici per una banda di bombaroli ma anche il fianco, che spesso gli anarchici hanno prestato, a dar sostanza a questa vera e propria campagna di disinformazione. Qui si entra nella vexata questio del rapporto tra anarchia e violenza, rapporto fini-mezzi, dove finisce la necessità di autodifesa e le mille altre questioni connesse.

…… (Pinelli ndr) portava, in questa sua mirabilmente aperta prospettiva pluralistica, il segno delle proprie origini e della propria storia: la serietà, la credibilità, il rifiuto di ogni stolta esaltazione della violenza, di comportamenti anti – sociali, ecc. Nel solco della migliore tradizione dell’anarchismo.

Istintiva ed etica, prima ancora che politicamente motivata, la sua opposizione, il suo vero e proprio rifiuto di chi, invece, nei pur ristretti ambiti anarchici e libertari, si faceva portavoce di un anarchismo stiracchiato tra droga e bombette, estremismi verbali e sporcizia personale, irregolarità ed estemporaneità. E siccome questi atteggiamenti erano anche presenti ai margini dell’anarchismo militante, Pino era tra quelli che più lucidamente li avversavano. “

Non faccio mai citazioni di ‘’testi sacri’’ perché lo trovo una fastidiosa saccenteria, ma questa volta, visto che Finzi si fa arbitrariamente interprete del pensiero malatestiano, mi ci vedo costretto. Come tutti i “testi sacri” infatti, anche Malatesta può essere interpretato a proprio piacimento. A me piace fare queste di citazioni: “Gli anarchici non hanno ipocrisia. La forza bisogna respingerla colla forza: oggi contro le oppressioni di oggi; domani contro le oppressioni che potrebbero tentare di sostituirsi a quelle di oggi. (“Pensiero e Volontà”, 1 settembre 1924)”. “Gli anarchici sono contro la violenza. È cosa nota. L’idea centrale dell’anarchismo è l’eliminazione della violenza dalla vita sociale; è l’organizzazione dei rapporti sociali fondati sulla libera volontà dei singoli, senza l’intervento del gendarme. Perciò siamo nemici del capitalismo che costringe, appoggiandosi sulla protezione dei gendarmi, i lavoratori a lasciarsi sfruttare dai possessori dei mezzi di produzione o anche a restare oziosi ed a patire la fame quando i padroni hanno interesse a sfruttarli. Perciò siamo nemici dello Stato che è l’organizzazione coercitiva, cioè violenta, della società. Ma se un galantuomo dice che egli crede che sia una cosa stupida e barbara il ragionare a colpi di bastone e che è ingiusto e malvagio obbligare uno a fare la volontà di un altro sotto la minaccia della rivoltella, è forse ragionevole dedurre che quel galantuomo intende farsi bastonare e sottomettersi alla volontà altrui senza ricorrere ai mezzi più estremi di difesa?… La violenza è giustificabile solo quando è necessaria per difendere se stesso e gli altri contro la violenza. Dove cessa la necessità comincia il delitto… Lo schiavo è sempre in istato di legittima difesa e quindi la sua violenza contro il padrone, contro l’oppressore, è sempre moralmente giustificabile e deve essere regolata solo dal criterio dell’utilità e dell’economia dello sforzo umano e delle sofferenze umane. (“Umanità Nova”, 25 agosto 1921). Oppure ….. “Ma allora, si potrà domandare, perché nella lotta attuale contro le istituzioni politico-sociali, che giudicano oppressive, gli anarchici hanno predicato e praticato, e predicano e praticano, quando possono, l’uso dei mezzi violenti che pur sono in evidente contraddizione coi fini loro? E questo al punto che, in certi momenti, molti avversari in buona fede han creduto, e tutti quelli in mala fede han finto di credere che il carattere specifico dell’anarchismo fosse proprio la violenza? La domanda può sembrare imbarazzante, ma vi si può rispondere in poche parole. Gli è che perché due vivano in pace bisogna che tutti e due vogliano la pace; ché se uno dei due si ostina a volere colla forza obbligare l’altro a lavorare per lui ed a servirlo, l’altro se vuol conservare dignità di uomo e non essere ridotto alla più abbietta schiavitù, malgrado tutto il suo amore per la pace ed il buon accordo, sarà ben obbligato a resistere alla forza con mezzi adeguati. (“Pensiero e Volontà”, 1 settembre 1924). Ma anche: “… Questa rivoluzione deve essere necessariamente violenta, quantunque la violenza sia per sé stessa un male. Deve essere violenta perché sarebbe una follia sperare che i privilegiati riconoscessero il danno e l’ingiustizia dei loro privilegi e si decidessero a rinunciarvi volontariamente. Deve essere violenta perché la transitoria violenza rivoluzionaria è il solo mezzo per metter fine alla maggiore e perpetua violenza che tiene schiava la grande massa degli uomini. (“Umanità Nova”, 12 agosto 1920).

Pinelli era dunque contrario alla violenza? Certamente si, come tutti gli anarchici. Ma questo non significa che fosse un pacifista. Pinelli non aiutava forse la resistenza, anche armata, in Grecia e Spagna? Non sosteneva forse i compagni arrestati ingiustamente (perché innocenti) a Milano per le bombe del 25 aprile? O Finzi vuol farci credere che Pinelli e Croce Nera fossero ignari che alcuni di questi compagni qualche bomba dimostrativa l’avessero messa davvero?

Se Finzi vuole fare questo gioco, quello di cercare di far passare Pinelli per un santino buono per tutte le stagioni, che stia molto attento. Finzi e A rivista vogliono che parliamo di personaggi come Gianfranco Bertoli? Noi siamo pronti a parlare anche di queste cose se proprio volete. Oppure solo Valpreda è da isolare e disprezzare pubblicamente? Vedi Finzi, la storia è storia, e non quella che uno vorrebbe che sia! Giù le mani da Pietro una volta per tutte!

Dell’allontanamento di Valpreda dal Ponte della Ghisolfa da parte di Pinelli dopo una sua “iniziativa sconsiderata” ne abbiamo già parlato a sufficienza e con una testimonianza importante: quella del compagno Paolo Braschi che era presente ai fatti.

Tralasciamo la presunta analogia con quanto sarebbe avvenuto a Roma. Intanto precisiamo per l’ennesima volta che la sede del Bakunin non era in via dei Taurini (dove all’epoca c’era solo la redazione di Umanità Nova) bensì in via Baccina. E poi la cosa fu ben diversa. Diversa perché in questo caso ci si basò solamente su voci e supposizioni – poi verificatesi totalmente infondate – della cui diffusione il primo responsabile, anche se involontario, fu proprio Pinelli. Anche su questo abbiamo scritto e scriveremo ancora per fare il massimo di chiarezza su questo episodio.

Quale è la vera identità politica di Pino Pinelli.

Anche su questa questione Paolo Finzi gioca sul massimo dell’ambiguità, vediamo come: Finzi scrive che “Pino era militante del gruppo Bandiera Nera, aderente (in successione) ai Gruppi giovanili anarchici federati (Ggaf) e poi ai Gruppi anarchici federati (Gaf). Anche se nel 1965 il suo nome compare tra i partecipanti a una riunione pisana dei Gruppi d’iniziativa anarchica (Gia) nati in quell’anno in contrasto con la linea organizzativa della maggioritaria Federazione anarchica italiana (Fai)”. Siccome Bandiera Nera e GAF nascono nel biennio ’68-’69 Finzi vorrebbe farci credere – o forse sono io a dargli questa interpretazione maliziosa – che Pinelli fosse stato solo un casuale partecipante (notare che qui Finzi non parla di militanza ma di semplice partecipazione di Pinelli) ad una riunione dei Gia. Insomma, un semplice passante. Peccato che stiamo parlando del Convegno di fondazione dei Gia, e non di una riunione qualsiasi. Così come dovrebbe spiegarci come mai nel novembre 1969 Pino si trovasse ad Empoli al Convegno dei GIA. Era un “passante” anche in quella occasione? E la sua lettera di richiesta di adesione ai Gia (che si trova negli archivi di Aurelio Chessa) è forse stata scritta da altri? Ma ci faccia il piacere!

Quel giorno a Milano era freddo

Anche qui Finzi mostra il suo lato migliore. Il paragrafo inizia così: “Sulla questione (quale questa sia Finzi ce lo dirà più avanti) c’è stata una polemica (se ne trova traccia in rete) tra alcuni coimputati di Valpreda per la strage di piazza Fontana e dintorni contro il sottoscritto, per quanto da me scritto nel necrologio dello stesso Valpreda (“A” 284, ottobre 2002). Scusandomi per eventuali piccole imprecisioni nel ricordo, confermo che in un corteo in piazza Duomo nel 1969 ho visto e sentito Valpreda e una decina di suoi compagni urlare “Bombe, sangue, anarchia”, con noi del circolo dietro a cercare – pateticamente – di coprire le loro urla con un ritmato “Cafiero, Malatesta, Bakunin”. Si era alla rottura. Che avvenne proprio anche grazie a Pinelli, con il rinfacciare in un incontro a Valpreda e ai suoi compagni l’inaccettabilità di un simile comportamento pubblico e la definitiva divergenza delle rispettive strade”.

Ringraziamo Finzi per etichettarci come “coimputati” di Valpreda piuttosto che come compagni. Da lui essere chiamato compagno lo riterrei un insulto. Inoltre le sue non erano affatto ‘’piccole imprecisioni’’ e quindi quelle false scuse (peraltro giunte con 10 anni di ritardo) non sono credibili. Entrambi gli articoli li troverete sul nostre Blog stragedistato.wordpress.com per cui rimandiamo a quanto già da noi scritto.

Per finire non possiamo non sottolineare la confusione della ricostruzione di Finzi che prima sostiene che Valpreda fu cacciato dal Ponte “dopo una iniziativa sconsiderata” e alcune righe più sotto attribuisce l’allontanamento allo slogan “bombe, sangue, anarchia” gridato da Valpreda durante una manifestazione.

Un’ultima cosa mi interesserebbe sapere: stiamo parlando di un gruppo anarchico o di cosa? E se si, vorrei sapere se davvero Pinelli, da solo, senza consultarsi con nessuno, avesse il potere di cacciare o meno dei compagni.

Qualche anno fa, Paolo Finzi fu invitato ad un pubblico confronto con alcuni compagni dell’ex 22 Marzo organizzato dal gruppo Fai di Roma. Prima aderì all’invito ma all’ultimo momento, il giorno stesso dell’incontro, disse che era malato e non si presentò. Intanto certi signori di Milano seguitano a parlare di noi come se non esistessimo e come se loro fossero i detentori della verità! Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: che nessuno si permetta più di (s)parlare a nome nostro e della nostra storia!

Enrico Di Cola

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