Abbandonate le matite, la Francia si aggrappa alla bandiera.

Charlie Hebdo
Alla fine il giorno del grande cordoglio è arrivato. Moltissime persone, e per una volta la stima di un milione non sembra azzardata, si sono radunate in Place de la Republique a Parigi per manifestare il loro sdegno per la strage di Charlie Hebdo e quella di Portes de Vincennes. Una massa imponente di persone ha risposto compatta ad una serie di attacchi obiettivamente vili che sono costati la vita a molti innocenti.
Davanti alla tragedia, il popolo Francese reagisce con una delle più grandi manifestazioni di piazza che si sia mai vista nel paese.

Anche se davanti a fatti terribili come quelli dei giorni scorsi, un moto d’indignazione può essere per lo meno comprensibile, purtroppo,  molte cose  stonano. Innanzitutto la sfilata dei capi di stato e di governo, alcuni dei quali, vedi Netaniahu, si sono macchiati di crimini a mio avviso se possibile ancor più orrendi di quelli messi in atto dai due fratelli Algerini e dal loro sodale Coulibaly. Tra l altro proprio il governo israeliano, anni fa, arrivò a far uccidere il famoso vignettista palestinese Naji al ahli, che con le sue vignette raccontava l’occupazione con gli occhi di una bambina.

E poi tutte quelle bandiere francesi.
A me hanno fatto impressione. Avrei capito se i manifestanti avessero deciso di sfilare dietro il ben più unificante vessillo della bandiera della pace. Ma il fatto che in moltissimi abbiano scelto di sventolare il tricolore bianco rosso e blu, ci dice quanto il pericolo di rigurgiti nazionalisti e reazionari, sia reale. E ci dice anche che non c’è bisogno della Le Pen e dell’estrema destra per realizzare politiche reazionarie, che se queste hanno un volto “moderato”, sono più accettabili. Come da copione le masse hanno reagito rifugiandosi in un simbolo identitario, niente affatto pacificatore. E questo mi introduce dritto nella terza questione che mi porta a pensare che quella di oggi a Parigi sia stata una pessima giornata.

Se si escludono i rappresentanti “ufficiali” delle comunità islamiche, quella di oggi è stata una manifestazione in gran parte “bianca”. Cioè vi hanno partecipato quasi solo francesi doc, bianchi e appartenenti al ceto medio acculturato.
Le banlieus, i ragazzi e le ragazze dei quartieri dormitorio della cintura delle grandi città, sono stati i grandi assenti. Anzi, risulta che in diverse scuole dei quartieri, i ragazzi si siano rifiutati di osservare finanche il minuto di silenzio che un paio di giorni fa, aveva fatto fermare la Francia intera. Questo per dare la misura del senso di esclusione che intere generazioni di francesi di seconda generazione sentono nei confronti di un paese che sempre più appare patrigno o matrigno, un senso di esclusione alienante e pericoloso che rischia purtroppo di fomentare spaccature profonde e difficilmente sanabili fra la popolazione francese.

Insomma, a ben vedere, di motivi per rallegrarsi della folla oceanica di oggi, sembrano essercene ben pochi.

Il giorno delle matite spezzate

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Me la vedo la scena. Me li vedo che entrano nella saletta dove è riunito il comitato di redazione. Penso che fossero seduti. Oppure no. Non ha importanza. Un uomo di ottant’anni, un altro con una capigliatura assurda, due cinquantenni con la faccia da ragazzini, un po’ di umanità varia. Avranno detto al correttore di bozze, un uomo di origine araba, tu sei peggio di loro, tu lavori per questi cani infedeli, sei peggio di loro. Può essere persino che abbiano riso prima di compiere il macello.  Tanto sparavano ad un concetto, non a degli esseri umani.

C’è una tredicesima vittima della strage nella redazione di Charlie Hebdo.
Questa tredicesima vittima si chiama libertà.
Perché è evidente che nelle intenzioni di chi ha pensato, organizzato ed effettuato questo massacro, non c’era soltanto la voglia di ammazzare quei buontemponi di Wolinsky e company ma anche e soprattutto l’idea di fare in modo che tutto si riducesse ad uno scontro tra noi è loro. E ci sono riusciti benissimo. Perché nelle manifestazioni di cordoglio,  nelle fiaccolate, nei “Je suis Charlie” c’è implicito un senso di appartenenza, un richiamo all ovile , quel riflesso pavloviano che ci porta a cercare l’unità nazionale, il compromesso storico di fronte alle minacce o supposte tali.  E un giornale che vendeva appena 50000 copie, ed era per questo sull’orlo della chiusura, diventa per questo il ” nostro Charlie”.

Quanti tra coloro che oggi erano in Place de la Republique, andranno a ingrossare le fila di coloro che già votano per i neofascisti in doppio petto del Front National. Quanti tra coloro che stamattina postavano e retwittavano matite spezzate domani voteranno per la lega o i cinque stelle, e inneggeranno a forni e campi di sterminio?

Perché chiunque siano mandanti ed esecutori una cosa sicuramente l’hanno ottenuta. Riempiranno ancora di più chiese e moschee, dove andranno a rintanarsi i più, in attesa dell apocalisse finale, quel cosiddetto scontro tra civiltà che serve tanto a distrarre le masse dal futuro di sfruttamento che si prospetta per loro.

Perchè se Allah è grande anche Gesu non scherza

Torneranno i prati [spoiler]

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La trincea è buia, fredda, umida. Ci si sta accalcati, appiccicati ai propri umori, agli odori, ai sudori. C’è pochissimo spazio. Nella trincea si sta immobili, ci si ravviva solo quando arriva la posta. C’è il soldato che non ne riceve mai, di posta. Perché non ha più una moglie che lo aspetta a casa. Perché l’unica volta che è tornato, l’ha trovata a letto con un altro. Oppure quando arriva il rancio. Rumore di gamelle e una brodaglia scura, nella quale galleggiano come stracci pochi pezzi di carne sconosciuta, fette di pane duro, che sembra fatto con la segatura.
Non c’è spazio per il cameratismo nel film di Olmi. Non si vedono le foto di donnine poco vestite appiccicate alla branda, non ci si scambia pacche sulle spalle, non si sorride mai. Tutta la vicenda del film si svolge in una notte. La notte in cui sulla trincea, uno sperduto avamposto di alta montagna, piove un ordine insensato. Bisogna fare arrivare il filo del telefono fino ad un punto di osservazione situato una ventina di metri fuori dalla trincea. Strisciare sulla neve, nella notte illuminata dai bengala che preparano l’imminente attacco nemico, completamente allo scoperto, per portare il filo del telefono al punto di osservazione e da li, comunicare al comando quel che si vede.
Non ci sono atti di eroismo nel film di Olmi. Continua a leggere