La lingua del terzo reich – Variante italiana

La lingua del terzo reich – Variante italiana

“….nella “organizzazione tedesca dei gatti” – non scherzo, così si chiamava il bollettino di informazioni della società, divenuto organo del partito – non c’era più posto per quegli animali che, dimentichi della purezza della razza, continuavano a rimanere in casa di ebrei. Più tardi ce li tolsero, anche, i nostri animali domestici: gatti, cani e persino canarini vennero portati via e uccisi, non in casi isolati o per spregio a opera di singoli, ma per ordini superiori e con sistematicità”.( Victor Klemperer )
Victor Klemperer è l’autore di “La lingua del terzo reich – tacquino di un filologo” un’opera che analizza e spiega la distorsione e la manipolazione della lingua tedesca ad opera del potere nazista allo scopo di ottenere e mantenere il consenso della popolazione.
Ma queste tecniche non sembrano cadute in disuso, ne troviamo esempi quando si parla di “dittatura sanitaria”, “stella gialla”, ecc.
Sarebbe meglio riconoscere sul nascere le condizioni che possono portare al formarsi di movimenti autoritari .
Un breve saggio qui di seguito
LTI, il diario che spiegò la lingua dell’ideologia nazista
di Claudia Buffagni*
Ultimo figlio di un rabbino, Victor Klemperer nacque a Landsberg an der Warthe (ora Gorzów Wielkopolski, Polonia) nel 1881. Studioso di filologia romanza e germanica formatosi con Carl Vossler (Kämper 2001), si convertì al protestantesimo (una prima volta nel 1903, poi nuovamente nel 1912) per ragioni a un tempo professionali e ideali, e nel 1921 divenne professore di filologia romanza al Politecnico di Dresda, ma nel 1935, a causa delle sue origini ebraiche, dovette lasciare la cattedra universitaria. Salvo brevi periodi, risiedette nella città sassone fino alla morte (1960). Grazie al matrimonio misto (Mischehe) con la pianista ariana Eva Schlemmer (1882-1951) evitò la deportazione.
La lingua ufficiale e gli acronimi
La sua fama è legata in larga misura a LTI. Notizbuch eines Philologen (LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo), diario-saggio nel quale annotò, come forma di resistenza alle violente disposizioni che giornalmente colpivano gli ebrei, esempi e spiegazioni delle manipolazioni operate sulla lingua tedesca dal nazionalsocialismo. Il titolo LTI (Lingua Tertii Imperii, “Lingua del Terzo Reich”), scelto per prendersi gioco della tendenza a creare acronimi della lingua ufficiale nazista (BDM per Bund deutscher Mädel, “lega delle ragazze tedesche”, SA per Sturmabteilungen, “squadre d’assalto”), divenne poi per il suo autore una formula magica da ripetere a sé stesso per sopravvivere alle progressive privazioni e mortificazioni cui fu sottoposto in quei lunghi anni.
Pubblicato nel 1947 nella DDR, il volume vi ebbe una buona risonanza, mentre la sua ricezione fu più marginale nella Repubblica Federale Tedesca (BRD), anche dopo la sua assai più tardiva pubblicazione all’Ovest (1966). Tradotta in numerose lingue, LTI ha vissuto una riscoperta dopo la pubblicazione degli ampi diari di Klemperer (1995) ed è una fonte autentica di valore indiscusso per lo studio della lingua quotidiana durante il nazismo.
Dalla declamazione al rullo di tamburi
L’autore riconduce le caratteristiche principali del linguaggio del Terzo Reich al Mein Kampf (1926) di Adolf Hitler e all’opera instancabile di Joseph Goebbels, ministro della propaganda. La lingua che ne risulta, creata da un ristretto gruppo di persone riutilizzando limitati moduli e stilemi del passato, è unicamente pensata per la declamazione, l’incitamento e il comando ed è pertanto per sua natura estremamente povera e ripetitiva. L’opera mostra una prospettiva semiotica innovativa, includendo nell’analisi, in anticipo sui tempi, anche aspetti extralinguistici, per l’importante ruolo svolto nella trasmissione dell’ideologia totalitaria: dalle marce al rullo di tamburi (Tambour), dai saluti con la mano tesa al tribuno che incita la folla (Kinne e Schwitalla 1994:3sgg).
Avvelenamento della lingua comune
Lo scopo perseguito dall’autore è in primis educativo: Klemperer intende infatti creare un documento autentico che preservi intatta la memoria della quotidianità durante la dittatura. Costruita in larga misura sui diari, LTI si presenta come un’opera composita, poiché ingloba appunti diaristici, riflessioni filologiche, osservazioni letterarie, antropologiche e politiche, assieme ad aneddoti autobiografici e dialoghi. Sulla scorta di numerosi esempi, l’autore mostra come il linguaggio ufficiale del nazionalsocialismo si insinui inavvertitamente, avvelenandola, nella lingua comune scritta e parlata, e dunque nel pensiero dei parlanti: la LTI è infatti un Gift (“veleno”).
I principali cambiamenti registrati riguardano l’ambito lessicale, in particolare nelle modifiche al significato di lessemi: durante il Terzo Reich molti termini assumono una diversa connotazione. Così anche fanatisch (‘fanatico’) diviene, da negativo (nel senso di ‘eccessivo, scostante’), positivo, poiché denota un’adesione cieca e totale all’unica visione ideologica consentita: si veda il frequentissimo “fanatischer Glaube” (‘fanatica fede’).
Eufemismi
Su tutto, domina l’uso di eufemismi di vario ordine, per mascherare o edulcorare la realtà: da Endlösung der Judenfrage, ‘soluzione finale della questione ebraica’ in sostituzione di “sterminio degli ebrei” a sich melden (‘presentarsi’) usato ora per indicare la necessità per gli ebrei convocati di comparire davanti alla Gestapo, con le conseguenze (maltrattamenti e probabile deportazione) correlate, fino a holen (‘prelevare’), riferito alla deportazione di ebrei (Bosco Coletsos 2003:301sgg).
Lo stesso fine di occultamento perseguono espressioni tratte dalla tecnica e dell’elettrotecnica, come Gleichschaltung, ‘sincronizzazione, allineamento’, riferita all’adattamento di strutture e istituzioni sociali all’ideologia del partito nazionalsocialista (NSDAP), che coincise con la chiusura delle organizzazioni non allineate. Oppure i frequentissimi forestierismi, apprezzati proprio per la loro nebulosità, come i verbi liquidieren, di uso tecnico nel linguaggio commerciale, usato nel Terzo Reich per indicare l’eliminazione fisica di persone, o diffamieren per ‘denigrare’.
Parole per spersonalizzare
Accanto alla diffusione di germanismi tesi a evocare la continuità con un antico passato, Klemperer mette poi in risalto la creazione di termini volti ad accelerare il processo di spersonalizzazione di gruppi umani ritenuti inferiori (ebrei, comunisti, omosessuali, disabili e altri), attuati con suffissi peggiorativi (Untermensch, ‘essere inferiore, subumano’) o tramite l’utilizzo di lessemi solitamente applicati a oggetti inanimati (Menschenmaterial, ‘materiale umano’). Anche i termini che designano professioni cambiano denominazione se riferiti ad esperti che operano con gli ebrei: il medico non è più Arzt ma Krankenbehandler (‘curatore di malato’), il servizio divino non più jüdischer Gottesdienst (‘servizio divino ebraico’), ma Judensgottesdienst (‘servizio divino degli ebrei’), termine che evidenzia un atteggiamento di disprezzo.
Un Führer da superlativo
Tra i mezzi linguistici volti a minimizzare gli aspetti critici del conflitto destinato alla sconfitta, si registra l’incremento di lessemi con prefisso ent- (“de-”) come entdunkeln, ‘togliere l’oscuramento’. Dal versante opposto, l’uso onnipresente del superlativo intende invece magnificare le azioni e le decisioni del Führer, novello salvatore, sia con aggettivi come einzig (‘unico’), historisch (‘storico’), total, sia con suffissi e lessemi superlativi come Welt- (‘mondo’): welthistorisch (‘di portata storica mondiale’) indica l’azione svolta da Adolf Hitler, Weltjudentum (‘giudaismo internazionale’) un nemico fortissimo da annientare.
L’unicità del testo risiede nell’originale combinazione di analisi linguistica, aneddoti e racconto autobiografico dalla prospettiva della vittima che registra con vividezza svariati esempi di assoggettamento all’ideologia nazista indotti dall’uso linguistico distorto. Particolarmente drammatici sono i passi dedicati alla descrizione dell’utilizzo inconsapevole della LTI da parte di valenti germanisti ebrei (capitolo “La lingua del vincitore”). Ma l’autore non manca di riconoscere con orrore tratti dell’idioma nazista tra i suoi compagni di sventura ebrei e, infine, nei suoi stessi usi linguistici (capitolo “Gli occhiali ebraici”; von Polenz 1999:554).
L’orrore e lo stile
Il tono elevato, i riferimenti colti e la piacevolezza del dettato di Klemperer lo rendono quanto di più distante dall’oggetto della sua analisi. Questo stridente contrasto costituisce, unitamente all’immediata drammaticità dei fatti riportati in prima persona, un sobrio ma efficacissimo atto d’accusa verso la LTI e il regime che l’ha promossa. In senso più ampio, l’opera rappresenta la sofferta riflessione di un letterato liberale tedesco della prima metà del Novecento sulla necessità di perseguire, non da ultimo tramite ampie e variegate letture, la formazione di un’autonoma coscienza critica come unica speranza di sfuggire ad un asservimento a discorsi pubblici che ciclicamente – e a diverse latitudini – si rivelano improntati ad irrazionale aggressività, esclusione, odio.
P.S. un post di Gianfranco Marelli ha mosso la mia curiosità e la mia memoria
Marco.
Bibliografia
Victor Klemperer, LTI. Lingua Tertii Imperii, Berlin, Aufbau, 1947 (Trad. it., LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, a cura di Elke Fröhlich, traduzione di Paola Buscaglione Candela, prefazione di Michele Ranchetti, Giuntina, Firenze, 2010).
Victor Klemperer, Ich will Zeugnis ablegen bis zum letzten. Tagebücher 1933-1945, a cura di Walter Nowojski con la collaborazione di Hadwig Klemperer, Berlin, Aufbau,1995 (trad. it. Diari 1933-45 Testimoniare fino all’ultimo – diari, a cura di Anna Ruchat e Paola Quadrelli, prefazione di Cesare Segre, Milano, Mondadori 2000).
Victor Klemperer, Und so ist alles schwankend. Tagebücher Juni bis Dezember 1945, a cura di Günter Jäckel, Berlin, Aufbau, 19963 (trad. it. E così tutto vacilla. Diario 1945, a cura di Anna Ruchat, Milano, Scheiwiller, 2010).
Victor Klemperer, So sitze ich denn zwischen allen Stühlen. Tagebücher 1945-1959, Berlin, Aufbau,1995.
Victor Klemperer, Leben sammeln, nicht fragen wozu und warum. Tagebücher 1918-1932, a cura di Walter Nowojski con la collaborazione di Christian Löser, Berlin, Aufbau 1996.
Sandra Bosco Coletsos, Storia della lingua tedesca, Torino, Rosenberg & Selliers, 2003.
Heidrun Kämper, “LQI – Sprache des Vierten Reichs. Victor Klemperers Erkundungen zum Nachkriegsdeutsch”, in Armin Burkhardt, Dieter Cherubim (a cura di), Sprache im Leben der Zeit. Beiträge zur Theorie, Analyse und Kritik der deutschen Sprache in Vergangenheit und Gegenwart. Helmut Henne zum 65. Geburtstag, Tübingen, Niemeyer, p. 175-194.
Michael Kinne, Johannes Schwitalla, Sprache im Nationalsozialismus, (Studienbibliographien Sprachwissenschaft; Bd. 9), Heidelberg, Groos, 1994.
Donatella Mazza (a cura di), La lingua tedesca. Storia e testi, Roma, Carocci, 2013.
Peter von Polenz, Deutsche Sprachgeschichte vom Spätmittelalter bis zur Gegenwart, Band III, 19. und 20. Jahrhundert, Berlin, De Gruyter, 1999.
*Claudia Buffagni, dottore di ricerca in germanistica, è ricercatrice all’Università per Stranieri di Siena. I suoi ambiti di ricerca sono il linguaggio giornalistico tedesco in ottica contrastiva con l’italiano, i connettivi, la sottotitolazione di film e cortometraggi tedeschi in italiano e l’apprendimento del tedesco da parte di studenti universitari italofoni. Tra le sue pubblicazioni si ricordano Linguistik und Sprachdidaktik im universitären DaF-Unterricht, Waxmann, Münster 2012, curata con A. Birk, il saggio Anredeformen zwischen Beziehungsmanagement und Selbstrepräsentation. Die italienische Untertitelung von “Rosenstraße” (2003) und “Die Fälscher” (2007) (P. Lang 2016) e la monografia Dalla voce al segno. Sottotitoli italiani di film d’autore in inglese, spagnolo e tedesco, Milano, Hoepli, 2017, con S. Bruti e B. Garzelli.

15 dicembre 2019 anche questo è memoria – podcast

Vi proponiamo l’ascolto di una serie di interventi registrati durante la serata del 15 dicembre 2019, cinquantesimo anniversario dell‘assassinio di Giuseppe Pinelli.

Gli interventi sono stati di Mauro Decortes, Saverio Ferrari, Enrico Di Cola, Roberto Gargamelli, Emilio Borghese.( Purtroppo per problemi tecnici l’intervento di Borghese non è al momento disponibile )

L’iniziativa si è svolta allo lo Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo

 

  

Ascolta il podcast

Cuba: intervista a Octavio Alberola

 

Intervista al militante libertario spagnolo e veterano della lotta antifranchista Octavio Alberola sull’angolazione anarchica su Cuba, pubblicata originariamente sul mensile venezuelano El Libertario nel 2004.

Tra l’altro Octavio Alberola è attualmente la forza trainante del GALSIC (Gruppo di supporto per i libertari e i sindacalisti indipendenti a Cuba), una rete di supporto e informazione che, di concerto con il Movimento Libertario Cubano in Esilio (MLCE), denuncia gli eccessi di La multiforme dittatura di Fidel Castro dal punto di vista anarchico.

El Libertario: Qual è il problema dell’anarchismo con la cosiddetta rivoluzione cubana?

Octavio Alberola: In sostanza, che non è affatto una rivoluzione sociale, ma uno stratagemma semantico per mascherare la sua vera essenza e la realtà di una dittatura populista. Certo, c’è la questione della mancanza di diritti umani fondamentali (diritti di opinione, espressione e assemblea), negata ai cubani da una dittatura totalitaria. Gli anarchici vedono tali diritti come inalienabili.

Ma la nostra critica al castrismo – perché la cosiddetta “rivoluzione cubana” è semplicemente un potere totalitario messo a punto al servizio di Fidel Castro – va ben oltre la semplice rivendicazione di quei diritti. Noi anarchici abbiamo sempre combattuto, e sempre lotteremo, per la liberazione umana, per porre fine allo sfruttamento e al dominio. Non solo di una classe per un’altra, ma anche dell’uomo per il suo prossimo. L’ideale comunista prevedeva una società senza sfruttati né sfruttatori, né governati né governanti.

Di conseguenza, la rivoluzione avrebbe dovuto abbattere le strutture che consentono al Capitale e allo Stato di sfruttare e governare. Un cambiamento politico che non riesce a distruggere quelle strutture e le mette semplicemente al servizio di un nuovo gruppo sociale, partito o leader, non fa nulla per alterare lo status di sfruttato del lavoratore o per liberare il cittadino dal suo status di governato. Un tale cambiamento non è quindi rivoluzione sociale, a meno che il termine non sia inteso come un semplice cambiamento di governanti attraverso un colpo di stato o una rivolta armata.

Ed è quello che è successo a Cuba. Il posto di Batista al potere fu preso da Castro. Solo che, per consolidare la sua egemonia e aggrapparsi al potere, Castro si avvalse di un travestimento ideologico, di “rivoluzione” marxista, rappresentandolo come sinonimo di se stesso e viceversa. Non fu il primo a ricorrere a questo stratagemma. Stalin, Mao e molti dei leader delle lotte di decolonizzazione in Asia e in Africa prima di lui lo avevano fatto per prendere il potere e aggrapparsi ad esso. Così, come in molti di questi casi, anche a Cuba una rivoluzione di quel genere significava solo l’imposizione di una dittatura totalitaria e del capitalismo di stato. Cioè, la sorte dei lavoratori è quella di essere e lavorare. Il potere ei privilegi riservati ai burocrati, la nuova nomenklatura. Ecco perché nessuno dei suddetti “esperimenti” ha riguardato la schiavitù salariale, agenzie repressive, esercito, ecc. Al contrario: si è imposto un sistema di sorveglianza poliziesca e un sistema di partito unico, sindacato unico, stampa unica, ecc., per tenere sotto controllo il popolo e impedirgli di pensare da solo. Critichiamo e denunciamo la cosiddetta “rivoluzione cubana” perché la sua vendita demagogica come quella – come ogni altro caso della stessa cosa – non solo aiuta a pervertire l’idea di rivoluzione, ma aiuta a ottenere milioni di sfruttati a Cuba e in tutto il mondo a rinunciare alla lotta per l’emancipazione. Tutte queste presunte rivoluzioni sono servite solo a distruggere l’anelito all’emancipazione della classe operaia ea consolidare il capitalismo; come sistema e come forma generalizzata di individualismo. Tanto che il dollaro è ormai diventata la valuta standard,

È vero, a Cuba – come in altri paesi formalmente comunisti – praticamente tutta la proprietà privata è stata abolita e tutto – almeno ufficialmente – è diventato proprietà dello Stato. Ma ciò non mise fine alla disuguaglianza, poiché coloro che si univano allo Stato erano in grado di gestire a proprio vantaggio la distribuzione dell’usufrutto della ricchezza nazionale, la ricchezza che produceva e produce. Questo fu il culmine del processo di concentrazione e monopolio capitalista da parte di un’unica impresa – lo stato – e (a Cuba) del castrismo e di Fidel. È come se negli USA la Coca-Cola avesse conquistato il monopolio su ogni impresa, sull’intera economia, e come se lo stato fosse gestito da dirigenti della Coca-Cola e come se il suo direttore dovesse aggrapparsi al potere per sempre come Fidel ha. I cittadini statunitensi sarebbero stati lasciati completamente dipendenti dai capricci dell’azienda e dei suoi direttori esecutivi; il modo in cui i cubani dipendono da Castro & Co. e dal suo amministratore delegato, il comandante in capo. Tale dipendenza economica implica un’assoluta dipendenza politica e sociale, con il dissenso che non ha altra scelta che nascondersi o andare in prigione. Il capitalismo di Stato trasforma il lavoratore in una vittima dello sfruttamento che è tenuto ad accettare lo sfruttamento in modo rassegnato, per non essere considerato un traditore della Rivoluzione.. Tale sistema è il paradigma del capitalismo, è il capitalismo all’ingrosso. con il dissenso non ha lasciato altra scelta che andare in clandestinità o andare in prigione. Il capitalismo di Stato trasforma il lavoratore in una vittima dello sfruttamento che è tenuto ad accettare lo sfruttamento in modo rassegnato, per non essere considerato un traditore della Rivoluzione.. Tale sistema è il paradigma del capitalismo, è il capitalismo all’ingrosso. con il dissenso non ha lasciato altra scelta che andare in clandestinità o andare in prigione. Il capitalismo di Stato trasforma il lavoratore in una vittima dello sfruttamento che è tenuto ad accettare lo sfruttamento in modo rassegnato, per non essere considerato un traditore della Rivoluzione.. Tale sistema è il paradigma del capitalismo, è il capitalismo all’ingrosso.

El Libertario : È corretto pensare che il popolo cubano sia intrappolato tra due campi: il suo stesso governo da una parte e l'”imperialismo statunitense” dall’altra? Data la strategia del “nemico minore”, non potremmo essere obbligati a sostenere Fidel Castro in quel contesto?

Octavio Alberola: Questo è ciò che sia il governo degli Stati Uniti che il governo di Castro vorrebbero farci credere. Il fatto è che il popolo cubano non è al centro delle preoccupazioni di nessuno dei due governi. Tutto ciò di cui si preoccupano sono i loro interessi. Vale a dire: i loro privilegi e la loro sopravvivenza.

Lo hanno dimostrato le ultime misure “anticastriste” del governo Bush. In sostanza, Bush afferma di aver preso queste misure per indebolire Castro e facilitare la “transizione alla democrazia per il popolo cubano”. Anche se sappiamo tutti che in fondo alla sua mente sta guadagnando voti a sostegno della sua rielezione tra gli esuli cubani a Miami. Con il pretesto di difendere Cuba e il popolo cubano dall’aggressione imperialista, Castro ha risposto aumentando i prezzi e tagliando le razioni. Quando sappiamo tutti che le vittime principali più colpite dalle misure di Castro sono i cubani più poveri.

Per oltre quarant’anni, il popolo cubano è stato schiacciato da entrambe le parti e per tutto questo tempo gli unici a subirne le conseguenze sono stati i cubani. La tragedia del popolo della zattera dimostra la disumanità di entrambi i governi: il governo di Castro perché è responsabile dell’esodo e il governo degli Stati Uniti perché ha restituito un sacco di gente della zattera alle autorità cubane. In effetti, conviene al governo degli Stati Uniti molto bene che Castro reprimesse coloro che cercavano di fuggire dall’isola e che tenesse sotto controllo il popolo cubano. Questo è ciò che gli yankee chiedono agli altri governi latinoamericani. Quindi, per quanto riguarda ae, il “male minore” o il “nemico minore” non si laveranno. In entrambi i casi si tratta di governi che vogliono popoli sottomessi e che li sfruttano e li opprimono per quanto possono. Anche Bush vorrebbe poter imporre un unico partito, un solo sindacato, un’unica stampa.. Ma, in ogni caso, sono i cubani che devono essere in grado di determinare quale di loro è il “nemico minore”. E dovrebbe essere completamente libero di prendere questa decisione.

El Libertario : Come vede il ruolo del movimento anarchico a Cuba nella lotta contro Batista, di fronte alla “rivoluzione cubana” e all’ascesa al potere di Fidel Castro? Abbiamo persino letto che lei stesso ha avuto una sorta di coinvolgimento negli sviluppi in quel momento. È vero?

Octavio Alberola: In realtà, ero in Messico quando Castro ha iniziato a prepararsi per la guerriglia e la spedizione del Granma e fino al rovesciamento di Batista ho lavorato con gli esuli cubani che combattevano contro di lui. Soprattutto con quelli del Movimento 26 luglio e del Direttorio studentesco rivoluzionario. Sono stato anche coinvolto nel lancio del Fronte Latinoamericano Anti-Dittatura, un ombrello per varie organizzazioni giovanili latinoamericane in esilio in Messico. Come risultato di queste attività sono stato in contatto con alcuni esuli libertari cubani che avevano dovuto lasciare Cuba a causa della loro attività clandestina contro la dittatura di Batista.

Quindi ero au fait con la posizione del movimento anarchico a Cuba. Quello che accadde fu che c’erano molti dubbi sulle reali ambizioni di Fidel. I suoi sostenitori in quel momento stavano cercando di trasformarlo, anche allora, in un caudillo. Ho dovuto intervenire personalmente per evitare scontri tra i sostenitori del Movimento del 26 luglio e altri gruppi di opposizione anti-Batista che si sono rifiutati di farsi imporre la leadership di Castro. Ho sempre cercato di persuadere entrambe le fazioni che la lotta alla dittatura doveva essere la priorità, che l’ambizione personale e l’ambizione di partito dovevano passare in secondo piano.

Quindi, anche se alla fine Fidel ha finito per imporre la sua egemonia e la sua dittatura ha resistito per tanti anni, io insisto con la convinzione che il nostro dovere in quel momento fosse quello di combattere – come abbiamo fatto noi – contro la dittatura di Batista. Il fatto che ci siamo dimostrati incapaci di fermare il marciume autoritario-totalitario dall’instaurarsi in quel movimento anti-dittatore non sfida in alcun modo le nostre priorità in quel momento. L’effervescenza libertaria e rivoluzionaria innescata dal crollo della dittatura lo giustificava e, mi sembra, lo giustifichi ancora. Il fatto ora è che quell’esperimento ispiratore nei primi momenti della “Rivoluzione Cubana” – che, per certi versi, fu genuinamente rivoluzionario, essendo questo ciò che attirò così tante persone ad esso – non è stato cancellato dalla memoria storica dal successivo realtà dittatoriale.

El Libertario : Nel suo libro Storia dell’anarchismo cubano, Frank Fernandez fa riferimento allo scarso sostegno che il movimento anarchico a livello internazionale ha dato alle denunce dei libertari cubani sulla direzione presa dal regime di Castro in quei primi anni. Perché era così? E adesso le cose sono diverse?

Octavio Alberola: E’ vero che per alcuni anni alcuni settori e personalità del movimento anarchico internazionale era persistente l’illusione che i “barbudos” (barbuti) fossero rivoluzionari dal volto umano. Ma il movimento anarchico, in quanto tale, iniziò ben presto a prendere le distanze e man mano che la frattura di Fidel verso il caudillismo diventava sempre più evidente, il movimento la denunciava in modo esauriente.

Nel 1961, insieme a Victor Garcia (Germinal Gracia), ho preso parte a un giro di conferenze dei circoli anarchici in esilio spagnolo in Francia e Gran Bretagna per esporre la deriva totalitaria nella “Rivoluzione cubana”. Il punto era che all’epoca c’era ancora una certa fiducia nella capacità del movimento popolare di reagire e di impedire al castrismo di dirottare completamente la rivoluzione. Ma divenne subito evidente che Castro si era allineato con il comunismo totalitario sovietico e abbiamo appreso della persecuzione inflitta agli anarcosindacalisti cubani.

Al momento non credo che ci sia un solo anarchico che sia in qualche modo morbido nei confronti della dittatura castrista. Le campagne contro la paranoia repressiva mostrata dallo Stalin caraibico sono state riprese da tutta la stampa anarchica di tutto il mondo. La demagogia di Castro ora inganna solo i suoi fan incondizionati o coloro che si aggrappano al mito per giustificare le proprie ritirate dalla rivoluzione.

El Libertario : Lei è coinvolto nel cosiddetto GALSIC. In cosa consiste l’impresa e quali sono i suoi obiettivi?

Octavio Alberola: Sì, sono uno degli sponsor dell’impresa e faccio parte del team dietro il GALSIC in Francia. In realtà, il Gruppo di Sostegno per Libertari e Sindacalisti Indipendenti a Cuba (GALSIC) è un gruppo informale. Il che significa: che non ha una struttura organizzativa fissa, ma opera come una sorta di organo di coordinamento occasionale per la condivisione di informazioni e la promozione di iniziative a sostegno dei libertari e sindacalisti cubani nella loro lotta contro la dittatura castrista. L’attività del GALSIC è quindi essenzialmente incentrata sulla pubblicazione e distribuzione del bollettino CUBA libertaria (soprattutto via Internet).

L’idea iniziale era quella di creare un organismo ombrello internazionale che rappresentasse tutte le organizzazioni libertarie in modo da offrire una solidarietà concreta ai libertari cubani e ai sindacalisti indipendenti. Ma sebbene ci fosse un sostegno universale per quell’idea, si rivelò impossibile da implementare. Anche così, tutti aiutano a distribuire il bollettino CUBA libertaria. Per il momento, l’essenziale è che questo impulso di solidarietà venga rafforzato e che gli anarchici si mettano in collegamento a tal fine. Cioè: per far sentire la loro presenza e per dimostrare a tutti che noi anarchici non ci arrendiamo nella lotta per la libertà e l’emancipazione umana, a Cuba o altrove.

El Libertario : Ci sono centri di resistenza sull’isola che non sono legati all’influenza degli Stati Uniti? Ci sono motivi per credere che ci siano gruppi anarchici attivi all’interno di Cuba?

Octavio Alberola: Naturalmente ci sono centri di resistenza e dissenso a Cuba che non hanno legami con l’influenza e gli interessi del governo degli Stati Uniti. Per di più, si può affermare senza ombra di dubbio che questa marca di dissenso è la maggioranza, anche se può avere la minima visibilità mediatica. Comprensibilmente: né i castristi né il governo degli Stati Uniti hanno motivo di volere che questi dissidenti prosperino e ottengano una presenza sui media. Ad entrambi fa comodo spacciare la convinzione che l’unica opposizione al castrismo provenga dagli esuli di destra a Miami e non risparmiano sforzi o risorse per sostenere tale convinzione.

I soldi che Bush ha promesso “per aiutare la transizione verso la democrazia a Cuba” saranno convogliati esclusivamente a quella fazione reazionaria a cui non frega niente del destino del popolo cubano. E il governo castrista ovviamente parlerà solo di questo tipo di dissenso.. Sull’isola così come in esilio ci sono gruppi dissidenti che ripudiano sia la dittatura castrista che l’imperialismo USA. Gruppi che si oppongono al capitalismo di Stato castrista così come al capitalismo in tutte le sue forme, siano esse neoliberali o arcaiche.

Molti dei sindacalisti indipendenti sanno che la loro missione principale sarà quella di ricostruire i sindacati per combattere in futuro contro l’altra faccia dello sfruttamento: il capitalismo privato. Il che sarà altrettanto selvaggio quanto si è dimostrato in quei paesi che sono passati dal totalitarismo comunista alla democrazia capitalista. E tanto più perché questo nuovo capitalismo sarà il prodotto di un’alleanza tra il capitale straniero e le cricche burocratiche che attualmente detengono il potere a Cuba.

La presenza di gruppi anarchici sull’isola è qualcosa che attualmente non abbiamo modo di verificare.. La brutalità della repressione e la mancanza di risorse mediatiche dei libertari cubani fanno sì che possano guardare oltre il mantenimento di pochi contatti personali. Tuttavia, come è accaduto altrove quando le dittature comuniste sono state scrollate di dosso, possiamo prevedere che si possa prevedere l’emergere di gruppi libertari e sindacati e questo sarà molto probabilmente il caso anche con forme più attuali di antiautoritarismo.

El Libertario : Dalla piattaforma GALSIC hai promosso una campagna “Porta un libro a Cuba”. Di che si trattava? Quali sono le strade aperte agli anarchici per dimostrare la loro solidarietà al popolo cubano?

Octavio Alberola: La campagna “Porta un libro a Cuba” era inizialmente una proposta delle cosiddette Biblioteche Indipendenti e abbiamo usato la piattaforma GALSIC per sollecitare i compagni libertari che andavano a Cuba a portare i libri in quelle biblioteche; libri sulla storia delle lotte sociali, sulle esperienze di autogestione, sui collettivi durante la guerra civile spagnola.

Il punto è fare in modo che i cubani leggano ciò che le autorità esistenti nascondono loro. Esiste la possibilità che tra i promotori delle Biblioteche Indipendenti vi siano atti di natura religiosa o politica e che anche nelle loro biblioteche si applichi un certo grado di censura ideologica; ma siamo convinti che questi non siano gli interessi della maggior parte di loro. Si tratta senza dubbio di una forma di resistenza passiva (anche se molto attiva) alla censura imposta dalla dittatura castrista. Il solo fatto che essi offrano gratuitamente ai cubani interessati la possibilità di leggere libri che non si trovano nelle riviste ufficiali sistemi bibliotecari o a cui la maggior parte dei cubani non può accedere è di per sé un’impresa lodevole e dovremmo continuare a contribuire con la letteratura che tutti i (politici,

Chiaramente, questo non è l’unico mezzo per mostrare solidarietà al popolo cubano nelle difficili circostanze attuali. Per quanto possiamo, sollecitiamo la condanna di tutte le misure che influiscono sulla sua esistenza quotidiana, siano esse emanate dal governo Castro o dal governo degli Stati Uniti. E naturalmente sosteniamo l’invio di aiuti direttamente ai cubani bisognosi, rinunciando, ovviamente, ai canali ufficiali che confiscano tali aiuti o li trafugano per scopi politici di partito. Anche se siamo ancora convinti che il modo migliore per dimostrare solidarietà sia mostrarla in ogni occasione disponibile denunciando la repressione castrista di ogni forma di dissenso.

El Libertario : Ci sono molte speculazioni su cosa accadrà dopo la morte di Fidel. Come vedi il futuro di Cuba?

Octavio Alberola: Purtroppo, e contrariamente a quanto vorrei per il popolo cubano, la prospettiva che si può oggettivamente prevedere al momento non è affatto promettente. Castro morirà un giorno, come tutti dobbiamo fare, come ha fatto Franco – e ha resistito più a lungo di Franco al potere. È probabile che il regime castrista completi più o meno saltuariamente la sua “transizione” al capitalismo e che il ritorno alla democrazia non avvenga dall’oggi al domani. ovviamente gli interessi del governo degli Stati Uniti e quelli di moltissime multinazionali, compresi gli interessi della Comunità Europea, e così via.

Naturalmente, nessuno di questi attori vuole vedere la dittatura castrista giungere a una fine violenta e radicale, tanto meno che il popolo cubano sia in grado di tentare di attuare la vera rivoluzione sociale che Castro è stato in grado di castrare. L’unica cosa che viene negoziata ora e che sarà finalmente negoziata quando sarà il momento è come condividere il potere e la ricchezza dell’isola insieme alla proprietà attualmente nelle mani dello stato – e su cui litigano la nomenklatura castrista e quella di Miami o arriverà a qualche accomodamento: proprio come è successo in altri paesi con regimi simili. Gli attuali rapporti di forza non suggeriscono altre prospettive.

Sfortunatamente, quarant’anni dispari di dittatura e demagogia comunista hanno spazzato via ciò che era rimasto del movimento operaio e della sua tradizione di rivendicazioni pressanti e di rassegnazione e disunione imposte tra i lavoratori. Tuttavia, i lavoratori cubani dovranno unirsi e combattere ancora una volta contro il capitalismo privato. Ecco perché dobbiamo urgentemente aiutarli a recuperare il primato storico del movimento operaio a Cuba, che il castrismo ha così sfacciatamente travisato. E non appena possiamo dobbiamo aiutarli a ricostruire veri sindacati indipendenti di classe, indipendenti dallo Stato e da qualsiasi forza politica che cerchi di farli tornare cinghie di trasmissione.. come li usano le autorità castriste oggi.

Da: “El Libertario” (Venezuela), 2004

Cuba libertaria