Identità cibernetiche – Incontro con Renato Curcio ( un anticipo )

Vi invitiamo alla presentazione del libro
di Renato Curcio “IDENTITA’ CIBERNETICHE” ( edizioni Sensibili alle foglie )
Appuntamento per domenica 17 ottobre 2021 alle ore 17:00
nel giardino del Ponte della Ghisolfa in Viale Monza, 255 Milano
In caso di pioggia l’evento sarà rinviato.
Di seguito potete leggere qualche brano tratto da “Identità cibernetiche”
«[…] le tecno-scienze digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana e, a loro modo, stanno modificando alla radice gli assetti identitari che hanno caratterizzato l’era precedente e in particolare gli anni dell’industrializzazione capitalistica. Oggi, non prendersi cura delle proprie identità di connessione, esposte all’insidia permanente della colonizzazione cibernetica, disinteressarsene – come viene fatto purtroppo da molti sotto l’effetto abbagliante della chincaglieria digitale e delle sue suggestioni – vuole dire affidare fideisticamente il proprio destino agli ingegneri e agli alchimisti digitali di aziende come Google, Amazon, Microsoft e Apple. D’altra parte, prendersi cura delle nostre identità di connessione significa dedicare a esse il tempo necessario alla loro più approfondita conoscenza e all’esplorazione delle trappole progettate e disseminate dai nuovi colonizzatori per catturarle e metterle al loro servizio. A questo compito, nelle pagine che seguono, proverò a dare il mio piccolo contributo. […]»
«[…] Ciò che vedremo […] non sarà altro che l’espansione abnorme di quanto già stiamo vedendo e riproducendo: l’accrescimento a dismisura della posizione dominante di un numero sempre più esiguo di gruppi capitalistici digitali multimiliardari e l’impoverimento, anzi, l’immiserimento, di una porzione maggioritaria e crescente della popolazione, la crescita esponenziale delle disuguaglianze. In ogni caso non potremo evitare una evoluzione digitalizzata della nostra configurazione identitaria poiché l’insieme delle nostre identità di connessione verrà spronato ad articolare e a rafforzare sempre più la sua posizione già oggi quasi “dominante” rispetto all’insieme delle nostre identità di relazione.
Una dialettica conflittuale e intracorporea dalla quale – come molti segni già ci hanno mostrato – usciremo tutti profondamente marchiati e trasformati. Ciò che però va qui urgentemente compreso e criticamente affrontato è il fatto che questa duplicità identitaria non si sta istituendo nella forma di “o l’una o l’altra” […] bensì in quella assai più complessa e sconosciuta nei suoi esiti di “l’una e l’altra”, ovvero nella stabilizzazione permanente di una dissociazione identitaria strutturata stabilmente, simultanea e bidimensionale. E già oggi per molti, se non ancora per tutti, di un inquietante sdoppia mento.
In questa duplicità complessa si radica forse la questione più scottante, perché dal grado di consapevolezza delle sue implicazioni dipendono la deriva distruttiva dello sdoppiamento o l’assunzione di una allerta critica e conflittuale. Nel primo caso, infatti, prevarrebbe l’obbedienza passiva agli algoritmi proprietari, nel secondo, invece, la disposizione a battersi per una Internet degli umani.
[…] Anche i dispositivi dell’obbedienza sociale in questa espansione del continente digitale si vanno radicalmente riconfigurando. […] Obbedire in presenza, obbedire a distanza. Ma in ogni caso obbedire. […] Nel continente digitale il comando diventa a tal punto istantaneo, diretto e personalizzato che a esso si può opporre solo un “sì” o un “no”; dove al “no” corrisponde l’estromissione immediata dal sistema. Intendo dire che per restare nel sistema diventa necessario “praticare il sì”. Si può forse disobbedire agli automatismi dell’intelligenza artificiale che organizza il traffico dei messaggi di una chat? Solo uscendo da essa lo si può fare. Ubbidendo, invece, si assume e si fa propria una condotta sociale standardizzata che prevede la cessione di dati all’azienda proprietaria; la rinuncia alla privacy barattando in cambio «tutte le comodità che oggi i giganti del web ci assicurano» . Non solo un comportamento, dunque, ma anche la muta sottomissione a uno sfruttamento e il coinvolgimento attivo nella propria colonizzazione.
[…] Non possiamo ignorare che, nel bene e nel male, la società digitale […] ci chiede di abbracciare la fede nella capacità delle tecno-scienze digitali e delle loro applicazioni, di sollevarci a uno stadio più maturo della convivenza sociale e di ridurre la forbice delle disuguaglianze sociali.
Certo, così non potrà essere proprio “per tutti”. D’altra parte, per il modo di produzione capitalista, gli obsoleti, gli inadeguati, gli inutili e gli indesiderabili sono sempre stati, e restano ancora, nient’altro che un costo e una disdetta.
Che il pensiero critico possa però avere la meglio su questa nuova religione cibernetica è un assunto che, per il momento, non trova conferme nella storia e nel presente. […]
Prendere atto di questo stato di cose – ovvero del fatto che il capitalismo digitale, in assenza di resistenze e altri immaginari istituenti, ci sta sospingendo nel vortice di una ulteriore e più profonda mutazione – sembra essere il presupposto elementare e necessario per riconsiderare il continente virtuale come un campo di battaglia entro cui le identità umane di connessione, per restare umane, dovranno assumere una posizione critica e un atteggiamento istituente.
A fronte dell’obbedienza vilmente barattata si dovranno disporre ad affrontare nuove domande sui fondamenti della convivenza sociale. Questo, del resto, è ciò che sta facendo quell’internazionale battagliera composta oggi da tutti coloro che in un modo o nell’altro, senza il confallo di una “appartenenza” si battono comunque per una “Internet di tutti” contro chi persegue una “Internet del tutto”.
Una Internet al servizio dei corpi viventi e non orientata al loro controllo cibernetico, alla predazione dei loro dati e, in definitiva, al loro sfruttamento e alloro dominio.
È tempo, per concludere, di ridare la fiducia e la dignità che meritano al pensiero critico e alle pratiche di conflitto indispensabili per poter ristabilire il primato dell’umano sull’artificiale, dell’intelligenza relazionale sull’intelligenza artificiale, della laicità comunista sulla religione cibernetica. È tempo di dedicarsi a pratiche reinventate di confronto in presenza e alla più ampia e approfondita ricerca collettiva di istituzioni liberate dal codice sorgente dello scambio ineguale e, soprattutto, creativamente autogestite.
Oggi più che mai tutto ciò è diventato urgente e necessario anche se soltanto un vasto e globale processo istituente riuscirà a immaginare davvero cosa comporti questa nuova sfida. Ma sappiamo che da essa dipende quantomeno la sopravvivenza della nostra personale ed elementare libertà di decidere come affrontare e vivere i piccoli e i grandi momenti della nostra vita quotidiana, territori strategici del conflitto e fondamento irrinunciabile di ogni altra libertà» (pp. 108-113).
Renato Curcio, Identità cibernetiche. Dissociazioni indotte, contesti obbliganti e comandi furtivi, Sensibili alle foglie, Roma 2020.

Il mutuo appoggio secondo Kropotkin, o ricostruire le istituzioni che ci univano ( da “Gli Asini” )

Il 2 settembre 2020 è improvvisamente scomparso l’antropologo e attivista anarchico David Graeber. Come Asini, vogliamo ricordarlo pubblicando la traduzione italiana del suo ultimo breve saggio scritto a quattro mani con Andrej Grubačić: l’introduzione alla nuova edizione in lingua inglese di Il mutuo appoggio di Pëtr Kropotkin (Mutual Aid: An Illuminated Factor of Evolution, PM Press, Oakland, Ca, USA), un’edizione illustrata, in uscita nel maggio 2021. Ringraziamo affettuosamente Andrej per averci consentito di tradurre e pubblicare questo scritto. Questa pubblicazione è per noi anche un modo per ricordare Kropotkin, uno dei “grandi padri” dell’anarchia, di cui in questi giorni ricorre il centenario della morte, avvenuta l’8 febbraio 1921. Il suo Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione (tradotto in italiano per la prima volta da Camillo Berneri nel 1925 e ripubblicato nel 2020 da elèuthera, con la prima traduzione dall’originale inglese, di Giacomo Borella e Daniella Engel) è oggi più attuale che mai, come si è reso evidente, innanzitutto, in questa crisi pandemica – durante la quale gruppi di mutuo appoggio hanno costituito il tessuto fondamentale del welfare di molte città – e, più in generale, nelle strategie esplicite di tutti coloro che lottano per sradicare le illusorie fondamenta dell’antropologia capitalista. Faceva parte di questi ultimi David Graeber, uno degli antropologi più importanti della nostra epoca nonché il più brillante pensatore e attivista anarchico della sua generazione, che, come Kropotkin, ha passato la vita a “ricostruire pietra su pietra le istituzioni che ci univano” (Lorenzo Velotti).

A volte – non molto spesso – un ragionamento particolarmente convincente contro il senso comune politico dominante produce uno shock tale per il sistema che diventa necessario sviluppare un intero apparato teorico per confutarlo. Interventi come questi costituiscono di per sé degli eventi, nel senso filosofico del termine; ovvero, rivelano aspetti della realtà che erano per lo più invisibili, ma che, una volta rivelati, sembrano così perfettamente ovvi che non possono più passare inosservati. Gran parte del lavoro della destra intellettuale consiste nell’identificare e scongiurare questo genere di sfide.

Permetteteci di fare tre esempi.

Negli anni ottanta del Seicento, un uomo politico della popolazione degli Uroni-Wendat di nome Kondiaronk, che era stato in Europa e conosceva intimamente la società dei coloni francesi e inglesi, si impegnò in una serie di dibattiti con il governatore francese del Quebec e uno dei suoi più importanti consiglieri, un certo Lahontan. Kondiaronk avanzava la tesi secondo cui la legge punitiva e l’intero apparato statale esistono non per un qualche difetto fondamentale della natura umana, ma a causa dell’esistenza di un altro insieme di istituzioni – proprietà privata, denaro – che per loro stessa natura spingono le persone ad agire in modi tali da rendere necessarie delle misure coercitive. L’uguaglianza, sosteneva, è dunque la condizione per qualsiasi libertà significativa. Queste discussioni furono successivamente trasformate da Lahontan in un libro che, nei primi decenni del diciottesimo secolo, ebbe un successo enorme. Divenne uno spettacolo teatrale portato per vent’anni sulle scene di Parigi e quasi ogni pensatore illuminista ne scrisse un’imitazione. Alla fine, queste tesi – e la più generale critica indigena della società francese – divennero così rilevanti che coloro che difendevano l’ordine sociale esistente, come Turgot e Adam Smith, dovettero realmente inventare la nozione di evoluzione sociale come replica diretta. Coloro che escogitarono per primi l’idea secondo cui le società umane potrebbero essere organizzate in base a fasi di sviluppo, ciascuna con le proprie tecnologie e forme di organizzazione specifiche, erano piuttosto espliciti riguardo alle proprie intenzioni. “Tutti amano la libertà e l’uguaglianza”, osservava Turgot; la domanda è in che misura ciascuna di esse sia compatibile con una società commerciale avanzata, fondata su una sofisticata divisione del lavoro. Le teorie dell’evoluzione sociale che ne derivarono dominarono il diciannovesimo secolo e sono tutt’oggi molto presenti, anche se in forma leggermente modificata.

Nel tardo diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo, la critica anarchica allo stato liberale – per la quale lo stato di diritto è fondamentalmente basato su una violenza arbitraria e, in ultima analisi, è semplicemente una versione secolarizzata di un Dio onnipotente in grado di creare la moralità perché ne resta fuori – fu presa così sul serio dai difensori dello stato che alcuni teorici del diritto di destra, come Carl Schmitt, vi hanno costruito l’armatura intellettuale per il fascismo. Schmitt conclude la sua opera più famosa, Teologia politica, con uno sproloquio contro Bakunin, il cui rifiuto del “decisionismo” – l’autorità arbitraria di creare un ordine legale, ma quindi anche di metterlo da parte – sarebbe stato, sosteneva Schmitt, altrettanto arbitrario dell’autorità a cui Bakunin si opponeva. La concezione schmittiana della teologia politica, fondamentale per quasi tutto il pensiero contemporaneo di destra, era un tentativo di rispondere a Dio e lo Stato di Bakunin.

La sfida lanciata da Kropotkin in Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione è probabilmente ancora più profonda, dal momento che non si tratta solo della natura del governo, ma della natura della natura stessa – cioè della realtà. Le teorie dell’evoluzione sociale, ciò che Turgot per primo battezzò col nome di “progresso”, avrebbero potuto emergere come un modo per disinnescare la sfida della critica indigena, ma presto iniziarono a prendere una forma più aggressiva, perché i liberali incalliti come Herbert Spencer iniziarono a rappresentare l’evoluzione sociale non solo come una questione di crescente complessità, differenziazione e integrazione, ma come una sorta di lotta hobbesiana per la sopravvivenza. La frase “sopravvivenza del più adatto” fu infatti coniata nel 1852 proprio da Spencer per descrivere la storia umana – e in ultima analisi, si presume, per giustificare il genocidio e il colonialismo europei. Fu ripresa da Darwin circa dieci anni dopo, quando, in L’Origine delle specie, la usò per descrivere le forme di selezione naturale che aveva identificato nella sua famosa spedizione alle Isole Galapagos. All’epoca in cui scriveva Kropotkin, negli anni ottanta e novanta dell’Ottocento, le idee di Darwin erano state riprese dai sostenitori del libero mercato, in particolare, com’è noto, dal suo “bulldog” Thomas Huxley, e dal naturalista inglese Alfred Russel Wallace, per proporre quella che spesso viene definita una “visione gladiatoria” della storia naturale. Le specie si sfidano come pugili su un ring o agenti di borsa sul mercato azionario; il più forte vince.

La replica di Kropotkin – che la cooperazione è un fattore determinante nella selezione naturale tanto quanto la competizione – non era del tutto originale. Lui non ha mai preteso che lo fosse. Infatti, non solo attingeva dalle migliori conoscenze biologiche, antropologiche, archeologiche e storiche disponibili ai suoi tempi, comprese le sue esplorazioni in Siberia, ma anche dalla scuola alternativa russa di teoria evoluzionistica secondo cui la scuola inglese, ipercompetitiva, era basata, come diceva lui, su “un reticolo di assurdità”. Dunque, attingeva a uomini come “Kessler, Severtsov, Menzbir, Brandt – quattro grandi zoologi russi, e un quinto un po’ meno, Poliakov, e infine a me, un semplice viaggiatore”.

Detto ciò, dobbiamo riconoscere i meriti di Kropotkin. Era molto più di un semplice viaggiatore. Uomini del genere erano stati in realtà ignorati dai darwiniani inglesi nel periodo d’oro dell’impero – e, a dirla tutta, da quasi tutti. L’ammonimento di Kropotkin non lo fu. In parte, questo avvenne senza dubbio perché presentò le sue scoperte scientifiche all’interno di un più ampio contesto politico, di modo che risultasse impossibile negare quanto la versione dominante della scienza darwiniana altro non fosse che il riflesso inconscio di categorie liberali date per scontate. (Come disse magnificamente Marx: “L’anatomia dell’uomo è la chiave dell’anatomia della scimmia.”) Fu un tentativo di catapultare il punto di vista delle classi imprenditoriali in una dimensione universale. Il darwinismo, a quel tempo, era ancora un intervento politico cosciente e militante volto a rimodellare il senso comune: un’insurrezione centrista, si potrebbe dire, o forse piuttosto un’insurrezione proto-centrista, dato che mirava a creare un nuovo centro. Non era ancora senso comune; era un tentativo di creare un nuovo senso comune universale. Se non ha avuto, in fin dei conti, pieno successo, è stato in certa misura per la la forza stessa della controargomentazione kropotkiniana.

Non è difficile comprendere cosa mise questi intellettuali liberali così a disagio. Si consideri questo famoso passo de Il mutuo appoggio, che merita davvero di essere riportato per intero:

Non è l’amore, e nemmeno la simpatia (intesa in senso proprio), che spinge un branco di ruminanti o di cavalli a formare un cerchio per resistere a un attacco di lupi; né è l’amore che spinge i lupi a formare un branco per cacciare; né è l’amore che spinge i gattini o gli agnelli a giocare tra loro, o una dozzina di specie di giovani uccelli a trascorrere insieme le giornate d’autunno; e non è l’amore né la simpatia personale che spinge molte migliaia di daini, sparsi su un territorio grande come la Francia, a formare una ventina di branchi separati, tutti in marcia verso un dato luogo, dove attraverseranno un fiume. È un sentimento infinitamente più vasto dell’amore o della simpatia personale, un istinto che si è lentamente sviluppato tra gli animali e fra gli uomini nel corso di un’evoluzione estremamente lunga, che ha insegnato tanto agli animali quanto agli uomini la forza che possono acquisire dalla pratica del mutuo appoggio e dell’aiuto reciproco, e le gioie che possono trovare nella vita sociale.

(…) Non è sull’amore, e nemmeno sulla simpatia, che si basa la società, bensì sulla coscienza della solidarietà umana, fosse anche solo allo stato di istinto. Essa si basa sul riconoscimento inconscio della forza che dà a ciascuno la pratica del mutuo appoggio, della stretta dipendenza della felicità di ciascuno dalla felicità di tutti, e del senso di giustizia o di equità che porta l’individuo a considerare i diritti di ogni altro individuo come uguali ai propri. Su questa larga e necessaria base si sviluppano i sentimenti morali superiori.

Basti considerare la violenza della reazione. Almeno due campi di studio (certamente sovrapposti), sociobiologia e psicologia evolutiva, sono stati creati appositamente, da allora, per riconciliare le tesi di Kropotkin sulla cooperazione tra gli animali con la supposizione che tutti noi siamo in fin dei conti guidati dai nostri “geni egoisti”, come alla fine furono definiti da Dawkins. Quando il biologo britannico J.B.S. Haldane affermò, a quanto si dice, che sarebbe stato disposto a dare la vita per salvare “due fratelli, quattro fratellastri o otto primi cugini”, stava semplicemente ripetendo a pappagallo il tipo di calcolo “scientifico” che fu introdotto ovunque per rispondere a Kropotkin, allo stesso modo in cui il progresso fu inventato per contenere Kondiaronk, o la dottrina dello stato di eccezione per reprimere Bakunin. L’espressione “gene egoista” non è stata scelta per caso. Kropotkin aveva rivelato un comportamento nel mondo naturale che era esattamente l’opposto dell’egoismo: tutto il gioco dei darwinisti ora è di trovare una ragione, una qualsiasi, per continuare a insistere sul fatto che anche il comportamento più giocoso, amorevole, stravagante, eroicamente altruista, o socievole è in realtà, dopotutto, egoista.

Gli sforzi della destra intellettuale per affrontare l’enormità della sfida presentata dalla teoria di Kropotkin sono comprensibili. Come abbiamo già fatto notare, gli si richiede di fare esattamente questo. Questo è il motivo per cui vengono definiti “reazionari”. Non credono veramente nella creatività politica come valore in sé – anzi, la trovano profondamente pericolosa. Di conseguenza, gli intellettuali di destra sono principalmente lì per reagire alle idee avanzate dalla sinistra. Ma che dire della sinistra intellettuale?

È qui che le cose cominciano a essere un po’ disorientanti. Mentre gli intellettuali di destra cercavano di neutralizzare l›olismo evolutivo di Kropotkin sviluppando interi sistemi intellettuali, la sinistra marxista faceva finta che il suo intervento non fosse mai avvenuto. Ci si potrebbe addirittura spingere ad affermare che la risposta marxista all›enfasi di Kropotkin sul federalismo cooperativo si è tradotta in un ulteriore sviluppo degli aspetti della teoria di Marx che spingevano più nettamente nella direzione opposta: cioè i suoi aspetti più produttivisti e progressisti. Le idee importanti de Il mutuo appoggio nella migliore delle ipotesi venivano ignorate e, nel peggiore dei casi, snobbate con una risatina condiscendente. C’è stata una tendenza così persistente nella scuola marxista e, per estensione, nel pensiero di sinistra in generale, a ridicolizzare il “socialismo da scialuppa di salvataggio” e l’“utopismo ingenuo” di Kropotkin, che un rinomato biologo, Stephen Jay Gould, si è sentito obbligato a sottolineare, in un famoso saggio, che “Kropotkin non era un pazzoide” [Ndt: gioco di parole tra Kropotkin e crackpot].

Le idee importanti de Il mutuo appoggio nella migliore delle ipotesi venivano ignorate e, nel peggiore dei casi, snobbate con una risatina condiscendente

Ci sono due possibili spiegazioni per questo rigetto strategico. Da un lato, un puro settarismo. Come abbiamo già sottolineato, l’intervento intellettuale di Kropotkin faceva parte di un progetto politico più ampio. La fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo videro le fondamenta dello stato sociale, le cui istituzioni chiave furono in gran parte, di fatto, create da gruppi di mutuo appoggio, in modo del tutto indipendente dallo stato, e poi gradualmente cooptate da stati e partiti politici. La maggior parte degli intellettuali di destra e di sinistra furono perfettamente allineati in questo: se da un lato Bismarck ammise pienamente di aver creato istituzioni tedesche di assistenza sociale come “tangente” per la classe operaia affinché non diventasse socialista, dall’altro i socialisti insistevano affinché qualsiasi cosa, dalla previdenza sociale alle biblioteche pubbliche, fosse gestita non dal quartiere e dai gruppi sindacali che li avevano di fatto creati, ma dall’alto, da partiti avanguardisti. In questo contesto, entrambi consideravano come un imperativo fondamentale il rigetto delle proposte di socialismo etico di Kropotkin come un mucchio di sciocchezze. Vale anche la pena ricordare che, in parte per questo stesso motivo, nel periodo tra il 1900 e il 1917, le idee marxiste anarchiche e libertarie erano molto più diffuse tra la classe operaia rispetto al marxismo di Lenin e Kautsky. Per mettere finalmente a tacere queste dispute ci sono voluti la vittoria dell’ala leninista del partito bolscevico in Russia (all’epoca considerata l’ala destra dei bolscevichi) e la soppressione dei soviet, del Proletkult e di altre iniziative dal basso nella stessa Unione Sovietica.

C’è un’altra spiegazione possibile, però, che ha più a che fare con quella che potrebbe essere chiamata la “posizionalità” tanto del marxismo tradizionale quanto della teoria sociale contemporanea. Qual è il ruolo di un intellettuale radicale? Gli intellettuali, per la maggior parte, affermano ancora di essere radicali in un modo o nell’altro. In teoria sono tutti d’accordo con Marx che non basta comprendere il mondo; la questione è cambiarlo. Ma questo cosa significa in pratica?

In un importante paragrafo de Il mutuo appoggio, Kropotkin offre un’ipotesi: il ruolo di uno studioso radicale è quello di “ristabilire la vera proporzione tra il conflitto e l’unione”. Può sembrare incomprensibile, ma lui chiarisce: gli studiosi radicali devono “ricorrere a una minuziosa analisi delle migliaia di piccoli fatti e insignificanti indizi conservati in maniera accidentale tra le reliquie del passato, interpretandoli con l’aiuto dell’etnologia comparata. E dopo aver prestato così tanta attenzione a ciò che divideva gli uomini, devono ora ricostruire pietra su pietra le istituzioni che un tempo li univano”.

Uno degli autori ricorda ancora il suo entusiasmo giovanile dopo aver letto queste righe. Com’è diverso dalla formazione smorta che si riceve nelle università incentrate sulla nazione! Questa raccomandazione dovrebbe essere letta insieme a quella di Karl Marx, che si spese per comprendere l’organizzazione e lo sviluppo della produzione capitalista dei beni di consumo. Nel Capitale, l’unica vera attenzione alla cooperazione è un esame delle attività cooperative come forme e conseguenze della produzione industriale, dove i lavoratori “formano meramente un particolare modo di esistere del capitale”. Sembrerebbe che i due progetti si completino molto bene. Kropotkin voleva capire nello specifico cosa esattemente avesse perso un lavoratore alienato. Ma integrare i due significherebbe capire come anche il capitalismo si fondi, in definitiva, sul comunismo (“mutuo soccorso”), anche se è un comunismo non riconosciuto; come il comunismo non sia un ideale astratto, distante, impossibile da affermare, ma una realtà vissuta, pratica, in cui tutti siamo coinvolti quotidianamente, in diversa misura, e che anche le fabbriche non potrebbero operare senza di esso – per quanto operi per lo più di nascosto, tra le crepe, o i turni, o informalmente, o in ciò che non viene detto, o in maniera del tutto sovversiva. Ultimamente, è diventato di moda dire che il capitalismo è entrato in una nuova fase in cui si è fatto parassitario di forme di cooperazione creativa, soprattutto su Internet. È una sciocchezza. È sempre stato così.
Questo è un progetto intellettuale valido ma, per qualche ragione, quasi nessuno è interessato a realizzarlo. Invece di esaminare come relazioni di gerarchia e sfruttamento vengono riprodotte, rifiutate e intrecciate con relazioni di mutuo appoggio, come le relazioni di cura diventino parte di relazioni violente, ma tengano insieme sistemi di violenza affinché non si sgretolino completamente, tanto il marxismo tradizionale quanto la teoria sociale contemporanea hanno ostinatamente liquidato quasi tutto ciò che evoca generosità, cooperazione o altruismo come una sorta d’illusione borghese. Il conflitto e il calcolo egoistico si sono dimostrati più interessanti dell’“unione”. (Analogamente, è abbastanza comune per gli accademici di sinistra scrivere su Carl Schmitt o Turgot, mentre è quasi impossibile trovare quelli che scrivono su Bakunin e Kondiaronk.) Come lamentava lo stesso Marx, nel modo di produzione capitalistico, esistere significa accumulare. Negli ultimi decenni non abbiamo sentito altro che implacabili esortazioni ad aumentare il nostro rispettivo capitale (sociale, culturale, o materiale) mediante ciniche strategie. Queste vengono formulate come critiche. Ma se tutto ciò di cui hai intenzione di parlare è ciò a cui affermi di opporti, se tutto ciò che puoi immaginare è ciò che dichiari di rifiutare, allora in che senso sei contrarioi a queste cose? A volte sembra che la sinistra accademica abbia finito per interiorizzare e riprodurre gradualmente tutti gli aspetti più angoscianti dell’economicismo neoliberista a cui rivendica di opporsi, al punto che, leggendo molte di queste analisi (saremo gentili e non faremo nomi), ci si trova a chiedersi quanto tutto ciò sia davvero diverso dall’ipotesi sociobiologica secondo cui il nostro comportamento sarebbe governato da “geni egoisti”!

A dire il vero, questo tipo di interiorizzazione del nemico ha raggiunto il suo apice negli anni ottanta e novanta, quando la sinistra globale era in piena ritirata. Le cose sono cambiate. Kropotkin è di nuovo rilevante? Be’, ovviamente Kropotkin è sempre stato rilevante, ma questo libro viene pubblicato con la convinzione che ci sia una nuova generazione radicalizzata, fatta di persone che in gran parte non sono mai state esposte direttamente a queste idee, ma che mostrano in tutti i modi di essere in grado di fare una valutazione più lucida della situazione globale rispetto ai loro genitori e nonni, se non altro perché sanno che, se non lo fanno, il mondo in serbo per loro diventerà presto un vero e proprio inferno.

Sta già cominciando a succedere. La rilevanza politica delle idee che furono esposte per la prima volta ne Il mutuo appoggio viene ora riscoperta dalle nuove generazioni di movimenti sociali in tutto il pianeta. La rivoluzione sociale in corso nella Federazione democratica della Siria nordorientale (Rojava) è stata profondamente influenzata dagli scritti di Kropotkin sull’ecologia sociale e sul federalismo cooperativo, in parte attraverso la mediazione delle opere di Murray Bookchin, in parte risalendo alla fonte, ma in gran parte anche attingendo alle stesse tradizioni curde e all’esperienza rivoluzionaria. Le rivoluzionarie curde hanno assunto il compito di costruire una nuova scienza sociale antagonista alle strutture di conoscenza della modernità capitalista. Chi è coinvolto in progetti collettivi di sociologia della libertà e di jineolojî ha infatti iniziato a “ricostruire pietra su pietra le istituzioni che univano” le persone e le lotte. Nel Nord Globale, nei vari movimenti di occupazione fino ai progetti solidali che affrontano la pandemia del Covid-19, il mutuo appoggio è emerso come un’espressione chiave usata sia dagli attivisti che dai giornalisti mainstream. Attualmente, il mutuo appoggio è invocato nelle mobilitazioni di solidarietà ai migranti in Grecia e nell’organizzazione della società zapatista in Chiapas. Si dice che addirittura gli accademici talvolta lo usino.

Chi è coinvolto in progetti collettivi di sociologia della libertà e di jineolojî ha infatti iniziato a “ricostruire pietra su pietra le istituzioni che univano” le persone e le lotte.

Quando Il mutuo appoggio fu pubblicato per la prima volta, nel 1902, c’erano pochi scienziati sufficientemente coraggiosi da sfidare l’idea che il capitalismo e il nazionalismo fossero radicati nella natura umana, o che l’autorità degli stati fosse in definitiva inviolabile. La maggior parte di coloro che lo facevano venivano di fatto liquidati come pazzoidi [crackpots] o, se erano chiaramente troppo importanti per essere stroncati così, tipo Albert Einstein, come “eccentrici” le cui opinioni politiche avevano tanto significato quanto le loro insolite acconciature. Il resto del mondo però sta andando oltre. Gli scienziati – anche, magari, gli scienziati sociali – alla fine lo seguiranno?

Scriviamo questa introduzione nel corso di un’ondata di rivolta popolare globale contro il razzismo e la violenza di stato, mentre le autorità statali sputano veleno contro gli “anarchici” più o meno come facevano ai tempi di Kropotkin. Sembra un momento particolarmente adeguato per brindare a quel vecchio “sprezzante della legge e della proprietà privata” che ha cambiato il volto della scienza in modi che continuano a influenzarci oggi. La ricerca di Pëtr Kropotkin era attenta e variegata, acuta e rivoluzionaria. È anche invecchiata insolitamente bene. Il rifiuto di Kropotkin sia del capitalismo che del socialismo burocratico, e le sue previsioni su dove quest’ultimo avrebbe potuto condurre, sono state ripetutamente confermate. Ripensando alla maggior parte dei dibattiti che imperversavano ai suoi tempi, non c’è davvero alcun dubbio su chi avesse effettivamente ragione.

Ovviamente, c’è ancora chi è in totale disaccordo su tali questioni. Alcuni si aggrappano al sogno di salire su un treno che è ormai passato, altri sono ben pagati per pensare le cose che pensano. Quanto agli autori di questa modesta introduzione, molti decenni dopo esserci imbattuti per la prima volta in questo libro meraviglioso, ci ritroviamo – ancora una volta – sorpresi da quanto siamo profondamente d’accordo con la sua tesi centrale. L’unica alternativa possibile alla barbarie capitalista è il socialismo senza stato, un prodotto, come il grande geografo non ha mai smesso di ricordarci, “di tendenze che sono evidenti ora nella società” e che erano “sempre, in qualche modo, imminenti nel presente”. Per creare un nuovo mondo non possiamo che iniziare riscoprendo ciò che è, e che è sempre stato, davanti ai nostri occhi.

Fonte

Scarica il mutuo appoggio di Kropotkin