L’arringa per la difesa di Gaetano Bresci nel processo per il regicidio

La sera di domenica 29 luglio 1900, l’anarchico Gaetano Bresci uccise il re d’Italia Umberto I sparandogli con una rivoltella. Dopo il rifiuto di Filippo Turati, Bresci fu difeso al processo dall’avvocato Francesco Merlino. Abbiamo recuperato sulla rivista “Il Pensiero” (25 dicembre 1903) l’arringa difensiva pronunciata da Merlino: uno straordinario documento storico, che vi riportiamo qui di seguito in versione integrale.


UNA DIFESA IN CORTE D’ASSISE

(Processo contro GAETANO BRESCI, Milano, 29 agosto 1900)

Avv. Merlino. — Signor Presidente, prima di cominciare, io sono costretto di pregarla di voler far prendere nota nel verbale, che il Rappresentante il P. M., nella sua requisitoria, ha affermato che il Bresci ebbe un complice, ed ha parlato di un telegramma e di atti i quali si riferiscono precisamente al processo contro i complici del Bresci. Siccome questa circostanza può avere un’influenza sulla sorte del gravame che noi interporremo contro una precedente ordinanza di questa Corte; adempio ad un compito della difesa chiedendo che si prenda nota di essa nel verbale.

Presidente. — Sarà fatto

Avv. Merlino. — Cittadini giurati. Il cortese saluto che il Rappresentante del P. M, ha voluto indirizzare non solo al mio collega quale rappresentante del Foro Milanese, ma anche a me, mi dispensa dal dire troppe parole per spiegarvi la mia presenza a questo banco.

Io non vengo qui a portare le mie convinzioni politiche: vengo ad adempiere ad un sacro dovere qual è quello della difesa. Purtroppo, in certe circostanze, si è corrivi agli eccessi ed alle esagerazioni. Ed uno degli eccessi, una delle esagerazioni, che si sono fatte strada in questa circostanza, è che si dovesse fare a meno di tutte le formalità solite di un giudizio, che si dovesse trasandare alle esigenze della legge, che quasi non occorresse un difensore, non occorresse dibattimento, che il giudizio e la condanna dovessero seguire ratte come il fulmine al delitto. (Movimenti del pubblico).

Ora questa esagerazione è, lasciatemelo dire, indegna di uomini seri e di un popolo civile. (Nuovi movimenti nel pubblico).

Noi dobbiamo serbare in tutte le circostanze, anche nelle più gravi, la nostra calma e la nostra dignità, e dobbiamo dare al mondo civile la prova che noi sappiamo rispettare i diritti della giustizia, che sappiamo assolvere il compito nostro, senza lasciarci sopraffare da sentimenti di odio o di vendetta, da nessuna passione, che possa velare la nostra mente e fuorviare il nostro giudizio.

Purtroppo l’intromissione di passioni estranee nella causa presente si è rivelata, anche nella requisitoria che or ora avete udita.

Imperocchè il Procuratore Generale ha creduto di dovervi dire che la vostra indulgenza sarebbe una nota stridente nel plebiscito italiano di dolore. Egli ha creduto di dover alludere ad altri precedenti simili processi, e qua e là ha dato a di vedere una certa preoccupazione d’indole politica. Voi dovete scacciare queste preoccupazioni dagli animi vostri: voi dovete amministrare giustizia con calma e serenità. E quella stessa moderazione che a noi ci veniva raccomandata dal banco dell’accusa, io oso raccomandarla a voi.

Imperocchè non crediate che coi verdetti eccessivi, colle condanne atroci si reprima il delitto. Noi abbiamo la prova del contrario, appunto nei fatti precedenti all’attuale, ai quali ha alluso il P. M. No! I gravi delitti non trovano un freno nella repressione. Certi gravi delitti, come l’attuale, rispondono a gravi problemi sociali. (Movimenti nel pubblico).

E questi problemi sociali devono essere studiati e risoluti con amore, con coscienza da tutti i buoni cittadini. No, non è la pena grave che cada sopra costui che possa trattenere altri disposti a sagrificare la propria esistenza, per un’idea anche errata che sia nella loro mente, dal compiere i loro propositi; ed è una pericolosa illusione il credere come noi facciamo, che colpendo severamente un reato, noi ne impediamo altri. Pericolosa illusione perché essa ci distoglie dall’avvisare ai veri rimedii dei mali sociali che ci travagliano e che nel delitto si velano.

Il P. M. ha detto che egli non sarebbe entrato nella discussione delle teorie anarchiche; ciò non dimeno egli ha fatto delle affermazioni che io non posso lasciar passare, per le conseguenze che egli ne ha tratte, e che anche voi potreste trarne nei riguardi del vostro verdetto.

Egli ha detto che il delitto di oggi è delitto dell’anarchia, che il cammino dell’anarchia è tracciato da atroci misfatti, che colui il quale fu il capo, l’ispiratore, il maestro dell’anarchismo aveva un solo scopo: la distruzione; che il partito anarchico si può paragonare alla sètta degli ascisci, capitanata dal Vecchio della Montagna; che Paterson è addirittura la cittadella degli anarchici; che ivi si tengono pubbliche conferenze ove discutesi il fatto individuale, che vi si pubblica un giornale intitolato l’Aurora e che in questo giornale si fa apertamente l’apologia del regicidio.

Ora, tutte queste affermazioni non sono confortate di prova alcuna e non rispondono al vero. Il regicidio non è, non può essere un principio anarchico. Ammazzare un uomo, sia un re, sia un capo di governo, sia un avversario qualsiasi, non può risolvere nessun problema sociale.

Il regicidio, prima, e molto prima che fosse praticato dagli anarchici, e notate bene, da alcuni anarchici soltanto (or ora vi dirò le ragioni per cui questi anarchici ricorrono a questo mezzo di lotta), il regicidio, prima ancora che dagli anarchici, è stato praticato da tutti gli altri partiti politici.

Voi conoscete la storia meglio di me, e non ho bisogno di ricordarvi che al regicidio hanno ricorso i monarchici contro i capi di governo repubblicano, i repubblicani contro i capi di governo monarchico, i cattolici contro i protestanti, i protestanti contro i cattolici: al regicidio hanno ricorso le sètte le quali intendevo, a un qualsiasi fine politico; il regicidio è stato in certe circostanze considerato, bene o male, come un atto di buona guerra. Esso non è un’invenzione degli anarchici, è un’idea che ricorre alla mente di uomini che lottano contro un dato ordine sociale, che si illudono di poter colpire quest’ordine sociale in colui che esteriormente lo rappresenta.

Io non voglio allungare questa discussione, leggendovi per intiero un discorso di un deputato italiano pronunciato in pieno Parlamento Subalpino nel 1858, all’indomani del tentato regicidio contro Napoleone III da parte di Felice Orsini. Quel deputato era il Brofferio. Egli pronunciò quel suo discorso (che è una vera apologia del regicidio) fra gli applausi di un buon numero dei sui colleghi.

E citò tutti coloro i quali nella storia hanno fatto l’apologia del regicidio. E sapete chi citò? Citò, gente di tutte le condizioni sociali, scrittori politici, poeti, perfino padri della chiesa: citò la Bibbia, dove Giuditta è glorificata per aver ucciso Oloferne, citò Cicerone. Ed infine a queste citazioni si trova nel discorso la dichiarazione fatta dal Brofferio della propria opinione intorno al regicidio, la quale è questa: «Ben più seria querela — dice Brofferio — muoverei all’on. Della Margherita. Voi udiste, o signori, le sue parole sopra Felice Orsini. Felice Orsini ha potuto trovare a Parigi un francese che con nobili accenti ha evocato, prima di morire, sopra il suo capo, le simpatie dell’Europa. Felice Orsini aveva attentato alla vita di Napoleone III e Brofferio dice che il suo difensore Jules Fàvre, con nobili accenti, aveva chiamato sul suo capo le simpatie dell’Europa, «E si doveva — aggiunge il Brofferio — in un Parlamento italiano, trovare un italiano che ai piedi del patibolo lo chiamasse malfattore!» Brofferio negava che Felice Orsini fosse un malfattore.

E dopo ciò, verrete voi a dirmi che sono gli anarchici che hanno inventato il regicidio?

È vero, alcuni anarchici hanno attentata alla vita dell’uno o dell’altro capo di Stato. E noi continuamente ci poniamo questo problema: «Come è che costoro sono anarchici, ma più particolarmente anarchici italiani, ed ancor più particolarmente anarchici italiani emigrati dal loro paese? I principii anarchici sono gli stessi, siano essi professati da inglesi, tedeschi, francesi o da italiani: ciò non di meno noi vediamo questa grande differenza: gli anarchici degli altri paesi non ricorrono al regicidio: vi ricorrono i soli italiani.

Qui è necessario che noi discorriamo delle cagioni di questi fatti, perché da esse noi potremo trarre gli elementi per un giudizio più equo, meno esagerato, anche nei riguardi dell’attuale accusato.

Per taluni la spiegazione è semplice. Gli anarchici italiani sono sanguinarii più degli anarchici appartenenti alle altre nazioni, per la stessa ragione per la quale in Italia si commette un maggior numero di omicidii che non negli altri paesi.

Questa spiegazione non mi persuade. È vero che nel nostro paese si commettono, disgraziatamente, più omicidi che non negli altri paesi; ma sono omicidi di impeto, passionali, mentre quelli premeditati, i grandi delitti, i grandi assassinii sono forse più frequenti in altri paesi che non da noi; certamente più in Francia che non in Italia.

Ora noi siamo precisamente nel caso di un omicidio non passionale, ma premeditato, nel caso, se mi è permessa l’espressione, del grande delitto.

Una seconda spiegazione che da taluno si dà, è stata anche accennata dall’attuale accusato: il disagio economico dei nostri operai, disagio che li inasprisce, li eccita e li induce ad atti di ribellione.

Ora io mi permetto di non convenire neppure in questo. Non ascrivo sia le cause di questo reato il disagio economico degli operai, per la semplice ragione che operai i quali versino in tristissime condizioni ve ne sono pur troppi in altri paesi; operai emigranti più poveri degli Italiani sono gli Ungheresi, gli Scandinavi, i Cinesi, gli Irlandesi, che pure si incontrano nei paesi di grande immigrazione come gli Stati Uniti. Non si spiegherebbe come fra tutti questi operai di diversi paesi, i quali si trovano tutti in grande disagio economico, semplicemente agli italiani venga in mente di ricorrere a questo mezzo per reagire contro le proprie tristi condizioni economiche.

Queste ragioni quindi non spiegano il fatto, ed il problema sussiste.

Ve ne sono altre, le quali ci danno la chiave dello enigma, ed a me corre il debito di dirle.

Avanti tutto, per parlare particolarmente del regicidio, dobbiamo tenere in considerazione due fattori: lo storico ed il politico. Il fattore storico è questo: in Italia sopravvivono ancora le tradizioni dei diversi governi assoluti, quindi la tendenza nella popolazione, in generale, di personificare il governo dello Stato nel Re: noi italiani non abbiamo ancora l’educazione politica degli altri popoli: non comprendiamo quanto sia complicato l’ingranaggio sociale: abbiamo bisogno di semplificare la nostra concezione dello Stato e lo Stato lo vediamo nel capo di esso. Quindi se altri hanno bisogno di un soccorso, crede opportuno di rivolgersi alla munificenza reale; se altri riceve un torto, ragiona e dice che alla fine dei conti l’autore primo e principale di questo torto deve essere il capo dello Stato.

E questo convincimento, che ci viene dalla tradizione, è pur troppo confortato da una propaganda che giorno per giorno si va facendo per il ritorno ad aboliti regimi di governo: la propaganda assolutista… (Movimenti nell’uditorio) …di cui si fa eco una certa stampa, e che non incontra da parte dell’autorità giudiziaria, nessuna repressione. Nei giornali voi leggete spesso volte frasi di questo genere: Quanto sarebbe bene che il Re mandasse a casa i deputati e governasse lui solo!

Quale altro effetto possono produrre nella mente delle persone non molto istruite queste affermazioni se non quello di confermarlo nel pregiudizio che il Re, volendo, possa egli solo provvedere a tutte le faccende del bel paese d’Italia, regolandole tutte secondo un principio ideale di equità e di giustizia che valga a rimuovere ogni ragione di lamento?

È la propaganda assolutista quella che ha contribuito a rafforzare la persuasione che il Re debba rispondere di tutti i mali che soffrono le popolazioni. (Movimenti nell’uditorio)

A questo bisogna aggiungere un altro fatto importantissimo, e voi vedrete e direte nel vostro verdetto se effettivamente l’errore che è nella mente di colui (accennando all’accusato) sia imputabile soltanto a lui o lo sia anche ad altri, e direi quasi all’universalità dei cittadini d’Italia. (Agitazione nell’uditorio).

E questo altro fatto è che noi effettivamente abbiamo attraversato un periodo acuto della nostra vita politica. Vi è stato un momento in cui, come diceva l’imputato, pareva che le nostre libertà fossero in pericolo; pareva che la gran legge dello Stato fosse solo in salvezza del Governo: fu proclamato che per una ragione suprema di necessità e di difesa della propria esistenza, il governo avesse il diritto di manomettere le leggi, di violarne lo Statuto, di creare tribunali straordinarii, di mettere stati d’assedio e fare tutto quello che venisse in mente al presidente del Consiglio dei ministri. (L’agitazione nel pubblico va crescendo).

Noi siamo usciti fuori dal terreno delle libertà, abbiamo ricorso alle violenze; sì! il Governo ricorse alla violenza; e non dovete meravigliarvi se l’esempio della violenza, venendo dall’alto, provocasse una reazione dal basso della società, se c’è stato chi ha creduto ad un’altra necessità, a quella cioè di opporre alla violenza del Governo la violenza privata. (Segni mal repressi di disapprovazione nel pubblico).

Procuratore generale. — Mi pare che questo…

Avv. Merlino. — Questo è il fattore politico della delinquenza anarchica in Italia. Ma un’altra ragione più speciale, deve essere addotta in difesa dell’accusato: il trattamento che è stato fatto agli anarchici nel nostro paese. Perché, notatelo bene, o signori giurati, per quanto si vogliano dipingere a foschi colori i principii degli anarchici, ciò non pertanto in Inghilterra ognuno è libero di esporre le sue teorie, di tenere quelle conferenze cui accennava il P. M., e la polizia non interviene, ed in Inghilterra non accadono attentati anarchici, come da noi.

Da noi, invece, si è stabilito in principio, che l’anarchico non ha il diritto né di pubblicare giornali, né di parlare in pubblico, né di esporre in modo alcuno le proprie convinzioni, né di costituirsi in associazione coi suoi compagni di fede. Gli anarchici non hanno il diritto di esistere come partito, e come individui sono perseguitati quali belve feroci dalla polizia, che crede… (viva agitazione nel pubblico)

Presidente, — Avvocato, veda di mantenersi strettamente nei limiti della causa (approvazioni vivissime dal pubblico — tentativi di applausi)

Avv. Merlino (concitato), — Io faccio appello alla civiltà…

Presidente. — Avverto il pubblico che non sono permessi segni di approvazione o di disapprovazione, e che, rinnovandosi, farò sgombrare immediatamente la sala, e si procederà a porto chiuse.

Avv. Merlino. — Signor presidente, io credo di essere precisamente nei limiti della causa, quando rispondo alle argomentazioni del rappresentante l’accusa. Il P.M. ha parlato di una cittadella di anarchici, Paterson: io posso spiegarvi coi documenti alla mano, come essa si sia formata. In Italia, e propriamente ad Ancona, si pubblicava un giornale intitolato L’Agitazione, e direttore o redattore capo ne era un uomo che voi tutti conoscete di nome e di cui si è fatto anche parola in questo processo: Errico Malatesta. Ebbene, in questo giornale — e ne ho qui i numeri, che posso passare al rappresentante l’accusa (anche perché il problema è gravissimo e merita di essere studiato sotto molti riguardi, non solo in quelli del processo attuale) — in questo giornale il Malatesta diceva espressamente: noi anarchici non domandiamo che di poter fare la nostra propaganda nei limiti che ci sono consentiti dalla legge: di poterci costituire in associazione e di poter partecipare ai tentativi che fanno le classi operaie per il miglioramento delle loro condizioni economiche e di essere rispettati come tutti gli altri partiti politici nell’esercizio delle pubbliche libertà.

Sapete come si rispose alla propaganda strettamente pacifica del Malatesta e dei suoi compagni in Ancona? Si rispose con un processo per associazione a delinquere; e quando i magistrati di Ancona, in prima istanza, e poi in di appello, assolvettero gl’imputati dichiarando tra altre cose che risultava luminosamente provata la loro alte moralità, il Governo non si peritò di mandarli a prendere e confinarli nelle isole!

Il Malatesta dovette arrischiare la vita per riacquistare la sua, libertà, e si recò prima a Londra, poi a Paterson. lo sono convinto che egli non ha fatto l’apologia del regicidio; ma nello stesso tempo credo bene che egli, non avrà cantato le lodi del governo italiano. Ecco come si spiega la cittadella degli anarchici.

Presidente, — La prego nuovamente, avvocato: venga alla causa.

Avv. Merlino, — Questa è la causa.

Presidente, — No, non è la causa.

Avv. Merlino, — Con le sue persecuzioni, la polizia spinge alcuni di questi anarchici, i più impulsivi, a reagire; li caccia dal proprio paese; toglie ad essi i mezzi di lottare nel campo politico e legale e crea loro un ambiente.

Presidente. — Io non posso lasciarla continuare di questo passo: venga alla parte legale della causa e veda di stringere e possibilmente di conchiudere.

Avv. Merlino, — La parte legale della causa è precisamente questa. L’ambiente artificiale a cui ha accennato il P. M. nel quale questa gente è costretta a vivere…

Pubblico Ministero, — Io non ho parlato di questo! Ho detto: la difesa potrà dire che l’ambiente di Paterson abbia potuto contribuire a demoralizzare l’accusato…

Avv. Merlino. — La mia tesi difensiva è legalissima ed è questa: noi tutti ormai conosciamo che il delitto collettivo va misurato ad una stregua diversa del delitto individuale. Si è parlato molto del delitto della folla e ci sono non solo autori, ma anche sentenze di magistrati, le quali ritengono che il delitto commesso in una folla abbia in questo stesso fatto un’attenuante. Ma, se io vi dimostro che effettivamente vi è un ambiente artificiale, nel quale questi anarchici si trovano insieme, stretti da una comune persecuzione, e vi si esaltano a vicenda e qualcuno di essi viene a propositi di questo genere, io dico: voi non potete essere severi con costui, perché se riandate le cause del suo delitto, la causa, la causa prima la rinverrete nell’azione di coloro che, avversando le sue idee, gli hanno negato il diritto che deve essere riconosciuto ad ogni cittadino di professare i principii, che crede giusti, di lottare per l’attuazione pacifica dei proprii ideali. (Rumori nel pubblico).

Presidente, — Avvocato non si fermi davvantaggio su queste argomentazioni: la prego un’altra volta di venire alla conclusione.

Avv. Merlino, — Signor presidente, io credo di dovervi insistere.

Presidente. — Ella non ha il diritto di insistere. Ella non può venir qui ad accusare: non può venir qui a far della propaganda.

Avv. Merlino. — Io sono nella causa, io non faccio propaganda. Ella vede che non ho discussi i principii.

Presidente — Se non sarà propaganda sarà apologia. Ella su certe argomentazioni si ferma un po’ troppo e con troppa passione; quindi veda di trattare la causa nei limiti strettamente necessari alla difesa dell’accusato. (Approvazioni vivissime e mal represse da parte del pubblico)

Avv. Merlino, — La troppa passione è segno della profondità della mia convinzione.

Presidente, — E sia; ma si tenga strettamente alla causa.

Avv. Merlino, — Del resto mi permetto di osservare che questa tesi fu anche sostenuta dinanzi alla Corte d’assise di Napoli dall’illustre avv. Tarantini, in un processo perfettamente identico.

Procuratore generale. — Il Tarantini sostenne proprio il contrario,

Avv. Merlino. — Precisamente ; ciò nondimeno io ho ragione di invocare il suo esempio… E spiego subito questa apparente contraddizione. Anche l’illustre avvocato napoletano sostenne che dal fatto bisognasse rimontare alla causa; se non che rinveniva la causa del regicidio nella troppa libertà e nella troppa istruzione, ed io la ritengo invece nella poca o nessuna libertà lasciata ad alcuni cittadini e ad alcuni partiti. Dunque, se era nei limiti della causa l’avv. Tarantini, mi pare di esservi anch’io.

Presidente, — Al contrario.

Avv. Merlino. — Signor Presidente, signori Giurati: che cosa è il delitto politico? È l’insorgere che un individuo o pochi individui fanno contro il regime di cose esistente. Ed io sono il primo a riconoscere (in ciò discorde dall’opinione di ben noti autori), che il delitto politico abbia in sé un vero contenuto morale; perché non si ha il diritto di insorgere contro la volontà della maggioranza della nazione è di imporle un mutamento di regime colla violenza. Questo deve essere riconosciuto in qualunque regime politico, anche domani, se ne avessimo un altro, puta caso), il socialista. È necessario che coloro i quali hanno opinioni contrarie al vigente ordinamento dello Stato facciano valere le loro opinioni per mezzo della propaganda pacifica, finché quelle opinioni guadagnino il consenso universale e si impongano. Questo però importa, che si consenta una tale propaganda. Per impedire il delitto politico non vi è che un solo metodo: libertà per tutte le opinioni.

Quando negate libertà a certe opinioni, quando voi maggioranza commettete abusi ed ingiustizie, allora necessariamente, inducete la minoranza ad uscire anch’essa dal terreno della legalità, e violare in voi quella libertà che voi violate in essa.

Presidente. — Signor Avvocato: qui non vi sono abusi né violenze di sorta. Veda, per carità, di attenersi alla causa, di stringere gli argomenti, di abbandonare certe sue teorie: le potrà spiegare in altra sede. Qui deve trattare legalmente la causa, lasciando da parte certe teorie elastiche.

Avv., Merlino (concitato). — Lei, signor Presidente, non ha interrotto il P. M. quando anch’egli ha accennato a teorie.

Presidente, — Il P.M. non ha mai esorbitato.

Procuratore generale. — Io ho parlato di fatti, non di teorie.

Avv., Morlino, — E di fatti sto parlando anch’io.

Procuratore generale. — Lei mi viene a ragionare del delitto politico, e mi viene a confondere il delitto politico con l’assassinio del Re!

Avv. Morlino, — Precisamente, si tratta di un assassinio politico.

Procuratore generale. — Uccidere un uomo è sempre un assassinio. (Benissimo! Approvazioni vivissime da porte del pubblico — Rumori mal repressi).

Presidente. — Facciamo silenzio — La prego un’altra volta, avvocato, di stringere e di conchiudere. Ella ha parlato abbastanza su questa questione. Venga nella parte legale, se crede, e poi conchiuda; altrimenti io sarò obbligato a richiamarla un’altra volta nell’ordine e di ricorrere ad altri provvedimenti che lei conosce.

Avv. Merlino (eccitatissimo) — Prima che il Presidente venga a questo provvedimento, desidero che sia inserita a verbale la mia tesi.

Procuratore generale. — Crede che non sia morale, secondo lui, ma ha sostenuto la giustificazione del delitto politico!! Lo chiedo anch’io che lo si inserisca a verbale.

Presidente, — S’inserisca a verbale che l’avv. Merlino tratta lungamente di teoriche intese a giustificare il delitto politico, e che il Presidente lo richiama all’ordine per la seconda e per la terza volta.

Avv. Merlino. — Prego anche s’ inserisca: L’avv. Merlino chiede e fa istanza perché sia inserito a verbale che egli sostiene questa tesi: che tra le cause del delitto attribuito al Bresci vi sono cause di indole generale e che queste cause d’indole generale debbono essere tenute in considerazione nel misurare la responsabilità da attribuirsi al Bresci medesimo.

Presidente, — Si dia atto all’avv. Merlino di questa sua dichiarazione, e poi basta.

Avv. Merlino. — Come voi vedete, mi è impossibile di svolgere il concetto che io avevo tentato di tar penetrare nelle vostre menti, vale a dire che voi dovete in questa causa tener conto di tutti i fattori i quali hanno potuto determinare il Bresci a commettere il regicidio; pur essendo la mia tesi perfettamente legale, mi è vietato di svolgerla, perché necessariamente alcune mie frasi hanno urtato le convinzioni del P. M.

Non mi rimane, dunque, che a conchiudere. Noi dobbiamo distinguere due cose perfettamente diverse; la vendetta dalla giustizia.

La vendetta è una semplice ritorsione dell’ingiuria, la giustizia è una riaffermazione del diritto mediante l’esame calmo, freddo, rigoroso e minuto di tutte le responsabilità.

Ora in questa causa viene continuamente in conflitto il sentimento della vendetta col sentimento della giustizia. Forse questo accade in tutte le cause, ma un po’ più in questa — l’idea corre alla necessità di vendicare in modo esemplare il delitto.

Ma voi dovete preservarvi da questa influenza, voi dovete essere compenetrati del vostro dovere di rendere puramente e semplicemente giustizia.

Se si dovesse fare vendetta, oh! allora certamente non ci sarebbe stato bisogno della solennità di questo dibattimento.

Se si dovesse fare vendetta oh! allora sarebbe giustificato che oltre al Bresci si siano colpiti anche il fratello, il cognato, gli amici, i correligionarii, gli abitanti del suo paese nativo, che si siano fatti arresti in massa per l’Italia (Rumori vivissimi — Agitazione crescente nel pubblico), e si fabbrichino processi per associazione di malfattori contro persone innocenti…

Presidente (vivamente). — Ma questo non si fa in Italia.

Avv. Merlino. — Questa è vendetta. Ma voi dovete fare giustizia in questo senso: che voi dovete assegnare a costui la sua vera responsabilità, egli è colpevole, sì; ha commesso un delitto, non lo nego, e deve farne l’espiazione. Ma dati i suoi precedenti, date le cause che brevemente vi ho esposte, date tutte le influenze che hanno agito sull’animo di lui, gli negherete voi quello che tante volte avete concesso anche ai parricidi, anche ad accusati che non avevano i suoi buoni precedenti, non erano stati trascinati da una erronea idea politica, anche ad individui a delinquere nati, ad nomini perversi i quali, se avessero potuto avere ancora un’ora di libertà avrebbero commesso altri atroci delitti?

Di qui non si esce: o voi applicate a costui i principii del diritto comune, della giustizia ordinaria e non dovete fare sì che gli sia inflitta la massima delle pene, non inferiore a quella tale pena di morte, della cui abolizione di mena vanto, anzi molto più barbara e crudele, perché è un’agonia perpetua.

Se, invece, il vostro verdetto sarà quale lo chiede il P.M., non farete giustizia, farete vendetta, farete cosa non degna di un popolo civile (Movimenti diversi – Rumori nel pubblico.)

SAVERIO MERLINO.

N.B. – Il lettore tenga presente che il pubblico era composto di soli funzionari dello Stato e di guardie di pubblica sicurezza; così è spiegabilissimo il suo contegno verso il difensore.

Fonte

 

ANARCHIA Di Errico Malatesta

Il significato di Anarchia nell’accezione di Errico Malatesta.

ANARCHIA

Di Errico Malatesta

 

Anarchia è parola che viene dal greco, e significa propriamente senza
governo: stato di un popolo che si regge senza autorità costituite,
senza governo.
Prima che tale ordinamento incominciasse ad essere considerato come
possibile e desiderabile da tutta una categoria di pensatori, e fosse
preso a scopo da un partito, che è ormai diventato uno dei più
importanti fattori delle moderne lotte sociali, la parola anarchia
era presa universalmente nel senso di disordine, confusione; ed è
ancor oggi adoperata in tal senso dalle masse ignare e dagli
avversari interessati a svisare la verità.
Noi non entreremo in disquisizioni filologiche, poiché la questione
non è filologica, ma storica. Il senso volgare della parola non
misconosce il suo significato vero ed etimologico; ma è un derivato
di quel senso, dovuto al pregiudizio che il governo fosse organo
necessario della vita sociale. e che per conseguenza una società
senza governo dovesse essere in preda al disordine, ed oscillare tra
la prepotenza sfrenata degli uni e la vendetta cieca degli altri.
L’esistenza di questo pregiudizio e la sua influenza nel senso che il
pubblico ha dato alla parola anarchia, si spiega facilmente.
L’uomo, come tutti gli esseri viventi, si adatta e si abitua alla
condizione in cui vive, e trasmette per eredità le abitudini
acquisite. Così, essendo nato e vissuto nei ceppi, essendo l’erede di
una lunga progenie di schiavi, l’uomo, quando ha incominciato a
pensare, ha creduto che la schiavitù fosse condizione essenziale
della vita, e la libertà gli è sembrata cosa impossibile. In pari
modo, il lavoratore, costretto per secoli e quindi abituato ad
attendere il lavoro, cioè il pane, dal buon volere del padrone, ed a
vedere la sua vita continuamente alla mercé di chi possiede la terra
ed il capitale, ha finito col credere che sia il padrone che dà da
mangiare a lui, e vi domanda ingenuamente come si potrebbe fare a
vivere se non vi fossero i signori.
Così uno, il quale fin dalla nascita avesse avuto le gambe legate e
pure avesse trovato modo di camminare alla men peggio, potrebbe
attribuire la sua facoltà di muoversi precisamente a quei legami, che
invece non fanno che diminuire e paralizzare l’energia muscolare
delle sue gambe.
Se poi agli effetti naturali dell’abitudine s’aggiunga l’educazione
data dal padrone, dal prete, dal professore, ecc., i quali sono
interessati a predicare che i signori ed il governo sono necessari;
se si aggiunga il giudice ed il birro, che si forzano di ridurre al
silenzio chi pensasse diversamente e fosse tentato a propagare il suo
pensiero, si comprenderà come abbia messo radice, nel cervello poco
coltivato della massa laboriosa, il pregiudizio della utilità, della
necessità del padrone e del governo.
Figuratevi che all’uomo dalle gambe legate, che abbiamo supposto, il
medico esponesse tutta una teoria e mille esempi abilmente inventati
per persuaderlo che colle gambe sciolte egli non potrebbe né
camminare, ne vivere; quell’uomo difenderebbe rabbiosamente i suoi
legami e considererebbe nemico chi volesse spezzarglieli.
Dunque, poiché si è creduto che il governo fosse necessario e che
senza governo non si potesse avere che disordine e confusione, era
naturale e logico che anarchia, che significa assenza di governo,
suonasse assenza di ordine.
Né il fatto è senza riscontro nella storia delle parole. Nelle epoche
e nei paesi, in cui il popolo ha creduto necessario il governo di un
solo (monarchia), la parola repubblica, che è il governo dei più, è
stata usata appunto nel senso di disordine c di confusione e questo
senso si ritrova ancora vivo nella lingua popolare di quasi tutti i
paesi.
Cambiate lopinione. convincete il pubblico che il governo non solo
non è necessario, ma è estremamente dannoso, ed allora la parola
anarchia, appunto perché significa assenza di governo, vorrà dire per
tutti: ordine naturale. armonia dei bisogni e deglinteressi di tutti,
libertà completa nella completa solidarietà.
Hanno dunque torto coloro che dicono che gli anarchici hanno
malamente scelto il loro nome, perché questo nome è erroneamente
inteso dalle masse e si presta ad una falsa interpretazione. L’errore
non dipende dalla parola, ma dalla cosa; e le difficoltà che
incontrano gli anarchici nella propaganda non dipendono dal nome che
si danno, ma dal fatto che il loro concetto urta tutti gli nveterati
pregiudizi, che il popolo ha sulla funzione del governo, o, come pur
si dice, dello Stato.

Prima di procedere è bene spiegarsi su quest’ultima parola, la quale,
a parer nostro, è davvero causa di molti malintesi.
Gli anarchici, e noi fra loro, ci siamo serviti e ci serviamo
ordinariamente della parola Stato, intendendo per essa tutto
quell’insieme di stituzioni politiche, legislative, giudiziarie,
militari, finanziario, ecc. per le quali sono sottratte al popolo la
gerenza dei propri affari, la direzione della propria condotta, la
cura della propria sicurezza, e sono affidate, ad alcuni che, o per
usurpazione o per delegazione, si trovano investiti del diritto di
far le leggi su tutto e per tutti e di costringere il popolo a
rispettarle, servendosi all’uopo della forza di tutti.
In questo caso la parola Stato significa governo, o, se si vuole, è
l’espressione impersonale, astratta di quello stato di cose, di cui
il governo e la personificazione: e quindi le espressioni abolizione
dello Stato, Società senza Stato, ecc. rispondono perfettamente al
concetto che gli anarchici vogliono esprimere, di distruzione di ogni
ordinamento politico fondato sull’autorità, e di costituzione di una
società di liberi ed uguali, fondata sullarmonia degli interessi e
sul concorso volontario di tutti al compimento dei carichi sociali.
Però la parola Stato ha molti altri significati, e fra questi alcuni
che si prestano all’equivoco, massime quando essa si adopera con
uomini, cui la triste posizione sociale non ha dato agio di abituarsi
alle delicate distinzioni del linguaggio scientifico, o, peggio
ancora, quando si adopera con avversari in mala fede che hanno
interesse a con fondere e non voler comprendere.
Cosi la parola Stato si usa spesso per indicare una data società, una
data collettività umana, riunita sopra un dato territorio e
costituente quello che si dice un corpo morale, indipendentemente dal
modo come i membri di detta collettività sono aggruppati e dai
rapporti che corrono tra di loro. Si usa anche semplicemente come
sinonimo di società. E a causa di questi significati della parola
Stato, che gli avversari credono, o piuttosto fingono di credere che
gli anarchici intendono abolire ogni connessione sociale, ogni lavoro
collettivo e ridurre gli uomini allisolamento, cioè ad una condizione
peggio che selvaggia.
Per Stato sintende pure lamministrazione suprema di un paese, il
potere centrale, distinto dal potere provinciale o comunale; e per
questo altri credono che gli anarchici vogliono un semplice
discentramento territoriale, lasciando intatto il principio
governativo, e confondono così l’anarchia col cantonalismo e col
comunalismo.
Stato significa infine condizione, modo di essere, regime di vita
sociale, ecc. e perciò noi diciamo, per esempio, che bisogna cambiare
lo stato economico della classe operaia, o che lo stato anarchico è
il solo stato sociale fondato sul principio di solidarietà, ed altre
frasi simili, che in bocca a noi, che poi in altro senso diciamo di
voler abolire lo Stato, possono a prima giunta sembrare barocche o
contraddittorie.
Per dette ragioni noi crediamo che varrebbe meglio adoperare il meno
possibile lespressione abolizione dello Stato e sostituirla con
laltra pié chiara e pié concreta abolizione del governo.
In ogni modo è quello che faremo nel corso di questo lavoretto.
Abbiamo detto che l’anarchia è la società senza governo.
Ma è possibile, è desiderabile, è prevedibile la soppressione dei governi?
Vediamo.
Che cosa è il governo?
La tendenza metafisica (che è una malattia della mente, per la quale
l’uomo, dopo di avere per processo logico astratto da un essere le
sue qualità, subisce una specie di allucinazione che gli fa prendere
l’astrazione per un essere reale), la tendenza metafisica, diciamo,
che malgrado i colpi della scienza positiva, ha ancora salde radici
nella mente della più parte degli uomini contemporanei, fa sì che
molti concepiscono il governo come un ente morale, con certi dati
attributi di ragione, di giustizia, di equità, che sono indipendenti
dalle persone che stanno al governo. Per essi il governo, e più
astrattamente ancora lo Stato, è il potere sociale astratto; è il
rappresentante, astratto sempre, degli interessi generali; è
l’espressione del diritto di tutti, considerato come limite dei
diritti di ciascuno. é questo modo di concepire il governo è
appoggiato dagli interessati, cui preme che sia salvo il principio di
autorità, e sopravviva sempre alle colpe ed agli errori di coloro che
si succedono nell’esercizio del potere.
Per noi, il governo è la collettività dei governanti; ed i
governanti re, presidenti, ministri, deputati, ecc. sono coloro che
hanno la facoltà di fare delle leggi per regolare i rapporti degli
uomini tra di loro, e farle eseguire; di decretare e riscuotere
l’imposta; di costringere al servizio militare; di giudicare e punire
i contravventori alle leggi; di sottoporre a regole, sorvegliare e
sanzionare i contratti privati; di monopolizzare certi rami della
produzione e certi servizi pubblici, o, se vogliono, tutta la
produzione e tutti i servizi pubblici; di promuovere o ostacolare lo
scambio dei prodotti; di far la guerra o la pace coi governanti di
altri paesi, di concedere o ritirare franchigie, ecc., ecc. I
governanti in breve, sono coloro che hanno la facoltà, in grado più o
meno elevato, di servirsi della forza sociale, cioè della forza
fisica,intellettuale ed economica di tutti, per obbligare tutti a
fare quello che vogliono essi. E questa facoltà. costituisce, a parer
nostro, il principio governativo, il principio di autorità.
Ma quale è la ragion d’essere del governo?
Perché abdicare nelle mani di alcuni individui la propria libertà, la
propria iniziativa? Perché dar loro questa facoltà di impadronirsi,
con o contro la volontà di ciascuno, della forza di tutti e disporne
a loro modo? Sono essi tanto eccezionalmente dotati da potersi, con
qualche apparenza di ragione, sostituire alla massa e fare gli
nteressi, tutti gli nteressi degli uomini meglio di quello che
saprebbero farlo gli interessati? Sono essi infallibili ed
incorruttibili al punto da potere affidare, con un sembiante di
prudenza, la sorte di ciascuno e di tutti alla loro scienza e alla
loro bontà?
E quand’anche esistessero degli uomini di una bontà e di un sapere
infiniti, quand’anche, per un’ipotesi che non si è mai verificata
nella storia e che noi crediamo impossibile a verificarsi, il potere
governativo fosse devoluto ai più capaci ed ai più buoni,
aggiungerebbe il possesso del governo qualche cosa alla loro potenza
benefica,o piuttosto la paralizzerebbe e la distruggerebbe per la
necessità, in cui si trovano gli uomini che sono al governo, di
occuparsi di tante cose che non intendono, e soprattutto di sciupare
il meglio della loro energia per mantenersi al potere, per contentare
gli amici, per tenere a freno i malcontenti e per domare i ribelli?
E ancora, buoni o cattivi, sapienti o ignari che siano i governanti,
chi è che li designa all’alta funzione? Si impongono da loro stessi
per diritto di guerra, di conquista, o di rivoluzione? Ma allora che
garanzia ha il pubblico che essi s ispireranno all’utilità generale?
Allora è pura questione di usurpazione, ed ai sottoposti, se
malcontenti, non resta che l’appello alla forza per scuotere il
giogo. Sono scelti da una data classe, o da un partito? E allora
certamente trionferanno gli interessi e le idee di quella classe o di
quel partito, e la volontà e gli interessi degli altri saranno
sacrificati.
Sono eletti a suffragio universale? Ma allora il solo criterio è il
numero, che certo non è prova né di ragione, né di giustizia, né di
capacità. Gli eletti sarebbero coloro che meglio sanno ingarbugliare
la massa; e la minoranza, che può anche essere la metà meno uno,
resterebbe sacrificata. E ciò senza contare che l’esperienza ha
dimostrato limpossibilità di trovare un meccanismo elettorale, pel
quale gli eletti siano almeno i rappresentanti reali della
maggioranza.
Molte e varie sono le teorie, con cui si è tentato spiegare e
giustificare l’esistenza del governo. Però tutte sono fondate sui
preconcetto, confessato o no, che gli uomini abbiano interessi
contrari, e che vi sia bisogno di una forza esterna, superiore. per
obbligare gli uni a rispettare gli interessi degli altri,
prescrivendo ed imponendo quella regola di condotta, in cui gli
interessi in lotta siano il meglio possibile armonizzati, ed in cui
ciascuno trovi il massimo di soddisfazione col minimo di sacrifici
possibili.
Se, dicono i teorici dell’autoritarismo, gli interessi, le tendenze,
i desideri di un individuo sono in opposizione con quelli di un altro
individuo o magari di tutta quanta la società, chi avrà il diritto e
la forza di obbligare l’uno a rispettare gli interessi dellaltro? Chi
potrà impedire al singolo cittadino di violare la volontà generale?
La libertà di ciascuno, essi dicono, ha per limite la libertà degli
altri; ma chi stabilirà questi limiti e chi li farà rispettare? Gli
antagonisti naturali degli interessi e delle passioni creano la
necessità del governo, e giustificano l’autorità, che interviene
moderatrice nella lotta sociale, e segna i limiti dei diritti e dei
doveri di ciascuno.
Questa è la teoria; ma le teorie per essere giuste debbono esser
basate sui fatti e spiegarli
e si sa bene come in economia sociale troppo spesso le teorie si
inventano per giustificare i fatti, cioè per difendere il privilegio
e farlo accettare tranquillamente da coloro che ne sono le vittime.
Guardiamo piuttosto ai fatti.
In tutto il corso della storia, così come nell’epoca attuale, il
governo, o è la dominazione brutale, violenta, arbitraria di pochi
sulle masse, e uno strumento ordinato ad assicurare il dominio ed il
privilegio a coloro che, per forza, o per astuzia, o per eredità,
hanno accaparrato tutti i mezzi di vita, primo tra essi il suolo, e
se ne servono per tenere il popolo in servitù e farlo lavorare per
loro conto.
In due modi si opprimono gli uomini: o direttamente colla forza
brutale, colla violenza fisica o indirettamente sottraendo loro i
mezzi di sussistenza e riducendoli così a discrezione. Il primo modo
è l’origine del potere, cioè del privilegio politico; il secondo è
l’origine della proprietà, cioè del privilegio economico. Si può
anche sopprimere gli uomini agendo sulla loro intelligenza e sui loro
sentimenti, il che costituisce il potere religioso, o universitario;
ma come lo spirito non esiste se non in quanto risultante delle forze
materiali, cosc la menzogna ed i corpi costituiti per propagarla non
hanno ragion di essere se non in quanto sono la conseguenza dei
privilegi politici ed economici, ed un mezzo per difenderli e
consolidarli.
Nelle società primitive, poco numerose e dai rapporti sociali poco
complicati, quando una circostanza qualsiasi ha impedito che si
stabilissero delle abitudini, dei costumi di solidarietà, o ha
distrutti quelli che esistevano e stabilito la dominazione dell’uomo
sull’uomo i due poteri politico ed economico si trovano raccolti
nelle stesse mani, che possono anche essere quelle di un uomo solo.
Coloro che colla forza han vinti ed impauriti gli altri, dispongono
delle persone e delle cose dei vinti, e li costringono a servirli, a
lavorare per loro ed a fare in tutto la loro volontà. Essi sono nello
stesso tempo proprietari, legislatori, re, giudici e carnefici.
Ma coll’ingrandirsi delle società, col crescere dei bisogni, col
complicarsi dei rapporti sociali, diventa impossibile l’esistenza
prolungata di un tale dispotismo. I dominatori, e per sicurezza e per
comodità e per l’impossibilità di fare altrimenti, si trovano nella
necessità da una parte di appoggiarsi sopra una classe privilegiata,
cioè sopra un certo numero di individui cointeressati nel loro
dominio, e dall’altra di lasciare che ciascuno provveda come può alla
propria esistenza, riservandosi per loro il dominio supremo, che è il
diritto di sfruttare tutti il più possibile, ed è il modo di
soddisfare la vanità di comando. Così all’ombra del potere, per la
sua protezione e complicità, e spesso a sua insaputa e per causa che
sfuggono al suo controllo, si sviluppa la ricchezza privata, cioè la
classe dei proprietari. E questi, concentrando a poco a poco nelle
loro mani i mezzi di produzione, le fonti vere della vita,
agricoltura, industria, scambi, ecc. finiscono col costituire un
potere a sé, il quale, per la superiorità dei suoi mezzi, e la grande
massa di interessi che abbraccia, finisce sempre col sottomettere più
o meno apertamente il potere politico, cioè il governo, e farne il
proprio gendarme.
Questo fenomeno si è riprodotto più volte nella storia. Ogni volta
che, con l’invasione o con qualsiasi impresa militare, la violenza
fisica, brutale ha preso il disopra di una società, i vincitori hanno
mostrato tendenza a concentrare nelle proprie mani governo e
proprietà. Però sempre, la necessità per il governo di conciliarsi la
complicità di una classe potente, le esigenze della produzione,
l’impossibilità di tutto sorvegliare e tutto dirigere, ristabilirono
la proprietà privata, la divisione dei due poteri, e con essa la
dipendenza effettiva di chi ha in mano la forza, i governi, da chi ha
in mano le sorgenti stesse della forza, i proprietari. Il governante
finisce sempre, fatalmente, coll’essere il gendarme del proprietario.
Ma mai questo fenomeno si era tanto accentuato quanto nei tempi
moderni. Lo sviluppo della produzione, l’estendersi immenso dei
commerci, la potenza smisurata che ha acquistato il denaro, e tutti i
fatti economici provocati dalla scoperta dell’America,
dall’invenzione delle macchine, ecc. hanno assicurato tale supremazia
alla classe capitalistica, che essa, non contenta più di disporre
dell’appoggio del governo, ha voluto che il governo uscisse dal
proprio seno. Un governo che traeva la sua origine dal diritto di
conquista (diritto divino, dicevano i re ed i loro preti) per quanto
sottoposto dalle circostanze alla classe capitalistica, conservava
sempre un contegno altero e disprezzante verso i suoi antichi schiavi
ora arricchiti, e aveva delle velleità d’indipendenza e di
dominazione. Quel governo era bensì il difensore, il gendarme dei
proprietari, ma era di quei gendarmi che si credono qualche cosa, e
fanno gli arroganti colle persone che debbono scortare e difendere,
quando non le svaligi ed ammazzano alla prima svolta di strada; e la
classe capitalista se ne è sbarazzata o se ne va sbarazzando, con
mezzi più o meno violenti, per sostituirlo con un governo scelto da
essa stessa, composto di membri della sua classe, continuamente sotto
il suo controllo, e specialmente organizzato per difendere la classe
contro le possibili rivendicazioni dei diseredati.
Di qui l’origine del sistema parlamentare moderno.
Oggi il governo, composto di proprietari di gente a loro ligia, è
tutto a disposizione dei proprietari, e lo è tanto che i più ricchi
spesso disdegnano di farne parte. Rotschild non ha bisogno di essere
né deputato, ne ministro; gli basta tenere alla sua dipendenza
deputati e ministri.
In molti paesi il proletariato ha nominalmente una partecipazione più
o meno larga alle elezione del governo. E una concessione che la
borghesia ha fatto, sia per avvalersi del concorso popolare nella
lotta contro il potere reale e l’aristocrazia, sia per distogliere il
popolo dal pensare ed emanciparsi col dargli una apparenza di
sovranità.
Però, che la borghesia lo prevedesse o no quando per la prima volta
concedeva al popolo il diritto al voto, il certo è che quel diritto
si è mostrato affatto irrisorio, e buono solo a consolidare il potere
della borghesia col dare alla parte più energica del proletariato la
speranza illusoria di arrivare al potere.
Anche col suffragio universale, e, potremmo dire, specialmente col
suffragio universale, il governo è restato il servo e il gendarme
della borghesia. Che se fosse altrimenti, se il governo accennasse a
divenire ostile se la democrazia potesse mai essere altro che una
lustra per ingannare il popolo, la borghesia minacciata nei suoi
interessi si affretterebbe a ribellarsi, ed adopererebbe tutta la
forza e tutta l’influenza che le viene dal possesso della ricchezza,
per richiamare il governo alla funzione di semplice suo gendarme.
In tutti i tempi e in tutti i luoghi qualunque sia il nome che piglia
il governo, qualunque sia la sua origine e la sua organizzazione, la
sua funzione essenziale è sempre quella di opprimere e sfruttare le
masse, di difendere gli oppressori e gli sfruttatori; ed i suoi
organi principali, caratteristici, indispensabili sono il birro e
l’esattore, il soldato ed il carceriere ai quali si aggiunge
immancabilmente il mercante di menzogne, prete o professore che sia,
stipendiato o protetto dal governo per asservire gli spiriti e farli
docili al giogo.
Certamente a queste funzioni primarie, a questi organi essenziali del
governo altre funzioni ed altri organi si sono aggiunti lungo il
corso della storia. Ammettiamo puranco che mai o quasi ha potuto
esistere, in un paese alquanto civilizzato, un governo che oltre le
funzioni oppressive e spogliatrici, non se ne attribuisse altre utili
o indispensabili alla vita sociale. Ma ciò non infirma il fatto che
il governo di sua natura oppressivo e spogliatore, e che è, per
lorigine e la posizione sua, fatalmente portato a difendere e
rinforzare la classe dominante; anzi lo conferma ed aggrava.
Il governo infatti si piglia la briga di proteggere, più o meno, la
vita dei cittadini contro gli attacchi diretti e brutali; riconosce e
legalizza un certo numero di diritti e doveri primordiali e di usi e
costumi senza di cui è impossibile vivere in società; organizza e
dirige certi esercizi pubblici, come posta, strade, igiene pubblica,
regime delle acque, bonifiche, protezioni delle foreste, ecc., apre
orfanotrofi ed ospedali, e si compiace spesso di atteggiarsi, solo in
apparenza sintende, a protettore e bene fattore dei poveri e dei
deboli. Ma basta osservare come e perché esso compie queste funzioni,
per riscontrarvi la prova sperimentale, pratica che tutto quello che
il governo fa è sempre ispirato dallo spirito di dominazione. ed
ordinato a difendere, allargare e perpetuare i privilegi propri, e
quelli della classe di cui egli è il rappresentante ed il difensore.
Un governo non può reggersi a lungo senza nascondere la sua natura
dietro un pretesto di utilità generale; esso non può far rispettare
la vita dei privilegiati senza darsi l’aria di volerla rispettata in
tutti; non può far accettare i privilegi di alcuni senza fingersi
custode del diritto di tutti.
“La legge” dice Kropotkine, e s’intende coloro che han fatta la
legge, cioè il governo ” ha utilizzato i sentimenti sociali dell’uomo
per far passare insieme ai precetti di morale che l’uomo accettava,
degli ordini utili alla minoranza degli sfruttatori, contro di cui
egli si sarebbe ribellato “.
Un governo non può volere che la società si disfaccia, poiché allora
verrebbe meno a sé ed alla classe dominante il materiale da
sfruttare; né può lasciare ch’essa si regga da sé senza intromissioni
ufficiali, poiché allora il popolo si accorgerebbe ben presto che il
governo non serve se non a difendere i proprietari che l’affamano, e
si affretterebbe a sbarazzarsi del governo e dei proprietari.
Oggi di fronte ai reclami insistenti e minacciosi del proletariato, i
governi mostrano la tendenza ad intromettersi nelle relazioni tra
padroni ed operai; con ciò tentano di deviare il movimento operaio, e
di impedire, con qualche ingannevole riforma, che i poveri prendano
da loro stessi tutto quello che spetta loro, cioè una parte di
benessere eguale a quella di cui godono gli altri.
Bisogna inoltre tenere in conto, da una parte che i borghesi, cioè i
proprietari, stanno essi stessi continuamente a farsi la guerra ed a
mangiarsi tra loro; e dall’altra parte che il governo, per quanto
uscito dalla borghesia e servo e protettore di essa, tende, come ogni
servo ed ogni protettore, ad emanciparsi ed a dominare il protetto.
Quindi quel giuoco d’altalena, quel barcamenarsi, quel concedere e
ritirare, quel cercare alleati tra il popolo, contro i conservatori,
e tra i conservatori contro il popolo, che è la scienza dei
governanti, e che fa illusione agli ingenui ed ai neghittosi, i quali
stanno sempre ad aspettare che la salvezza venga loro dall’alto.
Con tutto questo il governo non cambia natura. Se si fa regolatore e
garante dei diritti e dei doveri di ciascuno, esso perverte il
sentimento di giustizia: qualifica reato e punisce ogni atto che
offende o minaccia i privilegi dei governanti e dei proprietari, e
dichiara giusto, legale, il più atroce sfruttamento dei miserabili,
il lento e continuo assassinio morale e materiale, perpetrato da chi
possiede a danno di chi non possiede. Se si fa amministratore dei
servizi pubblici, esso mira ancora e sempre aglinteressi dei
governanti e dei proprietari, e non si occupa degli interessi della
massa lavoratrice se non in quanto è necessario perché la massa
consenta a pagare. Se si fa istitutore, esso inceppa la propagazione
del vero, e tende a preparare la mente ed il cuore dei giovani,
perché diventino o tiranni implacabili, o docili schiavi, secondo la
classe a cui appartengono. Tutto nelle mani del governo diventa mezzo
per sfruttare, tutto diventa istituzione di polizia, utile per tenere
il popolo a freno .
E doveva esser così. Se la vita degli uomini è lotta tra uomini vi
sono naturalmente vincitori e perdenti, ed il governo che è il premio
della lotta, ed un mezzo per assicurare ai vincitori i risultati
della vittoria e perpetuarli, non andrà certo mai in mano a coloro
che avranno perduto, sia che la lotta avvenga sul terreno della forza
fisica o intellettuale, sia che avvenga sul terreno economico. E
coloro i quali hanno lottato per vincere, cioè per assicurarsi
condizioni migliori degli altri, per conquistare privilegi e dominio,
non se ne serviranno certo per difendere i diritti dei vinti, ed
imporre dei limiti all’arbitrio proprio ed a quello dei loro amici e
partigiani.
Il governo, o, come dicono, lo Stato giustiziere, moderatore della
lotta sociale, amministratore imparziale degli interessi del
pubblico, è una menzogna è un’illusione, un utopia, mai realizzata e
mai realizzabile.
Se davvero gli interessi degli uomini dovessero essere contrari gli
uni agli altri, se davvero la lotta fra gli uomini fosse legge
necessaria delle società umane e la libertà di uno dovesse trovare un
limite nella libertà degli altri, allora ciascuno cercherebbe sempre
di far trionfare gli interessi propri su quelli degli altri, ciascuno
tenterebbe di allargare la propria libertà a scapito della libertà
altrui, e si avrebbe un governo, non già perché sia più o meno utile
alla totalità dei membri di una società averne uno, ma perché i
vincenti vorrebbero assicurarsi i frutti della vittoria, sottoponendo
solidamente i vinti, e liberarsi dal fastidio di star continuamente
sulla difesa, incaricando di difenderli degli uomini, specialmente
addestrati al mestiere di gendarmi. Allora l’umanità sarebbe
destinata a perire, o a dibattersi perennemente tra la tirannide dei
vincitori e la ribellione dei vinti.
Ma per fortuna pié sorridente è l’avvenire dell’umanità, perché più
mite è la legge che la governa.
Questa legge è la SOLIDARIETA.
Luomo ha, come proprietà fondamentali necessarie, l’istinto della
propria conservazione, senza del quale nessun essere vivo potrebbe
esistere, e l’istinto della conservazione della specie, senza cui
nessuna specie avrebbe potuto formarsi e durare. Egli è spinto
naturalmente a difendere l’esistenza ed il benessere di se stesso e
della propria progenitura, contro tutto e tutti.
Due modi trovano in natura gli esseri viventi per assicurarsi
lesistenza e renderla più piacevole: uno è la lotta individuale
contro gli elementi e contro gli altri individui della stessa specie
o di specie diversa; l’altro è il mutuo appoggio, la cooperazione,
che può anche chiamarsi l’associazione per la lotta contro tutti i
fatti naturali contrari allesistenza, allo sviluppo ed al benessere
degli associati.
Non occorre indagare in queste pagine, e noi potremmo per ragion di
spazio, quanta parte hanno rispettivamente nell’evoluzione del regno
organico questi due principi della lotta e della cooperazione.
Ci basterà constatare come nell’umanità la cooperazione (forzata o
volontaria) sia diventato il solo mezzo di progresso, di
perfezionamento, di sicurezza; e come la lotta – resto atavico – sia
diventata completamente inetta a favorire il benessere degli
individui, e produca invece il danno di tutti, e vincitori e perdenti.
L’esperienza, accumulata e tramandata dalle generazioni successive,
ha insegnato all’uomo che unendosi agli altri uomini, la sua
conservazione è più assicurata ed il suo benessere ingrandito. Così,
in conseguenza della stessa lotta per l’esistenza, combattuta contro
la natura e l’ambiente e contro individui della stessa sua specie,
si è sviluppato negli uomini l’istinto sociale, che ha completamente
trasformato le condizioni della sua esistenza. In forza di esso
l’uomo potette uscire dall’animalità, salire a potenza grandissima ed
elevarsi tanto al disopra degli altri animali, che i filosofi
spiritualisti han creduto necessario inventare per lui un’anima
immateriale ed immortale .
Molte cause concorrenti han contribuito alla formazione di questo
istinto sociale, che, partendo dalla base animale dell’istinto della
conservazione della specie (che è lo istinto sociale ristretto alla
famiglia naturale) è arrivato ad un grado eminente in intensità ed in
estensione, e costituisce ormai il fondo stesso della natura morale
dell’uomo.
L’uomo, comunque uscito dai tipi inferiori dell’animalità, essendo
debole e disarmato per la lotta individuale contro le bestie
carnivore, ma avendo un cervello capace di grande sviluppo, un organo
vocale atto ad esprimere con suoni diversi le varie vibrazioni
cerebrali, e delle mani specialmente adatte per dar forma voluta alla
materia, dovette sentire ben presto il bisogno ed i vantaggi
dellassociazione; anzi si può dire che solo allora potette uscire
dall’animalità quando divenne sociale, ed acquistò l’uso della
parola, che è nello stesso tempo conseguenza e fattore potente della
sociabilità.
Il numero relativamente scarso della specie umana, rendendo meno
aspra, meno continua,meno necessaria la lotta per l’esistenza tra
uomo ed uomo, anche al difuori dell’associazione, dovette favorire
molto lo sviluppo dei sentimenti di simpatia e lasciar tempo che
l’utilità del mutuo appoggio si potesse scoprire ed apprezzare.
Infine la capacità acquistata dall’uomo, grazie alle sue qualità
primitive applicate in cooperazione con un numero più o meno grande
di associati, di modificare l’ambiente esterno ed adattarlo ai propri
bisogni; il moltiplicarsi dei desideri che crescono coi mezzi di
soddisfarli e diventano bisogni; la divisione del lavoro che è
conseguenza della sfruttamento metodico della natura a vantaggio
dell’uomo, han fatto sì che la vita sociale è diventata l’ambiente
necessario dell’uomo, fuori del quale esso non può vivere, e, se
vive, decade allo stato bestiale.
E, per l’affinarsi della sensibilità col moltiplicarsi dei rapporti,
e per l’abitudine impressa nella specie dalla trasmissione ereditaria
per migliaia di secoli, questo bisogno di vita sociale, di scambio di
pensieri e di affetti tra uomo e uomo è diventato un modo di essere
necessario del nostro organismo, si è trasformato in simpatia,
amicizia, amore, e sussiste indipendentemente dai vantaggi materiali
che l’associazione produce, tanto che per soddisfarlo si affrontano
spesso sofferenze di ogni genere ed anche la morte.
Insomma i vantaggi grandissimi che l’associazione apporta all’uomo;
lo stato di inferiorità fisica, affatto proporzionato alla sua
superiorità intellettuale, in cui egli si trova di fronte alle bestie
se resta isolato; la possibilità per l’uomo di associarsi ad un
numero sempre crescente di individui ed in rapporti sempre più intimi
e complessi fino ad allargare l’associazione a tutta l’umanità ed a
tutta la vita, e forse più di tutto la possibilità per l’uomo di
produrre, lavorando in cooperazione cogli altri, più di quello che
gli occorre per vivere, ed i sentimenti affettivi che da tutto questo
derivano, han dato alla lotta per lesistenza umana un carattere
affatto diverso dalla lotta che si combatte in generale dagli altri
animali.
Quantunque oggi si sa e le ricerche dei moderni naturalisti ce ne
apportano ogni giorno nuove prove che la cooperazione ha avuto ed ha
nello sviluppo del mondo organico una parte importantissima che non
sospettavano coloro che volevano giustificare, ben a sproposito del
resto, il segno della borghesia colle teorie darviniane, pure il
distacco tra la lotta umana e la lotta animale resta enorme, e
proporzionale alla distanza che separa l’uomo dagli altri animali.
Gli altri animali combattono, o individualmente, o più spesso in
piccoli gruppi fissi o transitori , contro tutta la natura, compresi
gli altri individui della loro stessa specie. Gli stessi animali più
sociali, come le formiche, le api, ecc., sono solidali tra gli
individui dello stesso formicaio o dello stesso alveare, ma sono o in
lotta, o indifferenti verso le altre comunità della loro specie. La
lotta umana invece tende ad allargare sempre più l’associazione tra
gli uomini, a solidarizzare i loro interessi, a sviluppare il
sentimento di amore di ciascun uomo per tutti gli uomini, a vincere e
dominare la natura esterna coll’umanità e per l’umanità.Ogni lotta
diretta a conquistare dei vantaggi indipendentemente dagli altri
uomini o contro di essi, contraddice alla natura sociale dell’uomo
moderno e tende a respingerlo verso l’umanità.
La solidarietà, cioè l’armonia degli interessi e dei sentimenti, il
concorso di ciascuno al bene di tutti e di tutti al bene di ciascuno,
è lo stato in cui solo l’uomo può esplicare la sua natura e
raggiungere il massimo sviluppo ed il massimo benessere possibile.
Essa è la mèta verso cui cammina l’evoluzione umana; è il principio
superiore che risolve tutti gli antagonismi attuali, altrimenti
insolubili, e fa sì che la libertà di ciascuno non trovi il limite,
ma il complemento, anzi le condizioni necessarie di esistenza, nella
libertà degli altri.
” Nessun individuo “, diceva Michele Bakounine, ” può riconoscere la
sua propria umanità né per conseguenza realizzarla nella sua vita, se
non riconoscendola negli altri e cooperando alla sua realizzazione
per gli altri. Nessun uomo può emanciparsi altrimenti che emancipando
con lui tutti gli uomini che lo circondano. La mia libertà è la
libertà di tutti, poiché io non sono realmente libero, libero non
solo nell’idea ma nel fatto, se non quando la mia libertà e il mio
diritto trovano la loro conferma e la loro sanzione nella libertà e
nel diritto di tutti gli uomini miei uguali “.
” Mi mporta molto ciò che sono tutti gli altri uomini, perché, per
quanto indipendente io sembri o mi creda per la mia posizione
sociale, fossi pure Papa, Czar, Imperatore o anche primo ministro, io
sono incessantemente il prodotto di ciò che sono gli ultimi tra loro:
se essi sono ignoranti, miserabili, schiavi, la mia esistenza è
determinata dalla loro schiavitù. Io, uomo illuminato od
intelligente, per esempio, sono se è il caso stupido per la loro
stupidaggine; io coraggioso sono schiavo per la loro schiavitù; io
ricco tremo dinanzi alla loro miseria; io privilegiato impallidisco
innanzi alla loro giustizia. Io che voglio esser libero, non lo
posso, perché intorno a me tutti gli uomini non vogliono ancora esser
liberi, e non volendolo, divengono contro di me degli strumenti di
oppressione” .
La solidarietà dunque è la condizione nella quale l’uomo raggiunge il
massimo grado di sicurezza e di benessere; e perciò l’egoismo stesso,
cioè la considerazione esclusiva del proprio interesse spinge l’uomo
e le società umane verso la solidarietà; o per meglio dire, egoismo
ed altruismo (considerazione degli interessi altrui) si confondono in
un solo sentimento, come si confondono in uno l’interesse
dellindividuo e l’interesse della società.
Sennonché l’uomo non poteva d’un tratto solo passare dall’animalità
all’umanità, dalla lotta brutale tra uomo e uomo, alla lotta solidale
di tutti gli uomini affratellati contro la natura esteriore.
Guidato dai vantaggi che offre l’associazione e la conseguente
divisione del lavoro, l’uomo evolveva verso la solidarietà; ma la sua
evoluzione incontrò un ostacolo che l’ha deviata e la devia ancora
dalla mèta. Luomo scoprì che poteva, almeno fino ad un certo punto e
per i bisogni materiali e primitivi che allora solamente sentiva,
realizzare i vantaggi della cooperazione sottomettendo a sé gli altri
uomini invece di associarseli; e, siccome erano ancora potenti in lui
gli istinti feroci ed antisociali ereditati dalle bestie
progenitrici, egli costrinse i più deboli a lavorare per lui,
preferendo la dominazione alla associazione . Forse anche, nella più
parte dei casi, fu sfruttando i vinti che l’uomo imparò per la prima
volta a comprendere i benefizi dell’associazione, l’utile che l’uomo
poteva ricavare dall’appoggio dell’uomo.
Così la constatazione dell’utilità della cooperazione, che doveva
condurre al trionfo della solidarietà in tutti i rapporti umani, mise
capo invece alla proprietà individuale ed al governo, cioè allo
sfruttamento del lavoro di tutti da parte di pochi privilegiati.
Era sempre l’associazione, la cooperazione, fuori della quale non vè
più vita umana possibile; ma era un modo di cooperazione, imposto e
regolato da pochi nel loro interesse particolare.
Da questo fatto è derivata la grande contraddizione, che riempie la
storia degli uomini, tra la tendenza ad associarsi ed affratellarsi
per la conquista e l’adattamento del mondo esteriore ai bisogni
dell’uomo, e per la soddisfazione dei sentimenti affettivi e la
tendenza a dividersi in tante unità separate ed ostili quanti sono
gli aggruppamenti determinati da condizioni geografiche, quante sono
le posizioni economiche, quanti sono gli uomini che sono riusciti a
conquistare un vantaggio e vogliono assicurarselo ed aumentarlo.
quanti sono quelli che sperano conquistare un privilegio, quanti sono
quelli che soffrono di un’ingiustizia o di un privilegio e si
ribellano e vogliono redimersi .
Il principio del ciascun per sé, che è la guerra di tutti contro
tutti, è venuto nel corso
della storia a complicare, a deviare, a paralizzare la guerra di
tutti contro la natura per il maggior benessere dell’umanità, che
solo può avere esito completo fondandosi sul principio tutti per uno
e uno per tutti.
Immensi sono stati i mali che ha sofferto l’umanità per questo
intromettersi della dominazione e dello sfruttamento in mezzo
all’associazione umana. Ma malgrado l’oppressione atroce cui sono
state sottomesse le masse, malgrado la miseria, malgrado i vizi, i
delitti, la degradazione che la miseria e la schiavitù producono
negli schiavi e nei padroni, malgrado gli odii accumulati, malgrado
le guerre sterminatrici, malgrado l’antagonismo degli interessi
artificialmente creato, l’istinto sociale ha sopravvissuto e si è
sviluppato. La cooperazione restando sempre la condizione necessaria
perché l’uomo potesse lottare con successo contro la natura
esteriore, restò pure come causa permanente dell’avvicinamento degli
uomini e dello svilupparsi del sentimento di simpatia tra gli uomini.
L’oppressione stessa delle masse ha affratellati gli oppressi fra
loro; ed è stato solo in forza della solidarietà più o meno cosciente
e più o meno estesa, che esisteva fra gli oppressi, che questi han
potuto sopportare l’oppressione e che l’umanità a resistito alla
cause di morte che si sono insinuate in mezzo ad essa.
Oggi lo sviluppo immenso che ha preso la produzione, il crescere di
quei bisogni che non possono soddisfarsi se non col concorso di gran
numero di uomini di tutti i paesi, i mezzi di comunicazione,
labitudine dei viaggi, la scienza, la letteratura, i commerci, le
guerre stesse, hanno stretto e vanno sempre pié stringendo l’umanità
in un corpo solo, le cui parti, solidali tra loro, possono sola
trovare pienezza e libertà di sviluppo nella salute delle altre parti
e del tutto.
L’abitante di Napoli è tanto interessato alla bonifica dei fondaci
della sua città, quanto al miglioramento delle condizioni igieniche
delle popolazioni delle sponde del Gange, di dove gli viene il
colera. Il benessere, la libertà, l’avvenire di un montanaro perduto
fra le gole degli Appennini, non solo dipendono dallo stato di
benessere o di miseria in cui si trovano gli abitanti del suo
villaggio. non solo dipendono dalle condizioni generali del popolo
italiano, ma dipendono pure dallo stato dei lavoratori in America o
in Australia, dalla scoperta che fa uno scienziato svedese, dalle
condizioni morali e materiali dei Cinesi, dalla guerra o dalla pace
che si fa in Africa, da tutte insomma le circostanze grandi e piccine
che in punto qualunque del mondo agiscono sopra un essere umano.
Nelle condizioni attuali della società. questa vasta solidarietà che
unisce insieme tutti gli uomini è in gran parte incosciente, poiché
sorge spontanea dall’attrito deglinteressi particolari, mentre gli
uomini si preoccupano punto o poco degli interessi generali. E questa
è la prova più evidente che la solidarietà è legge naturale
dell’umanità. che si esplica e si impone malgrado tutti gli ostacoli.
malgrado tutti gli antagonismi creati dall’attuale costituzione
sociale.
Daltra parte le masse oppresse, che non si sono mai completamente
rassegnate all’oppressione ed alla miseria, e che oggi più che mai si
mostrano assetate di giustizia, di libertà, di benessere,
incominciano a capire che esse non potranno emanciparsi se non
mediante lunione, la solidarietà con tutti gli oppressi, con tutti
gli sfruttati del mondo tutto. Ed esse capiscono pure che condizione
imprescindibile della loro emancipazione è il possesso dei mezzi di
produzione, del suolo degli strumenti di lavoro, l’osservazione dei
fenomeni sociali, dimostra che questa abolizione sarebbe di utile
immenso agli stessi privilegiati, se solo volessero rinunziare al
loro spirito di dominazione concorrere con tutti al lavoro per il
benessere comune.
Ora dunque, se un giorno le masse oppresse si rifiuteranno di
lavorare per gli altri, se leveranno ai proprietari la terra e gli
strumenti di lavoro vorranno adoperarli per conto e profitto proprio
cioè di tutti, se esse non vorranno pié subire dominazione né di
forza brutale, né di privilegio economico, se la fratellanza fra i
popoli, il sentimento di solidarietà umana rafforzato dalla comunanza
dinteressi avrà messo fine alle guerre ed alle conquiste quale
ragione di esistere avrebbe più un governo?
Abolita la proprietà individuale, il governo che è il suo difensore,
deve sparire. Se sopravvivesse esso tenderebbe continuamente a
ricostituire, sotto una forma qualsiasi, una classe privilegiata ed
oppressiva.
E l’abolizione del governo, non significa, non può significare il
disfacimento della connessione sociale. Bene al contrario, la
cooperazione che oggi è forzata, che oggi è diretta al vantaggio di
pochi, sarebbe libera, volontaria e diretta al vantaggio di tutti; e
perciò diventerebbe tanto più intensa ed efficace.
L’istinto sociale, il sentimento di solidarietà sì svilupperebbe al
più alto grado: e ciascun uomo farebbe tutto quello che può per il
bene degli altri uomini, tanto per soddisfare ai suoi sentimenti
affettivi, quanto per beninteso interesse.
Dal libero concorso di tutti, mediante l’aggrupparsi spontaneo degli
uomini secondo i loro bisogni e le loro simpatie, dal basso all’alto,
dal semplice al composto, partendo dagli interessi più immediati per
arrivare a quelli più lontani e più generali, sorgerebbe
unorganizzazione sociale, che avrebbe per scopo il maggior benessere
e la maggiore libertà di tutti, abbraccerebbe tutta l’umanità in
fraterna comunanza e si modificherebbe e migliorerebbe a seconda del
modificarsi delle circostanze e degli insegnamenti dell’esperienza.
Questa società di liberi, questa società di amici è l’Anarchia.
Noi abbiamo finora considerato il governo quale è, quale deve
necessariamente essere, in una società fondata sul privilegio, sullo
sfruttamento e l’oppressione dell’uomo da parte dell’uomo,
sull’antagonismo degli interessi, sulla lotta intrasociale, in una
parola sulla proprietà individuale.
Abbiamo visto come lo stato di lotta. lungi dall’essere una
condizione necessaria della vita dell’umanità, è contrario agli
interessi degli individui e della specie umana; abbiamo visto come la
cooperazione. la solidarietà è legge del progresso umano, ed abbiamo
conchiuso che abolendo la proprietà individuale ed ogni predominio,
il governo perde ogni ragione di essere e si deve abolire.
” Però (ci si potrebbe dire) cambiato il principio su cui è fondata
oggi l’organizzazione sociale, sostituita la solidarietà alla lotta,
la proprietà comune alla proprietà individuale, il governo
cambierebbe natura ed invece di essere il protettore ed il
rappresentate degli interessi di una classe, sarebbe, poiché classi
non ve ne sono più, il rappresentante degli interessi di tutta la
società. Esso avrebbe missione di assicurare e regolare nellinteresse
di tutti, la cooperazione sociale, compiere i servizi pubblici di
importanza generale, difendere la società dai possibili tentativi
diretti a ristabilire il privilegio, e prevenire e reprimere gli
attentati, da chiunque commessi, contro la vita, il benessere e la
libertà di ciascuno.
Vi sono nella società delle funzioni troppo necessarie, che
richiedono troppa costanza, troppa regolarità, per poter essere
lasciati alla libera volontà deglindividui, senza pericolo di vedere
andare ogni cosa a soqquadro.
Chi organizzerebbe e chi assicurerebbe, se non vi fosse un governo, i
servizi di alimentazione,di distribuzione, di igiene. di posta,
telegrafo, ferrovie, ecc? Chi curerebbe l’istruzione popolare? Chi
intraprenderebbe quei grandi lavori di esplorazioni, di bonifiche, di
intraprese scientifiche, che trasformano la faccia della terra, e
centuplicano le forze delluomo?
Chi veglierebbe alla conservazione ed all’aumento del capitale
sociale per tramandarlo arricchito e migliorato all’umanità avvenire?
Chi impedirebbe la devastazione delle foreste, lo sfruttamento
irrazionale e quindi l’impoverimento del suolo?
Chi avrebbe mandato di prevenire e reprimere i delitti, cioè gli atti
antisociali?
E quelli che, mancando alla legge di solidarietà, non volessero
lavorare? E quelli che spargessero l’infezione in un paese,
rifiutandosi di sottomettersi alle regole igieniche riconosciute
utili dal.la scienza? E se vi fossero di quelli che, matti o no,
volessero bruciare il raccolto, o violare i bambini, o abusare sui
più deboli della loro forza fisica?
Distruggere la proprietà individuale e abolire i governi esistenti,
senza poi ricostruire un governo che organizzasse la vita collettiva
ed assicurasse la solidarietà sociale, non sarebbe abolire i
privilegi e portare sul mondo la pace ed il benessere; ma sarebbe
distruggere ogni vincolo sociale, respingere l’umanità verso la
barbarie, verso il regno del ciascuno per sè, che è il trionfo della
forza brutale prima, del privilegio economico dopo “.
Queste sono le obbiezioni che ci oppongono gli autoritari. anche
quando sono socialisti, cioè quando vogliono abolire la proprietà
individuale ed il governo di classe che ne deriva.
Rispondiamo.
Prima di tutto non è vero che cambiate le condizioni sociali, il
governo cambierebbe di natura e di funzione. Organo e funzione sono
termini inseparabili. Levate ad un organo la sua funzione, e, o
l’organo muore o la funzione si ricostituisce. Mettete un esercito in
un paese in cui non ci siano nè ragioni, nè paure di guerra interna
od esterna ed esso provocherà la guerra , o, se non ci riesce, si
disfarà. Una polizia dove non ci siano delitti da scoprire e
delinquenti da arrestare, provocherà, inventerà i delitti ed i
delinquenti, o cesserà di esistere.
In Francia esiste da secoli un’istituzione, oggi aggregata
all’amministrazione delle foreste, la lupatteria (louveterie) i cui
ufficiali hanno incarico di provvedere alla distruzione dei lupi ed
altre bestie nocive. Nessuno sarà meravigliato apprendendo che è
appunto a causa di questa istituzione che i lupi esistono ancora in
Francia, e nelle stagioni rigorose vi fanno strage. Il pubblico si
occupa poco di lupi, perché vi sono i lupattieri che vi debbono
pensare; ed i lupattieri fanno sì la caccia,ma la fanno
intelligentemente, risparmiando i nidi e dando tempo alla
riproduzione, per non rischiare di distruggere una specie così
interessante. I contadini francesi infatti hanno poca fiducia in
questi lupattieri, e li considerano piuttosto come i conservatori dei
lupi. E si capisce: che farebbero i ” luogotenenti di lupatteria ” se
non vi fossero più lupi?.
Un governo, cioè un numero di persone incaricato di far le leggi ed
abilitato a servizi della forza di tutti per obbligare ciascuno a
rispettarle, costituisce già una classe privilegiata e separata dal
popolo. Esso cercherà istintivamente, come ogni corpo costituito, di
allargare le sue attribuzioni di sottrarsi al controllo del popolo,
di imporre le sue tendenze e di far predominare i suoi interessi
particolari. Messo in una posizione privilegiata, il governo già si
trova in antagonismo colla massa, dalla cui forza dispone.
Del resto un governo anche volendo, non potrebbe contentar tutti, se
pur riuscisse a contentar qualcuno. Dovrebbe difendersi contro i
malcontenti, e quindi dovrebbe cointeressare una parte del popolo per
esserne appoggiato. E così ricomincerebbe la vecchia storia della
classe privilegiata che si costituisce colla complicità del governo,
e che, se questa volta non si impossesserebbe del suolo,
accapparrerebbe certo delle posizioni di favore, appositamente
create, e non sarebbe meno oppressiva né meno sfruttatrice della
classe capitalistica.
I governanti, abituati ai comando, non vorrebbero ritornare nella
folla, e se non potessero conservare il potere nelle loro mani, si
assicurerebbero almeno delle posizioni privilegiate per quando
dovranno passarlo in mano di altri. Userebbero di tutti i mezzi che
ha il potere, per far eleggere a loro successori gli amici loro, ed
esserne poscia a loro volta appoggiati e protetti. E così il governo
passerebbe e ripasserebbe nelle stesse mani, e la democrazia, che è
il preteso governo di tutti, finirebbe, come sempre, in oligarchia,
che è il governo di pochi, il governo di una classe. E che oligarchia
strapotente, oppressiva, assorbente sarebbe mai quella che avrebbe a
suo carico, cioè a sua disposizione, tutto il capitale sociale, tutti
i servizi pubblici, dall’alimentazioni alla fabbricazione dei
fiammiferi, dalle università ai teatri d’operette!
Ma, supponiamo pure che il governo non costituisce già da sé una
classe privilegiata, e potesse vivere senza creare intorno a se una
nuova classe di privilegiati e restando il rappresentante, il servo,
se si vuole, di tutta la società. A che servirebbe esso mai? In che
cosa ed in che modo aumenterebbe esso la forza, l’intelligenza, lo
spirito di solidarietà, la cura del benessere diluiti e dell’umanità
futura, che in un dato momento si trovano esistenti in una data
società?
E sempre la vecchia storia dell’uomo legato, che essendo riuscito a
vivere malgrado i ceppi, erede di vivere a causa dei ceppi. Noi siamo
abituati a vivere sotto di un governo, che accaparra tutte quelle
forze, quelle intelligenze, quelle volontà, che può dirigere ai suoi
fini; ostacola, paralizza, sopprime quelle che gli sono inutili od
ostili e ci immaginiamo che tutto ciò che si fa nella società si fa
per opera del governo, e che senza governo non ci sarebbe pié nella
società ne forza, nè intelligenza, nè buona volontà. Così (lo abbiamo
già detto) il proprietario che sè impossessato della terra la fa
coltivare per il suo profitto particolare. lasciando al lavoratore lo
stretto necessario perché esso possa e voglia continuare a lavorare
ed il lavoratore asservito pensa che non potrebbe vivere senza il
padrone, come se questi creasse la terra e le forze della natura.
Che cosa può aggiungere di suo il governo alle forze morali e
materiali che esistono in una società? Sarebbe esso per caso come il
Dio della Bibbia che crea dal nulla?
Siccome nulla si crea neI mondo che suole chiamarsi materiale, così
nulla si crea in questa forma più complicata del mondo materiale che
è il mondo sociale. E perciò i governanti non possono disporre che
delle forze che esistono nella Società meno quelle grandissime che
lazione governativa paralizza e distrugge, e meno le forze ribelli, e
meno tutto ciò che si consuma negli attriti, necessariamente
grandissimi in un meccanismo cosc artifizioso. Se qualche cosa ci
mettono del loro, è come uomini e non come governanti che possono
farlo. E di quelle forze, materiali e morali, che restano a
disposizione del governo, solo una parte piccolissima riceve una
destinazione realmente utile alla società. Il resto, o è consumato in
attività repressiva per tenere a freno le forze ribelli, o è
altrimenti stornato dallo scopo di utilità generale ed adoperato a
profitto di pochi ed a danno della maggioranza degli uomini.
Si è fatto un gran discorrere sulla parte che hanno rispettivamente,
nella vita e nel progresso delle società umane, l’iniziativa
individuale e l’azione sociale; e si è riuscito, coi soliti artifizii
del linguaggio metafisico, ad imbrogliare talmente le cose, che poi
sono apparsi audaci coloro i quali hanno affermato che tutto si regge
e cammina nel mondo umano per opera dell’iniziativa individuale. In
realtà è questa una verità di senso comune, che appare evidente non
appena si cerca di rendersi conto delle cose che le parole
significano. L’essere reale è l’uomo, è l’individuo: la società o
collettività e lo Stato o governo che pretende rappresentarla se
non sono vuote astrazioni, non possono essere che aggregati
d’individui. Ed è nell’organismo di ciascun individuo che hanno
necessariamente origine tutti i pensieri e tutti gli atti umani, i
quali, da individuali, diventano pensieri ed atti collettivi quando
sono o si fanno comuni a molti individui. L’azione sociale, dunque,
non e nè la negazione, nè il complemento dell’iniziativa individuale,
ma è la risultante delle iniziative, dei pensieri e delle azioni di
tutti gli individui che compongono la società: risultante che, posta
ogni altra cosa eguale, è più o meno grande secondo che le singole
forze concorrono allo stesso scopo, o sono divergenti od opposte. E
se invece, come fanno gli autoritarii, per azione sociale s’intende
l’azione governativa, allora essa è ancora la risultante di forze
individuali, ma solo di quegli individui che fanno parte del governo,
o che per la loro posizione possono influire sulla condotta del
governo.
Quindi, nella contesa secolare tra libertà ed autorità, o, in altri
termini, tra socialismo e stato di classe, non è questione veramente
di alterare i rapporti tra la società e l’individuo; non è questione
di aumentare l’indipendenza individuale a scapito dell’ingerenza
sociale, o questa a scapito di quella. Ma si tratta piuttosto di
impedire che alcuni individui possano opprimere altri; di dare a
tutti gli individui gli stessi diritti e gli stessi mezzi di azione;
e di sostituire liniziativa di pochi, che produce necessariamente
l’oppressione di tutti gli altri. Si tratta insomma, sempre e poi
sempre, di distruggere la dominazione e lo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo, in modo che tutti siano interessati al benessere comune, e
le forze individuali, invece di esser soppresse o di combattersi ed
elidersi a vicenda, trovino la possibilità di uno sviluppo completo,
e si associno insieme per il maggior vantaggio di tutti.
Da quanto abbiamo detto risulta che lesistenza di un governo, anche
se tosse, per seguire la nostra ipotesi, il governo ideale dei
socialisti autoritarii, lungi dal produrre un aumento delle forze
produttive, organizzatrici e protettrici della società, le
diminuirebbe immensamente, restringendo liniziativa a pochi, e dando
a questi pochi il diritto di tutto fare, senza potere, naturalmente,
dar loro il dono di tutto sapere.
Infatti, se levate nella legislazione e nell’opera tutta di un
governo tutto ciò che è inteso a difendere i privilegiati e che
rappresenta la volontà dei privilegiati stessi, che cosa vi resta che
non sia
il risultato dell’attività di tutti? b Lo stato “, diceva Sismondi, ”
è sempre un potere conservatore che autentica, regolarizza, organizza
le conquiste del progresso ” (e la storia aggiunge che le dirige a
profitto e della classe privilegiata) ” non mai le inaugura. Esse
hanno sempre origine dal basso, nascono dal fondo della società, dal
pensiero individuale, che poi si divulga, diventa opinione,
maggioranza, ma deve sempre incontrare sui suoi passi e combattere
nei poteri costituiti la tradizione, la consuetudine, il privilegio e
l’errore”.
Del resto per comprendere come una società possa vivere senza
governo, basta osservare un pò a fondo nella stessa società attuale,
e si vedrà come in realtà la più gran parte, la parte essenziale
della vita sociale, si compie anche oggi al di fuori dellintervento
governativo, e come il governo non interviene che per sfruttare le
masse, per difendere i privilegiati, e per il resto viene a
sanzionare, ben inutilmente, tutto quello che s’è fatto senza di lui,
e spesso, malgrado e contro di lui. Gli uomini lavorano, scambiano,
studiano, viaggiano, seguono come l’intendono le regole della morale
e dell’igiene, profittano dei progressi della scienza e dell’arte,
hanno rapporti infiniti tra di loro, senza che sentano bisogno di
qualcuno che imponga loro il modo di condursi. Anzi sono appunto
quelle cose in cui il governo non ha ingerenza, che camminano meglio,
che dan luogo a minori contestazioni e si accomodano, per la volontà
di tutti, in modo che tutti ci trovino utile e piacere.
Nè il governo è più necessario per le grandi imprese e per quei
servizi pubblici che richiedono il concorso regolare di molta gente
di paesi e condizioni differenti. Mille di queste imprese sono oggi
stesso, l’opera di associazioni di privati, liberamente costituite, e
sono, a confessione di tutti, quelle che meglio riescono. Nè parliamo
delle associazioni di capitalisti, organizzate a scopo di
sfruttamento, quantunque esse pure dimostrino la possibilità e la
potenza della libera associazione, e come essa può estendersi fino ad
abbracciare gente di tutti i paesi ed interessi immensi e
svariatissimi. Ma parliamo a preferenza di quelle associazioni che,
ispirate dall’amore per propri simili, o dalla passione della
scienza, o anche semplicemente dal desiderio di divertirsi e di farsi
applaudire, meglio rappresentano gli aggruppamenti quali saranno in
una società in cui, abolita la proprietà individuale e la lotta
intestina fra gli uomini, ciascuno troverà il suo interesse
nellinteresse di tutti, e la sua migliore soddisfazione nel far il
bene, e piacere agli altri. Le società e i congressi scientifici,
l’associazione internazionale di salvataggio, l’associazione della
Croce Rossa, le Società geografiche, le organizzazioni operaie, i
corpi di volontari che accorrono al soccorso in tutte le grandi
calamità pubbliche, sono esempi, tra mille, di questa potenza dello
spirito di associazione che si manifesta sempre quando si tratta di
un bisogno o di una passione veramente sentita, e non manchino i
mezzi che se l’associazione volontaria non copre il mondo e non
abbraccia tutti i rami dellattività materiale e morale, si è a causa
degli ostacoli messi dai governi, degli antagonismi creati dalla
proprietà privata, e dell’impotenza e dell’avvilimento, in cui
l’accaparramento della ricchezza da parte di pochi riduce la gran
maggioranza degli uomini.
Il governo sincarica, per esempio, del servizio delle poste, delle
ferrovie, ecc. Ma in che cosa aiuta realmente questi servizi? Quando
il popolo, messo in grado di poterne godere, sente il bisogno di
questi servizi, pensa ad organizzarli, e gli uomini tecnici non hanno
bisogno di un brevetto governativo per mettersi al lavoro. E più il
bisogno è generato ed urgente, pié abbonderanno i volontari per
compierlo. Se il popolo avesse facoltà di pensare alla produzione ed
alla alimentazione, oh! non temete chegli si lasci morire di fame
aspettando che un governo abbia fatte delle leggi in proposito. Se
governo vi dovesse essere, esso sarebbe ancora costretto di aspettare
che il popolo abbia prima tutto organizzato, per poi venire con delle
leggi a sanzionare ed a sfruttare quello che era già fatto. E
dimostrato che l’interesse privato è il gran movente di tutte le
attività: ebbene, quando l’interesse di tutti sarà l’interesse di
ciascuno (e lo sarà necessariamente se non esiste la proprietà
individuale) allora tutti agiranno, e se le cose si fanno adesso che
interessano a pochi, tanto più e tanto meglio si faranno quando
interesseranno a tutti. E si capisce a stento come vi sia della gente
che crede che l’esecuzione ed il regolare andamento dei servizi
pubblici indispensabili alla vita sociale, siano meglio assicurati se
fatti per gli ordini di un governo, anziché direttamente dai
lavoratori, che, o per propria elezione, o per accordi cogli altri,
han prescelto quel genere di lavoro e lo eseguiscono sotto il
controllo immediato di tutti gli interessati.
Certamente in ogni grande lavoro collettivo v’è bisogno di divisione
di lavoro, di direzione tecnica, di amministrazione, ecc. Ma
malamente gli autoritari giocano sulle parole per dedurre la ragion
di essere del governo dalla necessità, ben reale, di organizzare il
lavoro. Il governo, è bene ripeterlo, è l’insieme degli individui che
hanno avuto o si son preso il diritto ed i mezzi di far le leggi e di
forzare la gente ad ubbidire; l’amministratore, l’ingegnere, ecc.,
sono invece uomini che ricevono o si assumono lincarico di fare un
dato lavoro e lo fanno. Governo significa delegazione di potere, cioè
abdicazione della iniziativa e della sovranità di tutti nelle mani di
alcuni; amministrazione significa delegazione di lavoro, cioè
incarico dato e ricevuto, scambio libero di servigi fondato sopra
liberi patti. Il governante è un privilegiato, poichè ha il diritto
di comandare agli altri e di servirsi delle forze degli altri, per
far trionfare le sue idee ed i suoi desideri particolari;
l’amministratore, il direttore tecnico, ecc., sono lavoratori come
gli altri, quando, s’intende, lo siano in una società in cui tutti
hanno mezzi uguali di svilupparsi e tutti siano o possano essere ad
un tempo lavoratori intellettuali e manuali, e non vi restino altre
differenze fra gli uomini che quelle derivanti dalla diversità
naturale delle attitudini, e tutti i lavoratori, tutte le funzioni
diano un diritto eguale a godere dei vantaggi sociali. Non si
confonda la funzione governativa con la funzione amministrativa, che
sono essenzialmente diverse, e che, se oggi si trovano spesso
confuse, è solo a causa del privilegio economico e politico.
Ma affrettiamoci a passare alle funzioni, per le quali il governo è
considerato, da tutti coloro che non sono anarchici, come veramente
indispensabile: la difesa esterna ed interna di una società, vale a
dire la guerra, la polizia e la giustizia.
Aboliti i governi e messa la ricchezza sociale a disposizione di
tutti, presto spariranno tutti gli antagonismi tra i vari popoli e la
guerra non avrà più ragione di esistere. Diremo inoltre che nello
stato attuale del mondo, quando la rivoluzione si farà in un paese,
se non troverà eco sollecito, dappertutto troverà certo tanta
simpatia che nessun governo oserà mandare le truppe allestero col
rischio di vedersi scoppiare la rivoluzione in casa. Ma ammettiamo
pure che i governi dei paesi non ancora emancipati volessero e
potessero tentare di rimettere in servitù un popolo libero; avrà
questo bisogno di un governo per difendersi? Per far la guerra ci
vogliono uomini che abbiano le condizioni geografiche e tecniche
necessarie, e soprattutto masse che vogliono battersi. Un governo non
può aumentare la capacità degli uni, nè la volontà ed il coraggio
delle altre. E lesperienza storica e insegna come un popolo che
voglia davvero difendere il proprio paese sia invincibile: ed in
Italia si sa da tutti come, innanzi ai corpi di volontari (formazione
anarchica) crollino i troni e svaniscono gli eserciti regolari,
composti d’uomini forzati od assoldati
E la polizia? E la giustizia? Molti simmaginano che se non vi fossero
carabinieri, poliziotti e giudici ognuno sarebbe libero di uccidere,
di stuprare, di danneggiare gli altri a suo capriccio; e che gli
anarchici, in nome dei loro principi, vorrebbero rispettata quella
strana libertà, che viola e distrugge la libertà e la vita degli
altri. Quasi credono che noi, dopo avere abbattuto il governo e la
proprietà individuale, lasceremmo poi ricostruire tranquillamente
l’uno e l’altra, per rispetto alla libertà di coloro che sentissero
il bisogno di essere governanti e proprietari. Strano modo davvero
di intendere le nostre idee! è vero che così riesce più facile
sbarazzarsi con una scrollata di spalle, dell’incomodo di confutarle.
La libertà che noi vogliamo, per noi e per gli altri, non è la
liberta assoluta, astratta, metafisica, che in pratica si traduce
fatalmente in oppressione del debole; ma è la libertà i reale, la
liberta possibile, che è la comunanza cosciente degli interessi, la
solidarietà volontaria. Noi proclamiamo la massima FA QUEL CHE VUOI,
ed in essa quasi riassumiamo) il nostro programma, perché ci vuole
poco a capirlo,riteniamo che in una società armonica, in una società
senza il governo e senza proprietà. ognuno VORRA’ QUEL CHE DOVRA’ .
Ma se, o per le conseguenze, dell’educazione ricevuta dalla presente
società o per malore fisico, o per qualsiasi altra causa, uno volesse
fare del danno a noi ed agli altri, noi ci adopereremmo, se ne può
essere certi, ad impedirglielo con tutti i mezzi a nostra portata.
Certo, siccome noi sappiamo che l’uomo è la conseguenza del proprio
organismo e dell’ambiente cosmico e sociale in cui vive; siccome non
confondiamo il diritto sacro della difesa col preteso assurdo diritto
di punire; e siccome nel delinquente, cioè in colui che commette atti
antisociali, non vedremmo già lo schiavo ribelle, come avviene al
giudice di oggi, ma il fratello ammalato e necessitoso di cura, così
noi non metteremmo odio nella repressione, ci sforzeremmo di non
oltrepassare la necessità della difesa, e non penseremmo a vendicarci
ma a curare, a redimere l’infelice con tutti i mezzi che la scienza
ci insegnerebbe. In ogni modo, comunque l’intendessero gli anarchici
(ai quali potrebbe accadere come a tutti i teorici di perder di vista
la realtà, per correr dietro ad un sembiante di logica) è certo che
il popolo non intenderebbe lasciare attentare impunemente al suo
benessere ed alla sua libertà, e, se la necessità si presentasse,
provvederebbe a difendersi contro le tendenze antisociali di alcuni.
Ma per farlo, a che serve della gente che faccia il mestiere di far
le leggi; e dell’altra gente che viva cercando ed inventando
contravventori alle leggi? Quando il popolo riprova davvero una cosa
e la trova dannosa, riesce ad impedirla sempre, meglio che non tutti
i legislatori, i birri e di giudici di mestiere. Quando nelle
insurrezioni il popolo ha voluto, ben a torto del resto, far
rispettare la proprietà privata, l’ha fatta rispettare come non
avrebbe potuto un esercito di birri.
I costumi seguono sempre i bisogni ed i sentimenti della generalità;
e sono tanto più rispettati quanto meno sono soggetti alla sanzione
della legge, perché tutti ne veggono ed intendono la utilità, e
perché gli interessati, non illudendosi sulla protezione del governo,
pensano a farli rispettare da loro. Per una carovana che viaggia nei
deserti dell’Africa, la buona economia dell’acqua è questione di vita
o di morte per tutti: e l’acqua in quelle circostanze diventa cosa
sacra e nessuno si permette di sciuparla. I cospiratori hanno bisogno
del segreto, ed il segreto è serbato, o l’infamia colpisce chi lo
viola. I debiti di giuoco non sono garantiti dalla legge, e tra i
giocatori è considerato e considera se stesso disonorato, chi non li
paga.
E forse a causa dei gendarmi che non si uccide più di quello che si
fa? La maggior parte dei comuni dItalia non veggono i gendarmi che di
tratto in tratto; milioni di uomini vanno per i monti e le campagne,
lontani dallocchio tutelare dell’autorità, in modo che si potrebbe
colpirli senza il menomo pericolo di pena: eppure non sono meno
sicuri di coloro che vivono nei centri più sorvegliati. E la
statistica dimostra come il numero dei reati risente appena l’effetto
delle misure repressive, mentre varia rapidamente col variare delle
condizioni economiche e dello stato dell’opinione pubblica.
Le leggi punitive, del resto, non riguardano che i fatti
straordinari, eccezionali. La vita quotidiana si svolge al di fuori
della portata del codice ed è regolata, quasi inconsciamente, per
tacito e volontario assenso di tutti, da una quantità di usi e
costumi, ben più importanti alla vita sociale che gli articoli del
codice penale, o meglio rispettati, quantunque completamente privi di
ogni sanzione che non sia quella naturale della disistima in cui
incorrono i violatori, e del danno che dalla disistima deriva.
E quando avvenissero tra gli uomini delle contestazioni, l’arbitrato
volontariamente accettato, o la pressione dell’opinione pubblica non
sarebbero forse più atti a far aver ragione a chi l’ha, anzi che una
magistratura irresponsabile, che ha il diritto di giudicare su tutto
e su tutti, ed è necessariamente incompetente e quindi ingiusta?.
Come il governo in genere non serve che per la protezione delle
classi privilegiate, così la polizia e la magistratura non servono
che per la repressione di quei reati che non sono considerai tali dal
popolo, e solo offendono i privilegi de governo e dei proprietari.
Per la vera difesa sociale, per la difesa del benessere e della
libertà d tutti, non v’è nulla di più pernicioso che la formazione di
queste classi che vivono col pretesto d difendere tutti, si abituano
a considerare ogni uomo come una selvaggina da mettere in gabbia, vi
colpiscono senza saper perché, per l’ordine d’un capo, quali sicari
incoscienti e prezzolati.
Ebbene sia, dicono alcuni: l’anarchia può essere una forma perfetta
di convivenza sociale, ma noi non vogliamo fare un salto nel buio.
Diteci dunque dettagliatamente come sarà organizzata la vostra
società. E qui segue tutta una serie di domande, che sono molto
interessanti se si tratta di studiare i problemi che s’imporranno
alla società emancipata, ma che sono inutili, o assurde,o ridicole se
si pretende averne da noi una soluzione definitiva. Con quali metodi
si educheranno i bambini? Come si organizzerà la produzione? Ci
saranno ancora delle grandi città, o la popolazione si distribuirà
egualmente su tutta la superficie della terra? E se tutti gli
abitanti della Siberia vorranno passar l’inverno a Nizza? E se tutti
vorranno mangiare pernici e bere vino del Chianti? E chi farà il
minatore o il marinaio? E chi vuoterà i cessi? E i malati saranno
assistiti a domicilio o all’ospedale? E chi stabilirà l’orario delle
ferrovie? E come si farà se a un macchinista vengan le coliche mentre
il treno sta in marcia?… E così di seguito fino a pretendere che
noi possedessimo tutta la scienza e l’esperienza di là da venire, e
che, in nome dell’anarchia, prescrivessimo agli uomini futuri a che
ora debbono andare a letto, e quali giorni si debbono tagliare i
calli.
Veramente se i nostri lettori aspettano da noi una risposta a queste
domande, o almeno a quelle tra esse che sono veramente serie ed
importanti, che sia più che la nostra opinione personale di questo
momento, vuol dire che siamo mal riusciti nel nostro scopo di spiegar
loro che cosa è l’anarchia.
Noi non siamo più profeti degli altri: e se pretendessimo dare una
soluzione ufficiale a tutti i problemi che si presenteranno nella
vita della società futura, noi intenderemmo l’abolizione del governo
in un senso strano davvero. Noi ci dichiareremmo governo, e
prescriveremmo, a mò dei legislatori religiosi, un codice universale
pei presenti e pei futuri. Fortuna che, non avendo noi roghi e
prigioni per imporre la nostra Bibbia, l’umanità potrebbe ridere
impunemente di noi e delle nostre pretese! –
Noi ci preoccupiamo molto di tutti i problemi della vita sociale, e
per l’interesse della scienza e perché facciam conto di vedere
l’anarchia attuata e di concorrere come potremo all’autorizzazione
della nuova società. Abbiamo quindi le nostre soluzioni, che, secondo
i casi, ci appaiono definitive o transitorie e ne diremmo qui
qualche cosa, se non ce lo vietasse lo spazio. Ma il fatto che noi
oggi, coi dati che possediamo, pensiamo in un dato modo sopra una
data questione, non vuol dire è così che si farà in avvenire . Chi
può prevedere le attività che si svilupperanno nell’umanità quando
essa sarà emancipata dalla miseria e dall’oppressione, quando non vi
saranno più schiavi nè padroni, e la lotta contro gli altri uomini, e
gli odii ed i rancori che ne derivano, non saranno più una necessità
dell’esistenza? Chi può prevedere i progressi della scienza, i nuovi
mezzi di produzione, di comunicazione, ecc.?
L’essenziale è questo: che si costituisca una società in cui non sia
possibile lo sfruttamento e la dominazione delluomo sull’uomo; in cui
tutti abbiano la libera disposizione dei mezzi di esistenza, di
sviluppo e di lavoro, e tutti possano concorrere, come vogliono e
sanno allorganizzazione della vita sociale. In tale società tutto
sarà fatto necessariamente nel modo che meglio soddisfaccia ai
bisogni di tutti, date le cognizione e le possibilità del momento; e
tutto si trasformerà in meglio, a seconda che crescano le cognizioni
ed i mezzi.
In fondo, un programma che tocca le basi della costituzione sociale
non può far altro che indicare un metodo. Ed è il metodo quello che
soprattutto differenzia i partiti e determina la loro importanza
nella storia. A parte il metodo, tutti dicono di volere il bene degli
uomini e molti lo vogliono davvero; i partiti spariscono e con essi
sparisce ogni azione organizzata e diretta ad un fine determinato.
Bisogna dunque soprattutto considerare l’anarchia come un metodo.
I metodi dai quali i diversi partiti, non anarchici, si aspettano e
dicono di aspettarsi, il maggior bene di ciascuno e di tutti, si
possono ridurre a due, quello autoritario e quello così detto
liberale. Il primo, affida a pochi la direzione della vita sociale e
mette capo allo sfruttamento ed all’oppressione della massa da parte
di pochi. Il secondo s’affida alla libera iniziativa degli individui
e proclama, se non l’abolizione, la riduzione del governo al minimo
di attribuzioni possibile però siccome rispetta la proprietà
individuale ed è tutto fondato sul principio del ciascun per sè e
quindi della concorrenza fra gli uomini, la sua libertà non è che la
libertà dei forti, pei proprietari, di opprimere e sfruttare i
deboli, quelli che non hanno nulla; e, lungi dai produrre l’armonia,
tende ad aumentare sempre più la distanza tra i ricchi ed i poveri, e
mette capo esso pure allo sfruttamento ed alla dominazione cioè
all’autorità. Questo secondo metodo, cioè il liberalismo in teoria è
una specie di anarchia senza socialismo, e perciò non è che una
menzogna, poichè la libertà non è possibile senza l’eguaglianza, e
l’anarchia vera non può esistere fuori della solidarietà, fuori del
socialismo. La critica che i liberali fanno del governo, si riduce a
volergli levare un certo numero di attribuzioni e chiamare i
capitalisti a contendersele, ma non può attaccare le funzioni
repressive che formano la sua essenza; poichè senza il gendarme il
proprietario non potrebbe esistere, e anzi la forza repressiva del
governo deve sempre crescere, a misura che crescono per opera della
libera concorrenza la disarmonia e la disuguaglianza.
Gli anarchici presentano un metodo nuovo; l’iniziativa libera di
tutti ed il libero patto, dopo che, abolita rivoluzionariamente la
proprietà individuale, tutti sono stati messi in condizione eguale di
poter disporre delle ricchezze sociali. Questo metodo, non lasciando
adito alla ricostituzione della proprietà individuale, deve condurre,
per la via della libera associazione, al trionfo completo del
principio di solidarietà.
Così considerate le cose, si vede che tutti i problemi che si mettono
avanti per combattere le idee anarchiche, sono invece un argomento in
favore dell’anarchia, questa perchè sola indica la via per la quale
essi possono trovare sperimentalmente quella soluzione che
corrisponde meglio ai dettami della scienza ed ai bisogni ed ai
sentimenti di tutti.
Come si educheranno i bambini? Non lo sappiamo. E poi? I genitori, i
pedagogisti, e tutti coloro che sinteressano alle sorti delle nuove
generazioni, si riuniranno, discuteranno, s accorderanno o si
divideranno in diverse opinioni, e metteranno in pratica i metodi che
crederanno i migliori. E colla pratica quel metodo, che davvero è
migliore, finirà coi trionfare.
E così per tutti i problemi che si presenteranno.
Risulta da quello che abbiamo detto finora, che l’anarchia, quale
l’intende il partito anarchico,
e quale solo può essere intesa, è basata sul socialismo. Anzi se non
fossero quelle scuole socialiste, che scindono artificiosamente
l’unità naturale della questione sociale e ne considerano solo
qualche parte staccata, e se non fossero gli equivoci coi quali si
cerca di intralciare la via alla rivoluzione sociale, noi potremmo
dire addirittura che anarchia è sinonimo di socialismo, poichè l’una
e l’altro significano l’abolizione della dominazione e dello
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sia che vengano esercitati mediante
la forza della baionette sia mediante l’accaparramento dei mezzi di
vivere.
L’anarchia, al pari del socialismo, ha per base per punto di
partenza, per ambiente necessario l’eguaglianza di condizioni; ha per
faro la solidarietà; e per metodo la libertà. Essa non è la
perfezione, essa non è l’ideale assoluto che, come l’orizzonte, si
allontana sempre a seconda che ci avanziamo; ma è la via aperta a
tutti i progressi. a tutti i perfezionamenti, fatti nell’interesse di
tutti.
Assodato che l’anarchia è il modo di convivenza sociale che solo
lascia aperta la via al raggiungimento del maggior bene possibile
degli uomini, poiché essa sola distrugge ogni classe interessata a
tenere oppressa e misera la massa; assodato che l’anarchia è
possibile e poichè in realtà non fa che sbarazzare l’umanità di un
ostacolo, il governo, contro cui ha dovuto sempre lottare per
avanzare nel suo penoso cammino, gli autoritarii si ritirano nelle
loro ultime trincee; dove sono rinforzati da molti che pur essendo
caldi amatori di libertà e di giustizia, han paura della libertà, e
non sanno decidersi ad immaginare un’umanità che viva e cammini senza
tutori e senza pastori, e, incalzati dalla verità, domandano
pietosamente che si rimetta la cosa al più tardi, al più tardi
possibile.
Ecco la sostanza dagli argomenti che in questo punto della
discussione ci vengono opposti.
Questa società senza governo, che si regge per mezzo della
cooperazione libera e volontaria; questa società, che s’affida in
tutto all’azione spontanea dagli interessi ed è tutta fondata sulla
solidarietà e sullamore, è certamente, essi dicono, un ideale
bellissimo ma, come tutti gli ideali, sta nelle nuvole. Noi ci
troviamo in una umanità che ha sempre vissuto divisa in oppressi ed
oppressori; e se questi sono pieni dello spirito di dominazione ed
hanno tutti i vizii dei tiranni, quelli sono rotti al servilismo ed
hanno i vizii anche peggiori che produce la schiavitù. Il sentimento
della solidarietà è lungi dallessere dominante tra gli uomini
attuali, e se è vero che gli uomini sono e diventano sempre pié
solidali tra loro, è anche vero che quello che più si vede e più
lascia l’impronta sul carattere umano è la lotta per l’esistenza, che
ciascuno combatte quotidianamente contro tutti, è la concorrenza che
incalza tutti, operai e padroni, e fa che ogni uomo diventi il lupo
dell’altruomo. Come mai potranno questi uomini, educati, in una
società basata sull’antagonismo delle classi e degli individui,
trasformarsi d’un tratto e divenire capaci di vivere in una società
in cui ciascuno farà quel che vorrà, e dovrà, senza coercizione
esterna, per impulso della propria natura, volere il bene degli
altri? E con che coraggio, con che semino affidereste voi le sorti
della rivoluzione, le sorti della umanità, ad una turba ignorante,
anemizzata dalla miseria, abbrutita dal prete, che oggi sarà
stupidamente sanguinaria, e domani si farà goffamente raggirare da un
furbo, o piegherà servilmente il collo sotto il calcagno del primo
uomo d’armi che oserà farsi padrone? Non sarà più prudente avviarsi
all’ideale anarchico passando per una repubblica democratica o
socialista? Non sarà necessario un governo educatore, composto dei
migliori, per preparare le generazioni ai destini futuri?
Anche queste obiezioni non avrebbero ragion di essere se noi fossimo
riusciti a farci capire ed a convincere i lettori in quello che
abbiamo detto più avanti; ma in ogni modo, anche a costo di doverci
ripetere, sarà bene rispondervi.
Noi ci troviamo sempre di fronte al pregiudizio che il governo sia
una forza nuova, sorta non si sa di dove, che aggiunga per se stesso
qualche cosa alla somma delle forze e delle capacità di coloro che lo
compongono e di coloro che gli ubbidiscono. Invece tutto ciò che si
fa nell’umanità, si fa dagli uomini; ed il governo, come governo, non
ci mette di suo che la tendenza a far di tutto un monopolio a favore
di un dato partito o di una data classe, e la resistenza contro ogni
iniziativa che sorge fuori della sua consorteria.
Abolire l’autorità, abolire il governo non significa distruggere le
forze individuali e collettive che agiscono nell’umanità, ne le
influenze che gli uomini esercitano a vicenda gli uni su gli
altri:questo sarebbe ridurre l’umanità allo stato di ammasso di atomi
staccati ed inerti, cosa che è impossibile, e che, se mai fosse
possibile, sarebbe la distruzione di ogni società, la morte
dell’umanità.
Abolire l’autorità, significa abolire il monopolio della forza e
dell’influenza; significa abolire quello stato di cose per cui la
forza sociale, cioè la forza di tutti, è stata strumento del
pensiero, della volontà, degli interessi di un piccolo numero di
individui, i quali mediante la forza di tutti, sopprimono, a
vantaggio proprio e delle proprie idee, la libertà di ciascuno;
significa distruggere un modo di organizzazione sociale col quale
l’avvenire resta accaparrato, tra una rivoluzione e l’altra, a
profitto di coloro che sono stati i vincitori di un momento.
Michele Bakounine in uno scritto pubblicato nel 1872, dopo aver detto
che i grandi mezzi d’azione dell’Internazionale erano la propaganda
delle sue idee e l’organizzazione dell’azione naturale dei suoi
membri sulle masse, aggiunge:
” A chiunque pretendesse che un’azione così organizzata sarebbe un
attentato contro la libertà delle masse, un tentativo di creare un
nuovo potere autoritario, noi risponderemmo ch’egli non è che un
sofista ed uno sciocco. Tanto peggio per quelli che ignorano la legge
naturale e sociale della solidarietà umana, al punto da immaginare
che un’assoluta indipendenza mutua degli individui e delle masse sia
una cosa possibile, o almeno desiderabile. Desiderarla significa
volere la distruzione della società, poichè tutta la vita sociale non
è altra cosa che questa indipendenza mutua, incessante degli
individui e delle masse. Tutti gli individui, siano pure i più
intelligenti ed i più forti anzi soprattutto i più intelligenti ed i
più forti ne sono, in ogni istante della loro vita, nello stesso
tempo i produttori ed i prodotti. La stessa libertà di ogni individuo
non è che la risultante, riprodotta continuamente. di questa massa
d’influenze materiali, intellettuali e morali, esercitate sopra di
lui da tutti gli individui che lo circondano dalla società in mezzo a
cui egli nasce, si sviluppa e muore. Volere sfuggire a questa
influenza, in nome di una libertà trascendentale, divina,
assolutamente egoista e bastante a se stessa, è la tendenze al non
essere; volere rinunziare ad esercitarla sugli altri, significa
rinunciare ad ogni azione sociale, all’espressione perfino dei suoi
pensieri e dei suoi sentimenti, e si risolve pure nel nonessere
Questa indipendenza, tanto vantata dagli idealisti e dai metafisici,
e la libertà individuale, concepita in questo senso, sono dunque il
niente.
” Nella natura, come nella società umana, che non è altra cosa che
questa stessa natura, tutto ciò che vive, non vive che alla
condizione suprema di intervenire, nel modo più positivo e tanto
potentemente quanto lo comporta la sua natura, nella vita degli
altri. L’adozione di questa influenza mutua sarebbe la morte. E
quando noi rivendichiamo la libertà delle masse, non pretendiamo per
nulla abolire nessuna delle influenze naturali che individui o gruppi
di individui esercitano su di esse: ciò che noi vogliamo è
l’abolizione delle influenze artificiali, privilegiate, legali,
ufficiali “.
Certamente, nello stato attuale dell’umanità, quando la grande
maggioranza degli uomini, oppressa dalla miseria ed istupidita dalla
superstizione, giace nell’abbiezione, le sorti umane dipendono
dall’azione di un numero relativamente scarso d’individui ;
certamente non si potrà da un momento allaltro far sì che tutti gli
uomini si elevino al punto da sentire il dovere, anzi il piacere di
regolare tutte le proprie azioni in modo che ne derivi agli altri il
maggior bene possibile. Ma se oggi le forze pensanti e dirigenti
dell’umanità sono scarse, non è una ragione per paralizzarne ancora
una parte e per sottoporne molte ad alcune di esse. Non è una ragione
per costituire la società in modo che, grazie all’inerzia che
producono le posizioni assicurate, grazie alla eredità, al
protezionismo, allo spirito di corpo, ed a tutta quanta la meccanica
governativa, le forze più vive e le capacità più reali finiscono col
trovarsi fuori del governo e quasi prive d’influenza sulla vita
sociale; e quelle che giungono al governo, trovandosi spostate dal
loro ambiente, ed interessate anzitutto a restare al potere, perdano
ogni potenza di fare e solo servano di ostacolo agli altri.
Abolita questa potenza negativa che è il governo, la società sarà
quello che potrà essere, ma tutto quello che potrà essere, dato le
forze e le capacità del momento. Se vi saranno uomini istruiti e
desiderosi di spandere listruzione, essi organizzeranno le scuole e
si sforzeranno per far sentire a tutti lutile ed il piacere
distruirsi. E se questi uomini non vi fossero o fossero pochi, un
governo non potrebbe crearli; solo potrebbe, come infatti avviene
oggi, prendere quei pochi, sottrarli al lavoro fecondo, metterli a
redigere regolamenti che bisogna imporre coi poliziotti, e da
insegnanti intelligenti e passionati farne degli uomini politici,
cioè degli inutili parassiti, tutti preoccupati d’imporre le loro
fisime e di mantenersi al potere .
Se vi saranno medici ed igienisti ,essi organizzeranno il servizio di
sanità. E se non vi fossero,il governo non potrebbe crearli; solo
potrebbe ,per il sospetto,tropo giustificato, che il popolo ha contro
tutto ciò che viene imposto,levar credito ai medici esistenti,e farli
massacrare come avvelenatori quando vanno a curare i colerosi. Se vi
sono ingegneri, macchinisti, ecc. organizzeranno le ferrovie. E se
non vi fossero, ancora una volta il governo non potrebbe crearli.
La rivoluzione, abolendo il governo e la proprietà individuale, non
creerà forze che non esistono; ma lascerà libero campo
all’esplicazione di tutte le forze, di tutte le capacità esistenti,
distruggerà ogni classe interessata a mantenere le masse
nell’abbrutimento, e farà in modo che ognuno potrà agire ed influire
in proporzione della sua capacità, e conformemente alle sue passioni
ed ai suoi interessi.
E questa è la sola via per la quale le masse possano elevarsi, poichè
è solo colla libertà che uno seduca ad esser libero, come è solo
lavorando che uno può imparare a lavorare. un governo. quando non
avesse altri inconvenienti, avrebbe sempre quello di abituare i
governati alla soggezione, e di tendere a diventare sempre più
opprimente e farsi sempre più necessario.
D’altronde, se si vuole un governo che debba educare le masse ed
avviarle all’anarchia, bisogna pure indicare quale sarà l’origine, il
modo di formazione di questo governo.
Sarà la dittatura dei migliori? Ma chi sono i migliori? E chi
riconoscerà loro questa qualità? . La maggioranza sta d’ordinario
attaccata a vecchi pregiudizii, ed ha idee ed istinti già sorpassati
da una minoranza meglio favorita; ma fra le mille minoranze che tutte
credono di aver ragione, e tutte possono averla in qualche parte, da
chi e con qual criterio si sceglierà, per mettere la forza sociale a
disposizione di una di esse, quando solo l’avvenire può decidere fra
le parti in litigio? Se pigliate cento partigiani intelligenti della
dittatura, voi scoprirete che ciascuno di loro crede che egli
dovrebbe, se non essere proprio il dittatore, o uno dei dittatori,
almeno trovarsi molto vicino alla dittatura. Dunque dittatori
sarebbero coloro che, per una via o per un’altra, riuscissero ad
imporsi; e, coi tempi che corrono, si può esser sicuri che tutte le
loro forze sarebbero impiegate nella lotta per difendersi contro gli
attacchi degli avversarii, lasciando in dimenticanza ogni velleità
educatrice, se mai ne avessero avute.
Sarà invece un governo eletto a suffragio universale, e quindi
l’emanazione più o meno sincera del volere della maggioranza? Ma se
voi considerate questi bravi elettori come incapaci di provvedere da
loro stessi ai propri interessi, come mai essi sapranno scegliersi i
pastori che debbono guidarli e come potranno risolvere questo
problema di alchimia sociale, di far uscire l’elezione di un genio
dal voto di una massa di imbecilli? E che ne sarà delle minoranze che
pur sono la parte più intelligente, più attiva, pié avanzata di una
società?
Per risolvere il problema sociale a favore di tutti non vi è che un
mezzo: scacciare rivoluzionariamente i detentori della ricchezza
sociale, mettere tutto a disposizione di tutti, e lasciare che tutte
le forze, tutte le capacità, tutte le buone volontà esistenti fra gli
uomini agiscano per provvedere ai bisogni di tutti.
Noi combattiamo per l’anarchia e per il socialismo, perchè crediamo
che l’anarchia ed il socialismo si debbano attuare subito, vale a
dire che si deve nell’atto stesso della rivoluzione scacciare il
governo, abolire la proprietà ed affidare i servizi pubblici, che in
quel caso abbracceranno tutta la vita sociale, all’opera spontanea,
libera, non ufficiale, non autorizzata di tutti gli interessati e di
tutti i volenterosi.
Vi saranno certamente difficoltà ed inconvenienti; ma essi saranno
risoluti, e solo potranno risolversi anarchicamente, cioè mediante
l’opera diretta degli interessati ed i liberi patti.
Noi non sappiamo se alla prossima rivoluzione trionferanno l’anarchia
ed il socialismo; ma certamente se dei programmi cosiddetti di
transazione trionferanno, sarà perchè noi, per questa volta, saremo
stati vinti, e mai perchè avremo creduto utile lasciare in vita una
parte del mal sistema, sotto cui geme l’umanità.
In ogni modo avremo sugli avvenimenti quell’influenza che ci verrà
dal nostro numero, dalla nostra energia, dalla nostra intelligenza e
dalla nostra intransigenza. Anche se sarem vinti, la nostra opera non
sarà stata inutile, poichè più saremo stati decisi a raggiungere
l’attuazione di tutto il nostro programma, e meno proprietà e meno
governo vi sarà nella nuova società. E avremo fatto opera grande,
perchè il progresso umano si misura appunto dalla diminuzione del
governo e dalla diminuzione della proprietà privata.
E se oggi cadremo senza piegar bandiera, possiamo esser sicuri della
vittoria di domani.

 

 

Rudolf Rocker Bolscevismo ed Anarchismo

Conquista del potere o abolizione del potere. Dittatura del proletariato o dittatura sul proletariato.

Un invito alla lettura di questo saggio di Rocker sulla inconciliabilità dei fini anarchici con quelli leninisti.

 

 

Bolscevismo ed Anarchismo
di Rudolf Rocker

INTRODUZIONE

“La teoria è per sua natura intransigente e la sua purezza, la sua etica, la sua incontaminazione e la sua forza sono determinate e garantite da questa intransigenza. Per questo motivo ogni ibrido ideologico è immorale, quindi impensabile. Nella pratica è altrettanto pericoloso, ma qualche volta può essere necessario, costruttivo, specialmente quando persegue un obiettivo limitato, momentaneo e facile da definire”. Michele Bakunin (1870) All’indomani del suo ritorno dalla Svizzera, il 4 aprile 1917, Lenin espose il suo programma in occasione di una riunione comune del partito operaio socialdemocratico di Russia (menscevico e bolscevico) tenuta a Pietrogrado. La sostanza di questo programma era: nessun sostegno alla Repubblica del febbraio 1917 e sua sostituzione con una Repubblica operaia e contadina; abolizione dell’esercito ed armamento generale del popolo. Egli dichiarava quanto segue: “Ciò che vi è di originale nella situazione attuale in Russia, è il passaggio dalla prima tappa della rivoluzione, che ha dato il potere alla borghesia a causa del grado insufficiente di coscienza e di organizzazione del proletariato, alla sua seconda tappa, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini (…) Questa situazione originale esige che noi sappiamo adattarci alle condizioni speciali del lavoro del partito in seno alla innumerevole massa proletaria che sta per svegliarsi alla vita politica. Nessun sostegno al governo provvisorio; dimostrare il carattere completamente menzognero di tutte le sue promesse (…). Smascherarlo, invece di “esigere” (…) che questo governo, governo di capitalisti, cessi di essere imperia-lista (…). Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai

sono la sola forma possibile di governo rivoluzionario (…). Finché saremo in minoranza, ci dedicheremo a criticare ed a spiegare gli errori commessi, affermando la necessità del passaggio di tutto il potere ai Soviet dei deputati operai (…). Non una repubblica parlamentare — ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro — ma una repubblica dei Soviet di deputati operai, salariati agricoli e contadini di tutto il paese, dalla base alla sommItt7 Soppressione della polizia, dell`esercito e del corpo dei funzionari. Il trattamento dei funzionari, eletti e revocabili in ogni momento, non deve superare il salario medio di un buon operaio (…). Confisca di tutte le terre nel paese e loro messa a disposizione dei Soviet locali di deputati dei salariati agricoli e dei contadini. Formazione di Soviet dei deputati dei contadini poveri (…). Il nostro compito immediato non è quello di “introdurre” il socialismo, ma unicamente di passare subito al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti per mezzo dei Soviet dei deputati operai” Questo discorso, pubblicato e commentato da Lenin il 7 aprile nella “Pravda” e conosciuto in seguito sotto il nome di Tesi d’Aprile, fece una impressione sconcertante sul suo uditorio sui menscevichi non mèno che sui partigiani dello stesso Lenin. Un vecchio socialdemocratico, J. P.Goldenberg, già membro della frazione bolscevica, rifiutò l’argomentazione di Lenin giudicandola completamente irreale e contraria alle opinioni sostenute fino a quel giorno dai marxisti russi per quanto riguardava lo sviluppo del socialismo in Russia. Goldenberg dichiarava: “Lenin pone la sua candidatura per un trono in Europa, vuoto da trenta anni (sic): il trono di Bakunin. Nei termini nuovi di Lenin si percepisce un’altra epoca, le verità superate dell`anarchismo primitivo oggi abbandonato” . In seguito, questo tema doveva essere ripreso con numerose varianti nel corso della lotta dei socialdemocratici contro i bolscevichi, ed il sociologo tedesco Heinrich Cunow poteva scrivere: “La teoria del bolscevismo — o più esattamente quella del leninismo — non è altro che una ricaduta nel bakuninismo” . In effetti, se si considera la teoria e la pratica del leninismo come derivante dal bakuninismo, si può allora fare appello all’autorità di Marx per dimostrare che Lenin si riferiva a torto alla sua dottrina e che Marx aveva, avant lettre, condannato il leninismo e nello stesso tempo il bakuninismo. In questo senso, due scritti marxisti bene conosciuti sono stati pubblicati di nuovo: l’opuscolo dell’Alleanza del 1873 ed il libello di Engels Die Bakunisten an der Arbeit del 1874 . Il primo opuscolo, pubblicato all’epoca in tedesco sotto il titolo sensazionale di Ein Compiott gegen die Internationale ArbeiterAssoziation, fu ristampato nel 1920 sotto il titolo non meno sensazionale di Karl Marx o Bakunin? Democrazia o dittatura? Un pamphlet contro i precursori del bolscevismo . Nell’introduzione, l’editore e storico socialdemocratico Wilhelm Blos scrive che si scopre facilmente in questo documento sia tutto il bolscevismo contemporaneo sia lo stile di Marx (benché questo scritto anti-bakuninista sia stato redatto quasi interamente da Engels e da Lafargue). La ristampa dell’opuscolo di Engels — raccolta di articoli apparsi nel “Volksstaat” del 1873 — fu raccomandata da Karl Kautsky in ragione della sua notevole intuizione circa il futuro del bolscevismo. Oggi queste citazioni possono sembrare bizzarre. Nondimeno noi esamineremo in questa relazione i rapporti tra bolscevismo ed anarchismo e vedremo ciò che valgono queste citazioni tanto in teoria quanto in pratica.

Per bolscevismo noi intendiamo la teoria marxista nella sua interpretazione e nel suo sviluppo leninisti e l’azione che ne è risultata. Nel contesto di questa relazione ci atterremo alla storia della teoria e della pratica del bolscevismo leninista degli anni 1917-1924. Dopo la formazione, nel 1903, delle frazioni menscevica e bolscevica in seno al partito operaio socialdemocratico di Russia, sorsero, nel 1912, due partiti distinti, che peraltro restarono entrambi affiliai alla Seconda Internazionale. Malgrado l’opposizione manifestata all’inizio del 1917 dalla maggior parte dei seguaci di Lenin l’ex frazione bolscevica non tardò a diventare il vero partito di Lenin, e al VII Congresso del partito operaio socialdemocratico di Russia (bolscevico) tenuto nel marzo 1918, quest’ultimo prese il nome di partito comunista. La teoria di Lenin fu in parte determinata dagli avvenimenti storici dal febbraio all’ottobre e non si può separarla dalla sua tattica dell’epoca il cui scopo finale era la presa del potere. D’altra parte, conviene ricordare che quindici anni prima, nel suo opuscolo Che fare? Dedicato alle questioni scottanti del movimento socialdemocratico in Russia, Lenin aveva formulato già delle concezioni poco conformi, mi pare, a quelle di Marx sul carattere del partito rivoluzionario e sui rapporti con le masse. In questo scritto del 1902, Lenin sosteneva che lo sviluppo spontaneo del movimento operaio finiva col subordinarlo alla ideologia borghese, e che gli operai non potevano pervenire alla coscienza socialdemocratica che dopo molto tempo e solo se essa proveniva loro dal di fuori “La Storia di tutti i )Paesi attesta che, con la sua sola forza, la classe operaia non può che arrivare alla coscienza tradeunionista (..)”. Questo perché il compito della socialdemocrazia è di combattere la spontaneità e l’economismo. “La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall`esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni Fin dal 1902 Lenin insisteva sulla creazione di un partito d’avanguardia: “Noi dobbiamo assumerci il compito di organizzare una ampia lotta politica sotto la direzione del nostro partito (…). Noi dobbiamo trasformare i militanti socialdemocratici in capi politici che sappiano dirigere tutte le manifestazioni di questa lotta dai molteplici aspetti, che sappiano, al momento utile, dettare un programma di azione positiva agli studenti in effervescenza, agli zemsky scontenti, ai settori indignati, agli insegnanti danneggiati nei loro interessi, etc. Questa organizzazione di rivoluzionari dovrà comprendere prima di tutto e soprattutto degli uomini la cui professione è l’azione rivoluzionaria; essa non deve essere molto estesa, ma invece deve essere la più clandestina possibile. Fin da questo momento, veniva creato il partito clandestino dei rivoluzionari professionali con lo scopo di dirigere il proletariato e di conquistare il potere politico in suo nome”. Non è il caso di approfondire fino a quale punto questa teoria e questa azione del partito concordano con la concezione del processo dialettico che, nelle teorie di Marx, conduce alla dittatura del proletariato; del resto, in Marx, il ruolo del “partito” in questo sviluppo resta assai vago. Ci sembra che questa teoria di Lenin è più vicina alla concezione del blanquista russo Tkachev, le cui concezioni furono criticate all’epoca da Friedrich Engels (che lo riteneva peraltro completamente a torto un bakuninista). Gli stessi bolscevichi, del resto, non hanno mai contestato che si dovevano piuttosto paragonare ai blanquisti anziché ai bakuninisti, i quali ultimi, come ha affermato

Trotsky, non comprendevano l’importanza del potere politico rivoluzionario . Come lui, il comunista francese Marcel Cachin ha scritto che la teoria dell’insurrezione e della dittatura sono state improntate alle concezioni blanquiste e giacobine . In ogni modo, è evidente che ciò non ha nulla a vedere col bakuninismo e non si può veramente considerare `il leninismo come una sintesi del marxismo e del bakuninismo, come fanno talvolta alcuni rivoluzionari. La differenza tra i fini anarchici e quelli bolscevici non era solamente evidente fin dall’inizio, ma era anche chiaramente sottolineata da Lenin. Nel suo discorso del maggio 1917 sulla questione agraria, Lenin dichiarava: “Se sentiamo delle voci elevarsi contro i bolscevichi, se vediamo i grandi capitalisti attaccarli, affermando che noi siamo degli anarchici, noi respingiamo queste affermazioni con la più grande energia e consideriamo questi attacchi come scientemente menzogneri e calunniosi. Si definiscono anarchici coloro che negano la necessità del potere, dello Stato; ora, noi diciamo che questo potere e assolutamente indispensabile non solamente alla Russia, in questo momento, ma ancora ad ogni paese che passerà direttamente al socialismo. E’ assolutamente necessario il potere più solido” . Per farsi una idea delle vere concezioni di Lenin, è necessario studiare i suoi discorsi e i suoi scritti dei mesi che precedettero la rivoluzione di Ottobre, discorsi e scritti che, a loro volta, influirono sugli avvenimenti. Tutti questi documenti riguardano la tattica del partito rispetto ai Soviet, allo Stato borghese ed alla dittatura del proletariato. 5e Lenin ha scritto Lo stato e la Rivoluzione prima della rivoluzione di Ottobre e lo ha pubblicato nel novembre 1917, ciò fece non solamente per portare un contributo storico all’`interpretazione della dottrina marxista dello Stato, ma certamente anche per dare un fondamento teorico alla sua tattica. In Stato’ e Rivoluzione, Lenin pretende di avere ripreso la “vera” dottrina di Marx sullo Stato “falsificata e dimenticata” dagli opportunisti e dai riformatori: In primo luogo la teoria del “deperimento” dello Stato, in secondo luogo, il periodo di transizione tra la società Capitalista e la società socialista. Secondo Lenin, Marx pensava che non è lo Stato borghese che deve realizzare la socializzazione dei mezzi di produzione, ma lo Stato “proletario” che nasce dopo la distruzione dello Stato borghese e la istituzione della dittatura del proletariato. Questa interpretazione, Lenin l’attinse principalmente nella Guerra Civile in Francia, — l’indirizzo del “Consiglio Generale” della Prima Internazionale sulla Comune di Parigi — scritta da Marx nel maggio 1871. L’interpretazione che Lenin dà della Guerra Civile doveva quindi servire a provare che l’insegnamento “autentico” di Marx consiste in questo: 1) – Lo Stato borghese deve essere abolito: 2) – Bisogna creare un nuovo apparato di Stato centralizzato; questo Stato proletario deperisce e scompare . Tali sono le fasi principali del ruolo dello Stato nell’interpretazione leninista del marxismo, ed i tre elementi essenziali della dottrina statalista del marxismo leninista. Questa interpretazione della Guerra Civile non soltanto è strana, ma, stante alla teoria di Lenin, ogni suo riferimento alla detta opera è impossibile ed inadeguato, e ciò per ciascuno dei tre elementi della sua dottrina statalista Che la teoria dello Stato di Lenin sia o non sia un insegnamento marxista che egli stesso ha ricreato, non si vede come la Guerra Civile potrebbe essere utilizzata a questo fine; essa resta un corpo estraneo nella dottrina leninista dello Stato “proletario”, allo stesso modo come resta un corpo estraneo nel “socialismo scientifico” di Marx e di Engels. Questo fatto non potrebbe essere

infirmato da un gioco di prestidigitazione che non ha nulla di serio. Citiamo ancora la testimonianza di un marxista che non era un “socialsciovinista”; voglio parlare di Franz Mehring, il quale, a proposito della Guerra Civile, così scriveva: “Malgrado lo spirito che animava queste affermazioni nei particolari, esse erano in qualche modo in contraddizione con le concezioni che Marx ed Engels difendevano da un quarto di secolo e che essi stessi avevano già formulato nel Manifesto Comunista. Secondo queste concezioni, la dissoluzione dell’organizzazione politica, designata col nome di Stato, era certamente una delle conseguenze ultime della futura rivoluzione proletaria, ma questa dissoluzione doveva essere progressiva (…). Marx ed Engels sostenevano nello stesso tempo che per raggiungere il tale o il talaltro obiettivo più importante ancora della rivoluzione sociale a venire, la classe operaia doveva dapprima impadronirsi della potenza organizzata dello Stato (…). Questa idea espressa nel Manifesto Comunista non corrisponde agli elogi che l’indirizzo del Consiglio Generale faceva della Comune di Parigi che aveva cominciato col calpestare lo Stato parassita” . Questa critica del biografo di Marx dimostra una volta di più che non è possibile riallacciare queste affermazioni antistatalistiche di Marx e di Engels a proposito della Comune di Parigi con i loro altri scritti che parlano di un deperimento dello Stato. E’ una ironia della storia che nel momento stesso in cui la lotta delle due tendenze, quella autoritaria e quella antiautoritaria, giungeva al suo apogeo in seno alla Prima Internazionale, Marx, sotto l’effetto della formidabile impressione prodotta da] sollevamento rivoluzionario del proletariato parigino, abbia ripreso per conto suo le idee di questa rivoluzione, diametralmente opposte a quelle che egli aveva sempre difeso, in modo che si potrebbe quasi ritenerle come una difesa della tendenza “antiautoritaria” che, nell’Internazionale, egli combatteva ferocemente nella persona di Bakunin. E’ certo che il brillantissimo Indirizzo del Consiglio Generale a proposito della Comune non si inserisce nel contesto del “socialismo scientifico”, in quanto sistema. La Guerra Civile è sostanzialmente non marxista. La Comune di Parigi non aveva niente in comune col socialismo di Stato di Marx; essa era invece ben più conforme alle idee di Proudhon e alle teorie federalistiche di Bakunin. Il principio essenziale della Comune era —e Marx stesso lo ammette — che il centralismo politico dello Stato doveva essere rimpiazzato dall’autogoverno dei produttori, dalla federazione delle comuni autonome alle quali sarebbe affidata l’iniziativa fino ad allora devoluta allo Stato. La Guerra Civile è in contraddizione assoluta con gli altri scritti di Marx nei quali si parla del “deperimento dello Stato”. La Comune di Parigi non ha accentrato i mezzi di produzione nelle mani dello Stato. L’obiettivo della Comune di Parigi, “questa negazione ormai storica dello Stato” — come scrisse Bakunin — non fu quello di lasciare lo Stato “deperire”, ma di abolirlo immediatamente. L’abolizione dello Stato non era più il risultato finale e ineluttabile di un processo storico dialettico, di una fase superiore della società, essa stessa determinata da una forma di produzione superiore. La Comune dì Parigi soppresse lo Stato senza realizzare una sola delle condizioni definite anteriormente da Marx come preludio alla sua soppressione. La disfatta inflitta allo Stato borghese dalla Comune di Parigi non era diretta ad installare un altro Stato al suo posto. Il suo scopo non era quello di fondare una nuova macchina statale, ma di sostituire 16 Stato con una organizzazione della società su basi economiche e federalistiche.

L’abolizione dello Stato consisteva precisamente in questa sostituzione. Questo non era solamente uno scopo, ma anche un mezzo. E ciò perché non si trattò mai, per quanto concerne la Comune, della necessità di un “apparato oppressivo”specialmente concepito per la lotta contro la borghesia. L’annientamento del potere della borghesia tendeva a strappare ad essa tutte le leve essenziali del potere e, di conseguenza, ad annientare il suo apparato di Stato politico, militare, giuridico e burocratico. Peraltro, la difesa della nuova società esigeva che tutte le misure fossero prese per rendere impossibile la costituzione di un nuovo apparato di Stato burocratico, di un nuovo “apparato oppressivo”. Engels lo aveva compreso benissimo, quando nella sua Prefazione alla Guerra Civile scriveva che la Comune aveva fin dal primo momento preso coscienza del fatto che essa non poteva sostenersi col vecchio apparato di Stato e che essa doveva adottare immediatamente due misure se non voleva perdere il potere: abolire l’antico apparato oppressivo utilizzato fino ad allora contro la Comune; assicurarsi della lealtà dei suoi stessi deputati e funzionari dichiarandoli revocabili ad ogni istante . Lenin vuole la distruzione dello Stato borghese; per la Comune, si tratta dell’annientamento dello Stato borghese. La dottrina secondo la quale il socialismo deve essere realizzato per mezzo di una statalizzazione dei mezzi di produzione, essa stessa subordinata alla conquista del potere politico, è marxista — e non bakuninista –. Questa conquista del potere politico, deve farsi annientando o non il “vecchio” apparato dello Stato? Questa dominazione politica deve essere stabilita nel quadro del governo democratico dello Stato borghese o deve semplicemente risultare dalla funzione di uno Stato “proletario”? Deve essere conquistata per via parlamentare o per via insurrezionale con metodi “blanquisti”? Se queste domande sono importanti per rilevare la correlazione tra il marxismo ed il leninismo, per interpretare e “ricostituire” la dottrina di Marx, per definire la filiazione tra la socialdemocrazia e il bolscevismo, esse però sono senza interesse per stabilire il rapporto fra bakuninismo (l’anarchismo ed il sindacalismo) e il marxismo giacché la concezione che lega tra loro tutte quelle teorie, è la necessità di uno strumento statale, della conquista del potere politico come conditio sine qua non della realizzazione del socialismo. Ed è appunto questa concezione del ruolo dello Stato che costituisce la differenza fondamentale tra il marxismo ed il “bakuninismo” E’ su questo punto che si separano, molto prima dell’apparizione del bolscevismo, le due vie divergenti che portano alla realizzazione del socialismo. E’ questo il punto di partenza di tutte le discordanze tra le due tendenze nella teoria e nell’azione. E’ questa la linea di demarcazione tra il socialismo autoritario e il socialismo libertario, ed anche tra i movimenti che si ispirano all’uno e all’altro. Il leninismo concorda, è vero, col marxismo ortodosso–e ciò in assoluta contraddizione col revisionismo — nell’affermare che lo Stato “deperisce” quando ha socializzato la produzione, giacché, anche per Lenin, il socialismo è una società senza classi. E lo Stato essendo l’espressione di una società di classi, esso deve sparire con l’abolizione di quelle. “Il proletariato ha bisogno di uno Stato solo per un certo periodo di tempo. Noi non siamo affatto in disaccordo con gli anarchici riguardo all’abolizione dello Stato, come fine” . Ma perché sia possibile questa società senza Stato, bisogna innanzitutto creare un nuovo Stato affinché i mezzi della potenza statale possano essere utilizzati contro gli sfruttatori. Per raggiungere l’abolizione delle classi, la classe “oppressa” deve esercitare una “dittatura provvisoria”. (Il proletariato ha bisogno dello Stato — tutti gli opportunisti, i socialsciovinisti ed i Kautskisti

lo ripetono assicurando che tale è la dottrina di Marx, ma essi “dimenticano” d’aggiungere, in primo luogo, che, secondo Marx, al proletariato occorre solo uno Stato in via d’estinzione, cioè costituito in tal modo che cominci immediatamente ad estinguersi e non possa non estinguersi. In secondo luogo, che i lavoratori hanno bisogno di uno “Stato” che sia “il proletariato organizzato in classe dominante” ». L’obiettivo dei bolscevichi è sempre stato quello di conquistare il potere politico di Stato. E’ verosimile che Lenin abbia voluto sottolineare gli “obiettivi ultimi” degli anarchici per riguardo a quanti tra questi ultimi avevano svolto un ruolo importante ed attivo nella rivoluzione. E’ certo che l’affermazione che si trattava solo di un periodo transitorio ha indotto qualche anarchico (conquistato dalla dichiarazione secondo la quale questo stato del periodo transitorio era destinato a “deperire”) a cooperare con i bolscevichi. Molti di essi si adattarono anche alla famosa “dittatura del proletariato”, poiché si trattava apparentemente di un periodo di transizione che “nell’interesse della rivoluzione”, non poteva essere evitato. Non si voleva o non si poteva comprendere che l’idea, secondo la quale la dittatura era uno stadio transitorio inevitabile e necessario, era quella che dissimulava il più grande pericolo. Se la pratica revisionista, riformista della socialdemocrazia, l’ha indotta ad abbandonare, anche in teoria, l’abolizione dello Stato ed a considerare la società senza Stato –cioè, secondo Marx, la società socialista — come un’utopia astratta, la pratica bolscevica prova quanto ad essa che lo Stato bolscevico e proletario ha tanta poca tendenza a deperire quanto lo Stato democratico socialdemocratico. Cinquanta anni di “periodo transitorio” sono largamente sufficienti per dimostrare che la dittatura significa la morte della rivoluzione. Questi cinquanta anni hanno confermato le parole di Bakunin: quando, in nome della rivoluzione, si vuole creare uno Stato, fosse pure uno Stato provvisorio, si produce la reazione. La creazione di uno “Stato proletario” ha provato, inoltre, che è impossibile anche distruggere “l’antico apparato di Stato”, poiché si è allora costretti a recuperare od a restaurare gli elementi essenziali dell’antico Stato. Parallelamente alla falsa interpretazione leninista della Guerra Civile in Francia, l’atteggiamento verso i Soviet restava ambiguo in tutti gli scritti di Lenin del 1917. L’essenziale si trova in queste righe tratte dalle Lettere da lontano: “Gli operai hanno compreso, grazie al loro istinto di classe, che in periodo di rivoluzione occorre loro un `organizzazione del tutto differente, diversa da un `organizzazione ordinaria; essi si sono impegnati a giusta ragione nella via indicata dall’esperienza della nostra rivoluzione del 1905 e dalla Comune di Parigi del 1871. Essi hanno creato il Soviet dei deputati operai (…). Noi abbiamo bisogno di un potere rivoluzionario, noi abbiamo bisogno (per un certo periodo di transizione) di uno Stato. E’ ciò che ci distingue dagli anarchici. La differenza tra marxisti rivoluzionari ed anarchici (…) poggia precisamente sulla questione del potere, dello Stato: noi siamo per l’utilizzazione rivoluzionaria di forme rivoluzionarie dello Stato nella lotta per il socialismo, gli anarchici sono contro” . Volendo, si troverebbero parole simili in tutti gli scritti di Lenin in questo periodo . Fin dall’inizio la sua tattica era rivolta verso la conquista del potere. Quando il ministro menscevico Tseretelli, nel primo Congresso sovietico panrusso (cominciato a giugno), dichiarò che non c’era alcun partito politico in Russia che dicesse: Dateci il potere, sparite, noi prendiamo il vostro posto,

Lenin l’interruppe dicendo: “Si, uno”. Questo scopo determinava anche la sua tattica riguardo ai Soviet. Certamente, Lenin dichiarava che i bolscevichi non erano dei blanquisti, né dei partigiani della presa del potere da parte di una minoranza, e che il suo partito non avrebbe preso il potere fin tanto che i Soviet non l’avrebbero conquistato; ma questo voleva dire: finché i bolscevichi non avranno una influenza preponderante nei Soviet. Per Lenin e per il suo partito la parola d’ordine: “tutto il potere ai Soviet” non ha altro senso che: “tutto il potere al partito”. In luglio, i Soviet erano in maggioranza tra le mani dei socialisti rivoluzionari e dei menscevichi; e quando dalla rivolta di luglio venne fuori una situazione rivoluzionaria, che aggravava anche le contraddizioni scaturenti dalla “dualità del potere”, Lenin si pronunziò per l’abbandono dello slogan “tutto il potere ai Soviet” perché questo corrispondeva ad una situazione in cui il trasferimento del pacifico potere ai Soviet era divenuto possibile. E’ Leone Trotsky che ha meglio definita la dottrina bolscevica, dicendo: “Tuttavia, il partito non poteva con le proprie mani impadronirsi del potere, indipendentemente dal Soviet e dietro le sue spalle. Sarebbe stato un errore le cui conseguenze si sarebbero manifestate anche nella condotta degli operai ed avrebbero potuto divenire estremamente spiacevoli da parte della guarnigione. I soldati conoscevano il Soviet dei Deputati, conoscevano la loro sezione. Essi non conoscevano il partito se non attraverso il Soviet. E se l’insurrezione fosse avvenuta dietro le spalle del Soviet, senza legame con esso, senza essere coperta dalla sua autorità, senza affermarsi, chiaramente e nettamente, agli occhi di tutti, come lo sbocco della lotta per il potere dei Soviet, ciò avrebbe potuto causare un pericoloso disordine nella guarnigione” . E’ evidente che fin dall’inizio, Lenin ha ben giudicato la situazione in Russia e compreso che la rivoluzione non era finita in febbraio e che la rivoluzione sociale era inesorabilmente in marcia. Egli ne traeva le sue conclusioni, cioè che il suo partito doveva sfruttare lo sviluppo rivoluzionario per conquistare il potere politico. E’ a giusto titolo che Lenin rilevava: “Questo paese di operai e di contadini indigenti era mille volte più a sinistra dei Tchernov e dei Tseretellj e cento volte più a sinistra di noi altri bolscevichi” ; e che Trostky scriveva che se la tattica di Lenin non fosse stata adottata dal partito,la rivoluzione sarebbe passata al di sopra della sua testa. Queste dichiarazioni dei due principali capi bolscevichi danno la chiave che ci permette di comprendere il rapporto tra il Partito e la rivoluzione, con la quale il Partito tiene ad identificarsi, ma di cui in definitiva esso si impadronirà: il 24 ottobre fu un colpo di Stato in un processo rivoluzionario, cominciato in febbraio e proseguito dopo l’ottobre. Le persecuzioni dirette contro gli anarchici russi fin dal 1918, la liquidazione della makhnovjcina, l’annientamento della Comune libera di Kronstadt da parte del potere bolscevico, sono avvenimenti troppo conosciuti per parlarne in questa sede. Benché in generale gli anarchici, d’accordo con i bolscevichi, si schierassero contro il governo provvisorio e contro la guerra e benché facessero della propaganda in favore dei Soviet, la loro attività più importante venne spiegata nei Comitati di fabbrica. Questo fu appunto il caso, dopo il ritorno in massa a Pietrogrado degli anarchici emigrati, il cui primo grande gruppo arrivò dalla Francia, da Londra, dagli Stati Uniti, ai primi di giugno. Tra loro, molti anarchici sindacalisti avevano militato nell’Industrial Workers of the World (L W. W.), l’organizzazione sindacalista rivoluzionaria americana.

Sul piano agrario, la vera posizione dei contadini non era rispecchiata dal partito socialista rivoluzionario, ma dalle organizzazioni economiche dei contadini; ed i sentimenti del proletariato trovavano una migliore espressione nei comitati di fabbrica anziché nei Soviet dominati dai socialisti rivoluzionari e dai menscevichi. I comitati di fabbrica, creati a Pietrogrado ed a Mosca sin dai primi giorni della rivoluzione, non tardarono a fare la loro apparizione in provincia. Poiché i comitati venivano eletti da tutti gli operai di una fabbrica, i partiti politici non avevano per conseguenza nessuna influenza sui voti. Fin dall’inizio, questi Soviet di fabbrica si rivelarono più radicali dei Soviet dei Deputati operai e soldati. Il padronato ed il governo furono costretti a riconoscere i comitati di fabbrica come degli organismi che rappresentavano gli operai. A Pietrogrado, la giornata di otto ore fu oggetto di un accordo, mentre a Mosca gli operai l’avevano già introdotta d’autorità. Il 30 maggio, una prima conferenza dei comitati di fabbrica tenuta a Pietrogrado creò una associazione di tutti i comitati e un consiglio generale. Le risoluzioni appoggiate dai comitati, cioè il “controllo della produzione” e la “divisione dei beni”, esprimevano l’influenza sempre più grande degli operai sulle fabbriche. La parola d’ordine, un po’ vaga è vero, del controllo operaio tende a far passare interamente le officine e le fabbriche nelle mani delle organizzazioni operaie; ma, dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi e l’istituzione del loro controllo sui sindacati, i consigli operai furono liquidati e fece la sua apparizione un capitalismo di Stato. Dunque, non furono i consigli che presero il potere ma il partito. Lo Stato controllerà ormai la vita economica. Allo stesso modo della parola d’ordine tutto il potere ai Soviet, lo slogan popolare del controllo operaio prese un significato particolare nel vocabolario bolscevico. Come disse Lenin, per controllo operaio i bolscevichi intendevano il controllo di Stato: “Quando noi diciamo “controllo operaio poiché questa parola d’ordine è sempre accompagnata da quella della dittatura del proletariato, che la segue sempre, spieghiamo con ciò di quale Stato si tratta. Lo Stato è l’organo di dominazione di una classe. Di quale classe? (…). Se è la dominazione del proletariato, si tratta dello Stato proletario, cioè della dittatura de/proletariato, ed allora il controllo operaio può divenire la verifica nazionale, generale, universale, più minuziosa e più scrupolosa della produzione e della ripartizione dei prodotti. Questa verifica potrà essere fatta dalle istituzioni già create da capitalismo. Poiché, oltre alle istituzioni “oppressive” come l’esercito permanente, la polizia ed funzionari, vi nello Stato moderno un apparato strettamente legato alle banche ed ai sindacati, e che compie un enorme lavoro per il controllo e la verifica, questo apparato non dovrà essere distrutto, ma bisogna soltanto strapparlo ai capitalisti. “Le grandi banche costituiscono l’apparato dello Stato di cui noi abbiamo bisogno per realizzare il socialismo e che no:togliamo immediatamente al capitalismo; il nostro solo Compito e allora di togliere da questo eccellente apparato di Stato ciò che ne fa un mostro capitalista, di rinforzano ancora, di renderlo più democratico, più universale. La quantità si cambierà in qualità. Una banca di Stato, unica e vasta tra le più vaste, che avrebbe delle succursali in ogni cantone, vicino ad ogni fabbrica, ecco già i nove decimi dell’apparato socialista. Ecco la contabilità su scala nazionale, il controllo su scala nazionale della produzione e della ripartizione dei prodotti, qualcosa, potremmo dire, come l’ossatura della società socialista. Di questo apparato “di Stato” (…) possiamo impadronircene e “farlo funzionare” con un solo colpo, con un solo decreto (…). Non è nella confisca dei beni dei capitalisti che sarà in effetti il “nodo” della questione, ma sarà

precisamente nel controllo nazionale, esercitato dagli operai sui capitalisti e sui loro eventuali sostenitori” . In un opuscolo di quel periodo (settembre 1917) La catastrofe imminente e i mezzi per scongiurarla, Lenin sviluppava il programma economico che intendeva realizzare, proponendo delle misure da prendere immediatamente le quali tendevano a preparare un socialismo di Stato dittatoriale o semplicemente un capitalismo di Stato. Queste principali misure erano le seguenti: 1) – La nazionalizzazione delle banche, cioè la fusione di tutte le banche in una Banca di Stato,poiché e solamente lo Stato che potrà esercitare il controllo delle banche (centro nevralgico, organo essenziale della circolazione del capitale) e, per mezzo di essa, di tutta la vita economica, della produzione e della ripartizione dei prodotti più importanti. Così lo Stato potrà controllare le operazioni monetarie, regolare la vita economica e ricevere milioni e miliardi per le imprese dello Stato. 2) – La nazionalizzazione delle banche comporta necessariamente la nazionalizzazione dei sindacati. Regolare la vita economica vuoI dire nazionalizzare le banche ed indicati, Le banche ed i grandi settori del commercio e dell’industria sono intimamente legati. E’ dunque impossibile nazionalizzare le banche senza creare un monopolio di Stato per i sindacati industriali e commerciali (zucchero, carbone. metalli. nafta, etc.), senza nazionalizzare questi sindacati, I grandi sindacati sono stati già associati dallo sviluppo del capitalismo. 3) – Il cartello obbligatorio, cioè l’associazione obbligatoria in unioni, particolarmente industriali, è quasi introdotta in Germania. Si tratta di una accelerazione da parte dello Stato dello sviluppo capitalista, che porta a volte alla lotta delle classi. “L’unificazione obbligatoria” è la tappa preparatoria necessaria in vista del controllo della vita popolare e di tutto il suo risparmio. “La cartellizzazione obbligatoria, cioè l’associazione obbligatoria in unioni poste sotto il controllo dello Stato, ecco ciò che il capitalismo ha preparato (…). ecco ciò che potranno perfettamente realizzare in Russia i Soviet e la dittatura del proletariato. ecco ciò che ci darà un “apparato di Stato” nello stesso tempo universale, completamente moderno e senza burocrazia” . 4) – L’unificazione obbligatoria della popolazione in società di consumo sotto il controllo dello stato. Tutte queste misure che cosa hanno a vedere con il socialismo? Lenin risponde! Queste misure applicate in uno Stato borghese generano il capitalismo monopolistico di Stato. In Germania, esse hanno condotto al capitalismo monopolistico dello Stato militarista, prigione militare per gli operai, difesa armata per i profitti capitalistici. Ma applicate dallo Stato rivoluzionario, cioè da uno Stato che ha abolito tutti i privilegi, il risultato di queste misure è del tutto diverso: “Voi vedrete che in uno Stato veramente democratico e rivoluzionario il capitalismo monopolistico di Stato significa inevitabilmente, infallibilmente un passo o dei passi in avanti verso il socialismo! E ciò perché se una grande impresa capitalistica diviene monopolio, è perché essa serve per il popolo intero. Se essa è divenuta monopolio di Stato, e perché lo Stato dirige ogni impresa. Nell’`interesse dì chi? O nell’`interesse dei grandi proprietari fondiari e capitalisti (…) oppure nell’interesse della democrazia rivoluzionaria; allora è né più né meno che un

passo verso il socialismo” . Perché il socialismo non è altro che la prossima tappa che succederà al capitalismo monopolistico di Stato. Oppure: perché il socialismo non è nient`altro che un monopolio capitalistico di Stato, introdotto per il bene di tutto il popolo. Ma non è “la classe operaia, cioè la maggioranza della popolazione” che monopolizza i mezzi di produzione; secondo la teoria leninista, è “l’avanguardia” della classe operaia, e, altrimenti detto sotto il velame di questa terminologia, il partito bolscevico che esercita la dittatura. I mezzi di produzione appartengono dunque a questo partito che solo domina lo Stato e che, attraverso la mediazione della burocrazia, si serve di questa dominazione nell’interesse esclusivo del partito. Ecco perché fin dal 1925, il comunista Max Eastman poteva scrivere che il controllo integrale delle ricchezze e della produzione industriale d’un sesto della terra era tra le mani di circa 18.000 funzionari del partito comunista russo . I fatti provano che si è formata una nuova classe dominante che fa proprio ciò che costituisce l’essenza della dominazione di classe, cioè lo sfruttamento della classe dominante, sfruttamento che trova la sua espressione nella oppressione politica sulla quale è poggiato il nuovo Stato, lo Stato) dei funzionari, lo Stato dei burocrati. E così come tutti i mezzi furono buoni per il partito bolscevico per conquistare il potere, tutti i mezzi saranno parimenti buoni per conservarlo. La dittatura statale del partito bolscevico ha provato l’esattezza delle parole di Bakunin secondo le quali lo Stato da sempre parte della eredità della classe privilegiata, in fin dei conti, della burocrazia; ed un potere dittatoriale che succede alla rivoluzione, genererà fatalmente un nuovo Stato ed una nuova classe, che ricomincerà a sfruttare il popolo. Gli scritti di Bakunin debbono leggersi oggi come un commento critico-storico della Rivoluzione russa e delle sue conseguenze. E’ sufficiente citare uno di questi brani profetici, peraltro pubblicato nel famoso opuscolo della Alleanza, destinata a provare il rifiuto del marxismo bolscevico da parte dell’anarchismo: “Non bisogna stupirsi se i Giacobini ed i Blanquisti che sono divenuti socialisti più per necessità che per convinzione, e per i quali il socialismo è un mezzo, non lo scopo della Rivoluzione, poiché essi vogliono la dittatura, cioè la centralizzazione dello Stato e che lo Stato li porterà per una necessità logica ed inevitabile alla ricostituzione della proprietà —- è molto naturale, dician2o, che non volendo fare una rivoluzione radicale contro le cose, essi sognano una rivoluzione sanguinaria contro gli uomini. — Ma questa rivoluzione sanguinaria fondata sulla ricostruzione di uno Stato rivoluzionario potentemente centralizzato avrà per risultato inevitabile la dittatura militare per (uso di un nuovo padrone. il trionfo dei Giacobini o dei Blanquisti sarebbe la morte della rivoluzione. Noi siamo i nemici naturali di questi rivoluzionari — futuri dittatori, regolamentatori e tutori della rivoluzione i quali, prima ancora che gli Stati monarchici, aristocratici e borghesi attuali siano distrutti, sognano già la creazione di Stati rivoluzionari nuovi, altrettanto centralizzatori e più dispotici degli Stati che esistono oggi (…). — Ancor prima che un buono e salutare disordine si sia prodotto a causa della rivoluzione, si sogna già la fine e la mordacchia a mezzo dell’azione di una autorità qualunque che avrà solo il nome di rivoluzione, ma che, in effetti, non sarà nient’altro che una nuova reazione poiché essa sarà una nuova condanna delle masse popolari, governate da decreti, all’obbedienza, alla immobilità, alla morte, cioè alla schiavitù ed allo sfruttamento da una nuova aristocrazia quasi rivoluzionaria”

1. `Atliancc de la déruoeratie socialiste cI l’Associa tion in/cina1w no/e dc.s Travoi//curs. 1873, pp. 128-129. L’alliance de la démocratie socialiste eI l’Association internationale desTravailleurs. 1873, pp. 128-129. La smentita della paternità bakuniniana del bolscevismo non poteva essere né più categorica né più precisa. ARTHUR LEHNING NOTE . Capitolo 1: IL PROBLEMA RUSSO

La Russia è da tempo in uno stato di crisi, le cui conseguenze avranno nel futuro un significato molto più importante di quanto lo ebbero gli avvenimenti che sconvolsero il paese durante la rivoluzione. I compromessi economici del governo Russo con il capitalismo straniero, la rivolta di Kronstadt, la guerra aperta agli anarchici ed ai sindacalisti dichiarata da Lenin durante il X Congresso del Partito Comunista Russo, la persecuzione dei socialisti di tutte le tendenze che non fossero bolsceviche, la crisi interna dello stesso partito comunista che già aveva dato luogo a certe differenze tra il governo sovietico e la Terza Internazionale, sono sintomi estremamente significativi, e quindi non va ignorata la loro incidenza nel movimento operaio dei diversi paesi. Ci occuperemo quindi di questo problema, consci delle difficoltà che incontreremo non trattandosi di dare soltanto interpretazioni critiche a divergenze ideologiche, ma di problemi storici universali la cui soluzione in un modo od in un altro avrà una incidenza enorme nella futura evoluzione di quella che è chiamata “la società civilizzata”. Proprio per questo motivo cercherò, come storico e socialista rivoluzionario, di analizzare le cause più profonde degli avvenimenti nella maniera più obiettiva possibile. La diatriba attuale, pro o contro Mosca, che si ha allo interno del movimento operaio internazionale non tende a far luce sulla situazione, bensì ad accrescere la confusione. Odio cieco, insulti personali si hanno al posto di ai~gQmentazioni concrete. Né si cerca di interpretare l’importanza singolare che questa lotta ha per l’avvenire del movimento operaio. In una certa misura ne sono colpevoli gli stessi dirigenti bolscevichi e le organizzazioni comuniste nei paesi che sono sotto questa influenza. Mi sembra ci sia la tendenza a lasciarsi trasportare troppo dalle passioni politiche, usando machiavellicamente tutti i metodi pur di raggiungere un determinato scopo. E’ sufficiente dare un’occhiata alla stampa comunista, soprattutto qui in Germania, per accertarsi che la nostra opinione è del tutto esatta. Tutto quello che non si accorda perfettamente con le idee ed i metodi dei dirigenti russi o tedeschi è definito “controrivoluzionario” e coloro che muovono delle critiche sono definiti “traditori del movimento operaio”. La

tattica dei bolscevichi ha per obiettivo l’avvelenamento morale dell’opinione pubblica. E’ caratteristico che questi stessi signori che chiamano “piccolo borghese” ogni tendenza che non si accordi con la loro,si valgono essi in ogni momento delle stesse armi borghesi, perseguitando sistematicamente i loro oppositori politici, seppur rivoluzionari e comunisti. Quando Robespierre si risolse a mandare alla ghigliottina gli Hebertisti, questi furono prima accusati dalla stampa giacobina di essere agenti pagati dal primo ministro inglese Pitt. E questo stesso gioco si è andato ripetendo nel trascorso della storia moderna. Lo abbiamo sperimentato durante l’ultima guerra: quando uno protestava in Inghilterra o in Francia contro i massacri poteva essere certo che la stampa patriottica lo denunciava come spia del Kaiser ed in Germania, conseguentemente, come agente inglese. Questo metodo indegno che fino ad ora è stato il privilegio triste del basso giornalismo della stampa borghese è divenuto oggi l’arma della stampa comunista. Gli anarchici ed i sindacalisti sono controrivoluzionari. Coloro che non ci credono sono logicamente essi stessi dei controrivoluzionari. E’ chiaro che questi argomenti non serviranno a delucidare il problema così come pure gli argomenti addotti dalla lega antibolscevica, che vuole convincerci che ogni bolscevico è un assassino ed un criminale con istinti sadici. Cercherò dunque di sviscerare i motivi profondi del fallimento della rivoluzione russa, senza lasciarmi andare ai miei istinti passionali, né dominare dallo spirito di parte. La rivoluzione del 1917 fu il segnale di riscossa di quella gran parte dell’umanità che usciva dal caos della guerra mondiale. Gli uomini cominciavano a respirare. I lavoratori sentivano che il momento della rivoluzione era vicino. Come la lotta dei coloni americani per l’indipendenza dall’Inghilterra aveva avuto un’enorme influenza sulla evoluzione della rivoluzione francese, la rivoluzione russa influiva sui moti rivoluzionari in Germania ed in Austria e favoriva la caduta degli Asburgo e degli Hohenzollern. La rivoluzione russa fu dunque salutata con enorme entusiasmo, non solo dai proletari ma anche da tutti coloro che vedevano in essa l’inizio di una nuova era in tutta l’Europa, e quando i bolscevichi furono al potere dopo la liquidazione del governo di Kerensky, nacque nella classe lavoratrice di tutto il mondo il desiderio di liberarsi dal giogo del salario. Nei paesi latini, dove la tradizione del vecchio movimento bakuninista era ancora latente nelle masse, moltissimi lavoratori salutarono il bolscevismo scambiandolo come una nuova fase del vecchio bakuninismo. Questa visione del bolscevismo fu condivisa anche da alcuni nostri compagni anarchici della Russia e di altri paesi. Uomini come Kropotkine, Domela Nieuwenhuis, Bertone, Sebastien Faure, Malatesta, che all’inizio erano contrari al bolscevismo, non esitarono a schierarsi con la Russia e a difenderla dagli attacchi controrivoluzionari, non perché essi fossero d’accordo con i metodi e le idee bolsceviche, ma perché erano anarchici e rivoluzionari. E fu proprio la stampa anarchica e sindacalista che non dichiarò criticamente divergenze fondamentali con i bolscevichi, temendo forse di servIre la causa controrivoluzionaria. Certe linee di tendenza governo bolscevico, che a nostro giudizio avrebbero potuto essere un pericolo per la rivoluzione non furono criticate dalla nostra stampa per la semplice ragione che non ci sembrava il momento adatto per considerazioni critiche.

Noi comprendevamo quale peso e quali enormi difficoltà la Russia si trovava ad affrontare, ed eravamo convinti che la Russia doveva vincere in ogni maniera, che era più facile criticare che agire e che perciò era meglio rimandare le polemiche di fondo ad altre occasioni. Fu il nostro senso di responsabilità ad impedirci di fare critiche alla Russia che stava portando avanti la sua lotta rivoluzionaria. Ma ora i bolscevichi giungono a sospettare ed a tacciare col titolo di controrivoluzionari tutti coloro che non condividono le loro idee ed i loro metodi. Oggi non possiamo più tacere. I 21 punti di Lenin ed il tentativo della Terza Internazionale di imporre le sue idee e metodi a tutto il movimento operaio internazionale, la guerra aperta dichiarata da Lenin agli anarchici nel X Congresso del partito comunista e la persecuzione dei nostri compagni in Russia sono fatti troppo importanti. Oggi dobbiamo prendere una posizione:dobbiamo opporci al socialismo di stato Capitolo 2: IN CAMMINO VERSO DESTRA

Coloro che speravano che il governo russo, che a causa della guerra era costretto ad adottare certe risoluzioni pur non reputandole giuste in molti casi, avrebbe agito diversamente una volta terminata la guerra, sono stati disillusi. In Russia impera oggi una spaventosa reazione che sopprime ogni segno di libertà e di indipendenza. Che differenza tra ieri ed oggi! La maggior parte di ce-loro che prima ritornavano dalla Russia e con i quali avevamo l’occasione di parlare, non trovavano parole per riferire tutto ciò che avevano visto. Tutto pareva loro perfetto, eccellente e se qualcosa non appariva loro come l’avrebbero desiderato, lo attribuivano alle circostanze che si stavano attraversando. Colui che avanzava dei dubbi era considerato un traditore della rivoluzione. In verità, il 90%, di coloro che andavano a Mosca non potevano rendersi conto della vera situazione della Russia. Stavano alloggiati all’albergo Lux o in altri alberghi altrettanto comodi, serviti da un esercito di fedelissimi al governo principalmente agenti della Ceka, pronti ad illustrare agli ospiti che in genere non conoscevano la lingua. le delizie del paradiso comunista. Scortati da loro,gli ospiti visitavano teatri, fabbriche, scuole, ecc.; facevano gite in comodi autobus o in treni veloci. I delegati perciò vedevano il lato migliore dello Stato comunista e non si rendevano conto di trovarsi sopra un abisso. Non riuscivano a sapere altro della realtà russa, non sapevano di essere ingannati. Ma ora le cose vanno mutando. Comincia a svanire l’ubriacatura. Ho incontrato persone che al momento di andare in Russia erano fanatici sostenitori dei

bolscevichi e che al ritorno erano disillusi, senza speranza alcuna, senza fede. Non sono state le circostanze economiche disastrose quelle che hanno fatto cambiare l’opinione a questa gente, mal’atmosfera soffocante del dispotismo insopportabile che copre come una nube la Russia intera.

È stata la repressione brutale di ogni forma di libero pensiero, la non accettazione di determinate garanzie per la difesa della libertà personale, l’aver spogliato la classe lavoratrice di ogni diritto che le permetta di dire la propria opinione, come la libertà di riunione, di sciopero, ecc, lo sviluppo di un sistema di spionaggio e di polizia peggiore di quello zarista, la corruzione dei “signori” commissari e burocrati, che ha aperto gli occhi a coloro che erano prima letteralmente ipnotizzati dal socialismo di stato. Uomini che non molto tempo prima tacciavano con l’appellativo di controrivoluzionario chiunque osava criticare i metodi dei dittatori di Mosca, sono oggi in lotta aperta con loro. Un esempio sorprendente si ha nel Partito Comunista Operaio della Germania (K.A.P.D.). Questi eroi di stoppa, dai cervelli microscopici e dalle bocche grandi che hanno cercato fino ad ora di guadagnarsi le simpatie della Terza Internazionale e, cosa più importante, gli aiuti finanziari di Mosca, oggi lanciano i loro strali avvelenati contro la Russia e contro i bolscevichi. Lenin non desidera la rivoluzione”, “La Terza Internazionale è il peggior imbroglio”, “Trotzky, Zinoviev e Radeck sono imbroglioni politici”, “Il governo sovietico borghese difende gli interessi del capitalismo”. Questo è quello che oggi scrive l’organo centrale del K.A.D.P. Questi sono fatti inevitabili, perché un partito che compra i partiti stranieri con forti somme di denaro non può in alcun modo contare su veri amici e veri compagni; al contrario: questa politica crea solo un pantano di corruzione che metterà in pericolo la sua stessa esistenza. Quello che vediamo oggi in Russia è il disastro di un sistema, la bancarotta del socialismo statale nella sua forma più ripugnante. Quando lo stesso Lenin dichiara che il 50% dei commissari non sono competenti per i posti che occupano,la sua non è che una forma di criticismo democratico. Lenin si rende conto che gli intenti del suo partito si sono risolti in un terribile fiasco; ma sa anche che non può tornare indietro. Perciò chiama in suo aiuto il capitalismo internazionale; egli non ha altre soluzioni. E’ ridicolo pensare che Lenin si moderò e che questo suo mutamento di opinione è la causa della sua attuale politica di compromessi. Il fatto che il governo Russo in-tavoli relazioni con i capitalisti stranieri non avviene perché Lenin è diventato più moderato, ma perché una ferrea necessità lo obbliga a questo passo; non è che l’ultimo ricorso: approfitta così come chi affoga cerca di aggrapparsi ad una pagliuzza. Le famose parole di Lenin: “Siamo disposti a realizzare qualsiasi compromesso sul piano economico ma non ne faremo alcuno su quello politico”, sono chiare e non si prestano ad equivoci. L’attuale situazione spiega pure le persecuzioni contro gli anarchici, sindacalisti e socialisti di altre tendenze che avvengono in Russia. Sono gli unici che si oppongono al cammino verso la destra e perciò la ragion di stato vuole che siano liquidati. Si impedisce la stampa di sinistra e la divulgazione di materiale anarchico. In Russia si ripete la parabola storica che si ebbe in Francia nel marzo del 1794. Quando Robespierre e i Giacobini si incamminarono a destra soffocarono l’opposizione della sinistra. Mandarono gli Héhertisti e gli Arrabbiati alla ghigliottina, così come oggi in Russia si imprigionano e si assassinano i veri difensori del sistema sovietico: gli anarchici, i sindacalisti e i massimalisti. La politica di Robespierre portò la Francia al 9 Termidoro e alla dittatura di

Napoleone. Dove condurrà la politica di Lenin in Russia? Capitolo 3: CAPITOLO 3 UN ERRORE STORICO

Dunque le circostanze che si ebbero durante la rivoluzione russa favorirono i bolscevichi nel predominio del campo socialista; la situazione pericolosa in cui si venne a trovare la Repubblica Sovietica, durante le prime fasi del regime bolscevico, quando le bande controrivoluzionarie le si lanciarono contro con l’aiuto della reazione straniera, fecero sì che la gente, fiduciosa nella rivoluzione e nel nuovo regime, prendesse come cosa naturale ogni atteggiamento dispotico del governo russo, persino l’oppressione brutale verso ogni critica. Con la scusa della gravità del momento storico si arrivava a giustificare tutte le ingiustizie anche sul piano morale. Grave fu il riflesso che si ebbe nelle persone, che vennero mano a mano a perdere la loro capacità di giudizio individuale e analitico e quindi la visione completa della realtà. Una supposizione momentanea diveniva un principio ferreo, una necessità fatale. Ecco perché, anche fra i nostri compagni vi furono coloro che difesero il modo di agire dei bolscevichi pensando che fosse dettato da necessità ineluttabili. I nostri compagni si lasciarono ipnotizzare da questa idea fin quando la reazione bolscevica abbattendosi anche su di loro non li costrinse a cambiare parere. La mancanza di obiettività critica e un fideismo cieco facevano accettare le notizie di atrocità come necessarie per la rivoluzione. E non impressionavano neppure le violazioni più brutali dei più elementari diritti umani, e neppure il fatto che la repressione fosse talvolta rivolta contro onesti rivoluzionari. Si diceva: “C”e volete, le rivoluzioni non si fanno con i guanti bianchi! Il governo russo è obbligato ad agire in questo modo in un momento in cui la reazione internazionale si allea contro la Russia”. Portavano l’esempio della Rivoluzione francese per dimostrare che tutte le grandi lotte sociali sono legate a fatti come quelli che sta vivendo la Russia attuale. L’esperienza storica ci dimostra tutto il contrario. La dittatura di Robespierre e la persecuzione di ogni vera tendenza rivoluzionaria cominciò quando la Rivoluzione si avviava verso la sua fine e quando lo Stato centralizzato si andava sostituendo al governo rivoluzionario. Ma c’è da aggiungere che la Francia rivoluzionaria, nei periodi più critici, non soppresse la stampa rivoluzionaria di diverse tendenze. Dal momento critico in cui gli eserciti stranieri entrarono in Francia e in cui si levò la controrivoluzione nella Vandea e in altri punti del paese, non si soppresse la libertà di opinione e di stampa come accade in Russia in questi anni. I giacobini avevano l’intenzione di unificare tutte le forze della rivoluzione in favore del governo, ma i loro intenti non ottennero esito alcuno mentre la rivoluzione seguiva il suo corso. Persino uomini ultrarivoluzionari come Jacques Roux, Varlet, Dolivier, Charlier odiati da Robespierre poterono realizzare la loro propaganda orale e scritta. Non si pensi che la propaganda fosse all’acqua di rose. Basta dare un’occhiata alla stampa dell’epoca della Rivoluzione per sincerarsi del contrario. La libertà di critica era di assoluta necessità per il popolo, per il proseguimento della Rivoluzione e se questa poté vincere e liberare la

Francia e tutta l’Europa dalla tirannia della Monarchia assoluta e dal giogo feudale, fu perché tutte le forze rivoluzionarie seppero difendere la loro autonomia e non si sottomisero ad alcuna dittatura di governo. Le sezioni rivoluzionarie di Parigi e della Francia tutta, dove si riunivano gli elementi rivoluziOnari che furono il centro propulsore del movimento popolare, erario un mezzo sicuro contro il potere centrale. Più tardi, quando gli elementi rivoluzionari più attivi diminuirono considerevolmente, il governo dei giacobini incorporò le sezioni nella macchina statale ed iniziò la decadenza della rivoluzione. Il trionfo di Robespierre fu al tempo stesso il trionfo della controrivoluzione. Il 24 marzo ed il 9 Termidoro furono i simboli della reazione trionfante. Se dunque ci viene ricordata la rivoluzione francese per giustificare la tattica dei bolscevichi, vuol dire che si ignorano i fattori storici, poiché la storia ci dà un esempio assai preciso. In tutti i momenti decisivi della Rivoluzione Francese era il popolo che prendeva l’iniziativa. Ed è in questa attività creativa del popolo che sta il segreto della Rivoluzione. Fu proprio perché le forze rivoluzionarie poterono svilupparsi liberamente, che la rivoluzione poté farla finita con il sistema feudale. Ed è proprio perché il governo bolscevico paralizzò ogni attività rivoluzionaria col terrore brutale e con lo strangolamento sistematico di ogni iniziativa veramente rivoluzionaria che oggi si vede obbligato a ritornare al capitalismo, dopo aver convinto i suoi sostenitori della impossibilità di realizzare l’obiettivo iniziale. I soviet in Russia avrebbero potuto avere lo stesso ruolo delle “sezioni” della Rivoluzione Francese; ma poiché il potere centralizzato dello Stato sovietico tolse loro ogni indipendenza, essi esistono oggi solo di nome, e sono composti soltanto da organi designati dallo Stato e non hanno altra funzione che servirlo. I bolscevichi non sono mai stati sostenitori del sistema dei soviet. Lo stesso Lenin spiegava nel 1905 al presidente dei Soviet di Pietrogrado che il suo partito non poteva avere relazioni con il sistema dei Soviet, che a suo giudizio era un’istituzione vecchia. Ma le prime fasi della Rivoluzione Russa si svilupparono sui Soviet e quando i bolscevichi giunsero al potere si videro obbligati a doverne accettare l’eredità. La loro attività fu rivolta a cercare i mezzi idonei per togliere il potere ai Soviet e a sottometterli al potere centrale. L’aver raggiunto lo scopo è, a mio avviso, aver tradito la Rivoluzione. In questo consiste la tragedia della rivoluzione russa. Con l’opera sistematica di sottomettere tutte le istituzioni sociali al volere di un governo centrale onnipresente si è giunti alla incongruente situazione del predominio sociale di una classe di impiegati e subalterni: è stato questo il colpo mortale alla Rivoluzione Russa. Il fatto che ora Lenin dichiari che bisogna indirizzare il socialismo verso il capitalismo di Stato, non getta che confusione e lui ben lo sa. Perciò egli deve convincere i lavoratori che la politica del governo sovietico è la migliore che ci sia.

Capitolo 4: L’ATTIVITA’ “CONTRORIVOLUZIONARIA” DEGLI ANARCHICI Nell’ultima sessione del Congresso dell’Internazionale accadde un fatto caratteristico. Buckarin, che si trovava al congresso come semplice ascoltatore, d’improvviso prese la parola attaccando acerbamente gli anarchici e lasciando stupefatti i delegati stranieri che non si seppero spiegare la causa di questo sproloquio ostile. Quando i delegati stranieri erano giunti a Mosca, avevano mandato una delegazione a Lenin per chiedere la libertà per gli anarchici ed anarcosindacalisti che si trovavano in prigione. Fu loro promesso che sarebbe stato fatto tutto il possibile a condizione che essi non facessero parola del loro passo nelle sessioni del Congresso. La commissione stette ai patti e durante il periodo di tempo che durò il Congresso non si parlò di prigionieri politici. E’ facile dunque immaginare lo stupore dei membri del Congresso, quando Buckarin mise sul tappeto la discussione di questo argomento. Ma maggiore fu la sorpresa quando si alzò a parlare Sirolle, il delegato francese e Losovsky gli negò la parola. Il fatto che il presidente non desse la parola ad un delegato, mentre lasciasse parlare uno spettatore e per giunta su di un argomento che non figurava nell’ordine del giorno, sollevò un grande tumulto. Il Congresso terminò in un caos generale. Per evitare lo scandalo, il presidente si vide costretto a dare la parola a Sirolle. L’intenzione di Buckarin era chiara. Voleva prendere il Congresso di sorpresa perché esso non molestasse più il governo con petizioni richiedenti la libertà dei prigionieri politici. Ma i delegati stranieri seppero capire il trucco e pertanto non si produsse l’effetto che Buckarin desiderava. Questi intendeva dimostrare che gli anarchici russi non erano come quelli degli altri paesi, e che il governo era costretto a difendersi da questi. Gli anarchici prigionieri erano per Buckarin dei delinquenti comuni, simpatizzanti del `bandito” Mackhno, controrivoluzionari dichiarati. La maggior parte degli anarchici detenuti però non erano soltanto mackhnovisti, ma anarchici perseguiti solo per le oro idee. Se studiamo il ruolo degli anarchici nella rivoluzione Russa, ci rendiamo conto che le accuse dei bolscevichi eraio prive di fondamento, erano solo calunnie con un chiaro me politico. Quando si iniziò la rivoluzione gli anarchici esercitarono un ruolo molto importante e formarono parte degli elementi più attivi del movimento rivoluzionario. possedevano molti giornali e la loro propaganda era pene-rata profondamente nella massa. A Kronstadt, Odessa, Ekatherinburg e tantissime città importanti la massa era con loro. Gli anarchici erano stati i primi ad opporsi al governo di Kerensky. Accadeva quando Lenin ed i bolscevichi erano a favore della Assemblea Costituente. Il loro slogan era “tutto il potere ai Soviet! “, quando i bolscevichi neppure sapevano quale

atteggiamento prendere sull’argomento. Quando iniziò la lotta aperta contro Kerensky, gli anarchici furono i primi ad imbracciare il fucile. Prima .del sollevamento di Pietrogrado e di Mosca, furono i lavoratori di Ekatherinburg a levarsi in rivolta. Fu l’anarchico Anatol Grigorivich Zelesnikov che, davanti ai marinai di Kronstadt, entrò nel parlamento e ne espulse i deputati. Zelesnikov, per la cui testa Denikin offriva 40.000 rubli, cadde nella lotta contro le guardie bianche nel governatorato di Ekatherinoslav nel giugno 1919. E’ un fatto storico irrefutabile che senza la collaborazione degli anarchici e delle altre tendenze di sinistra i bolscevichi non avrebbero potuto raggiungere il potere. Un compagno russo descrisse fedelmente gli avvenimenti di quel tempo nel giornale “Les temps nouveaux” di Parigi. trascriviamo un estratto di questa interessante descrizione: Lenin si apprestò a fare un decreto (il primo) in cui di~iiarava che il suo partito si decideva ad assumere il nome i “Partito Comunista”. Il decreto in questione fu pubblicato dalle “Isvestia ` che allo stesso tempo rendeva pubblica la notizia che il governo risolveva di realizzare il comunismo in tutta la Russia. La federazione anarchica di Pietrogrado lo interrogò su che cosa intendesse per “comunismo” e come pensasse di realizzarlo. Se tenesse conto del comunismo anarchico o se si trattasse di un comunismo diverso, scoperto dai bolscevichi, con il proposito di attrarre nel proprio partito i contadini e gli operai. La risposta di Lenin fu che egli pensava veramente al comunismo libertario, però che questo non si poteva realizzare in una sola volta, ma a gradi. Perciò si appellava agli anarchici perché lo aiutassero a raggiungere lo scopo. Gli anarchici furono ingenui e lo aiutarono. Questo accadeva quando i bolscevichi non si sentivano ancora abbastanza sicuri, quando erano circondati dappertutto da nemici e i controrivoluzionari di ogni paese si preparavano all’attacco. A Pietrogrado soprattutto i reazionari non dormivano. Tentavano di provocare disordini di massa. Fu un `epoca molto critica per i bolscevichi. Solo gli anarchici erano per loro un buon appoggio. Nel dicembre 191 7, tutta Pietrogrado era occupata dagli eserciti dei soldati che ritornavano dal fronte e da elementi sospetti. Queste bande erano armate e si lanciavano al saccheggio dei magazzini e dei depositi della città. I bolscevichi mandarono le guardie rosse perché avessero ragione di questi delinquenti, ma con l’aria che tirava non c `era da essere sicuri neppure delle guardie rosse. Mandarono anche i marinai, ma anche di loro c `era da fidarsi poco. I marinai fecero alcuni tentativi deboli in verità per contenere i massacri, però all’ultimo si unirono alle file dei pogromisti saccheggiando tutta la città. In questa situazione furono gli anarchici gli unici ad essere capaci di affrontare la lotta contro i pogromisti e ad acquietare i disordini. Calmato il pericolo furono i bolscevichi a guardare storto gli anarchici. Vedevano in loro nemici pericolosi, più pericolosi dei controrivoluzionari perché gli anarchici guadagnavano giorno per giorno le simpatie dei contadini e degli operai ed organizzavano unioni industriali e comuni agricole ovunque, secondo i loro principi. Ma il governo non si azzardava a procedere contro di loro: la sua posizione non era ancora ben salda. Dopo l’armistizio con i tedeschi, la miseria del popolo era paurosa. I rispetta bili commissari del popolo non trovavano di meglio che fare un decreto nuovo

ogni giorno; gli anarchici, così come altri rivoluzionari sinceri, riconoscendo che questa politica del governo avrebbe condotto infallibilmente ad una catastrofe, non potevano rimanere indifferenti davanti a tali fatti. Insieme ai socialisti rivoluzionari crearono cucine popolari e case per i poveri ed i miserabili. Nello stesso tempo tentarono di organizzare i lavoratori della città e della campagna per l’amministrazione (iella produzione e fondai-ano comuni agricole a carattere comunista. Il conte von Mirbach, ambasciatore tedesco a Mosca, fece capire a Lenin che uno stato che si rispetti non deve tollerare assolutamente gente come gli anarchici. Per Lenin fu un buon pretesto per dettare un ordine di occupazione di tutti i circoli anarchici. La notte del 14 maggio del 1918 le case dove gli anarchici si riunivano furono circondate di cannoni e mitragliatrici. Durante la notte le bombardarono ed il frastuono delle bombe era tanto spaventoso che la popolazione credete che un esercito nemico stesse prendendo Mosca. Il giorno seguente si vide uno spettacolo terribile. Le case erano squarciate, i morti ovunque. Dappertutto pezzi di carne umana, teste spiccate dal busto, braccia, intestini. Il sangue scorreva per le strade. Il capo del massacro, Bela Kun, che in seguito sarà dittatore in Ungheria, era il “vincitore”.. La protesta della popolazione fu enorme tanto che Trotzky e Lenin si videro obbligati a giustificarsi davanti alla popolazione. Dichiararono che era loro scopo non perseguire tutti gli anarchici, ma solo coloro che non volessero sottomettersi alla dittatura. Per tranquillizzare I `opinio-ne pubblica la Ceca mise in libertà alcuni anarchici. Ma allo stesso tempo si cominciò a perseguire le organizzazioni anarchiche, confiscandone le biblioteche e bruciando la letteratura che vi trovavano, parecchi gruppi anarchici vennero sterminati. Oggi moltissimi compagni si consumano in carcere e gli altri sono divisi, sparsi in tutto il mondo come ai tempi dello zarismo”. La veridicità di queste affermazioni è stata confermata da diversi compagni russi. Inoltre è interessante leggere le conclusioni del congresso Pan-Russo degli anarco-sindacalisti, per valutare meglio i fatti. Queste sono le conclusioni: 1° Lottiamo contro il potere statale e capitalista e aspiriamo ad unificare i soviet autonomi, le unioni delle organizzazioni indipendenti dei contadini e degli operai in una forma federativa per la produzione comune. 2° – Raccomandiamo ai lavoratori di formare soviet liberi e di combattere allo stesso tempo i consigli dei commissari del popolo, dato che queste istituzioni avranno una pessima influenza sulla classe lavoratrice. 3° – Pretendiamo lo scioglimento dell’esercito militarizzato e l’armamento dei contadini e degli operai. E’ nostra intenzione chiarire bene che per gli sfruttati non ha alcun valore il concetto di “patria socialista”, essendo patria per loro il mondo intero. 4° – ProseguiremO in questa lotta con tutti i mezzi, contro i cecoslovacchi controrivoluzionari e contro ogni tentativo imperialistico, ma non vogliamo dimenticare neppure il partito bolscevico che sta diventando oggi controrivoluzionario. 5° – Vogliamo che le organizzazioni operaie e contadine prendano possesso di tutti i mezzi utili alla vita quotidiana. Esigiamo che non siano più mandati reparti armati contro i contadini perché

questo volgerà i contadini contro gli operai, e si incrinerà la solidarietà tra contadini e operai facilitando la controrivoluzione E’ chiaro che le conclusioni che avete appena letto non avevano un contenuto controrivoluzionario Anzi i nostri compagni facevano un’analisi della situazione e prevedevano, in un certo senso, ciò che sarebbe avvenuto poi. Gli anarchici russi furono sempre i primi a levarsi contro i veri controrivoluzionari dando sangue per la causa del popolo. E’ un’infamia, una diffamazione astiosa commessa dallo stato “socialista” a fini politici. Quando i bolscevichi ebbero bisogno degli anarchici, allora non si accorsero che essi erano “controrivoluzionari” Ma anzi furono proprio loro a lodarne il coraggio e a portarli d’esempio ai loro stessi compagni. Alcuni dirigenti bolscevichi che oggi ricoprono un ruolo importante nel mondo comunista, poco prima del sollevamento dell’ottobre del 1917, cercarono con tutti i mezzi di impedirlo. Lo stesso Lenin scrisse contro Zinoviev e Kamenev accusandoli di essere codardo e senza carattere, e di “aver dimenticato i concetti essenziali del bolscevismo e dell’internazionalismo proletario e rivoluzionario”. Ma Zinoviev e Kamenev si pentirono e furono di nuovo accettati nella comunità dei “santi”. Per questi signori sono controrivoluzionari solo coloro che non vogliono ballare al suono del loro flauto. La commedia sarebbe grottesca se purtroppo non avesse assunto toni spaventosamente tragici. Senza volere mi è venuto alla mente un aneddoto storico: il famoso prefetto delle barricate del 1848, Cosidiere, dava di Bakunin questo giudizio: “E’ un uomo meraviglioso il primo giorno della rivoluzione, ma il giorno dopo bisognerebbe fucilano ” La politica che hanno impiegato i bolscevichi nei nostri confronti è esattamente la stessa. Il primo giorno lodano, ma il secondo gridano di fucilarci. E’ sempre stata questa la tattica dei politici giunti al potere, in tutte le epoche ed in tutti i paesi. I bolscevichi non sono un’eccezione alla regola.

Capitolo 5: NESTOR MACKHNO E I BOLSCEVICHI

E’ necessario che mi soffermi a parlare di Mackhno e del suo ruolo rivoluzionario, dato che la stampa bolscevica lo ha attaccato così violentemente. Oggi i bolscevichi usano contro di lui la stessa tattica che hanno usato per combattere gli anarchici in generale: lo elogiano e lo condannano a seconda della necessità del momento. Ci furono periodi in cui la stampa bolscevica attaccò Mackhno come il peggiore controrivoluzionario, cooperatore di Denikin e di Wrangel ed altri in cui la stessa stampa lo presentò come un buon rivoluzionario e membro della Repubblica Sovietica. Un compagno di Mosca mi ha spedito il seguente abbozzo biografico sul celebre capo ucraino delle bande: “Nestor Mackhno è un contadino giovane di trentun anni. A partire daI 1917 prese parte attiva al movimento rivoluzionario

facendo parte di un gruppo di anarchici terroristi. Nel governatorato di Ekatherinoslav uccise un poliziotto e fu condannato a morte, per la sua giovane età la pena fu commutata nei lavori forzati a vita. Fu liberato nel 1917 dalla Rivoluzione e tornò a prendere parte nell’organizzazione contadina. Ai primi del 1918 iniziò la reazione in Ucraina. Gli austriaci ed i tedeschi sconvolsero il paese, intere legioni di operai e contadini furono fucilati. Mackhno insieme con altri sei compagni formarono un distaccamento armato e combatterono contro le forze di polizia capeggiate dal cosacco Skoropadsky uscendone vittoriosi. Questa azione valse loro una grande rinomanza ed il piccolo gruppo arrivo a contare venti persone. Una volta liberata l’Ucraina dai soldati stranieri e dalle bande armate del capo cosacco, Mackhno volse la lotta contro Petliura. Prima della fine dell’anno egli comandava un intero esercito di mackhnovisti. Una volta sconfitto Petliura i bolscevichi occuparono l’Ucraina. Essendo Makhno un anarchico, egli non poteva trovarsi in accordo con i bolscevichi, nonostante che questi intendessero comprarlo in tutti i modi. Arrivarono a proporgli la nomina di comandante superiore di tutte le ripartizioni di guerra in Ucraina a condizione che si ponesse sotto gli ordini d Trotzky.

Mackhno rifiutò l’offerta poiché non intendeva collaborare con coloro che avevano per fine unico la conquista del potere. Iniziò in seguito un’agitazione in tutto il paese i presto giunse a fronteggiare il potente esercito di Denikin. I bolscevichi dichiararono che non potevano riconoscere un esercito costituito da volontari, ma non sentendosi sicuri per intraprendere un’azione contro Mackhno trovarono il modo di eliminarlo indirettamente, negando gli armi e munizioni. Trotzky dichiarò che avrebbe mandato approvvigionamenti se egli si fosse sottomesso al comando dell’esercito russo. Mackhno era in una situazione critica. Aveva un esercito di 51.000 persone ma era sprovvisto di munizioni ed inoltre era minacciato da Denikin e dall’esercito rosso. Quando aveva combattuto contro Skoropadsky e Petliura i rossi lo avevano lasciato solo; ma allora l’esercito bolscevico era male organizzato e debole. Però allora almeno i bolscevichi avevano mandato ai mackhnovisti armi e munizioni necessarie, perché egli agiva anche nel loro interesse, mentre ora gli negavano qualsiasi soccorso militare fintantoché non si fosse piegato agli ordini di Trotzky. Questi credeva così di piegare l’Ucraina, ma vedendo che non otteneva nulla risolse di finirla con lui, costasse quel che costasse. In una assemblea in Karkov, il 29 aprile, dichiarò che Mackhno era un semplice avventuriero e che era preferibile che l’Ucraina cadesse nelle mani dei “bianchi” che rimanere nelle mani degli anarchici, perché una volta che Denikin fosse divenuto il padrone del paese, sarebbero stati i contadini stessi a chiedere l’aiuto dei bolscevichi. Così Mackhno fu lasciato senza munizioni, e l’esercito rosso non intervenne, e Denikin attaccò i mackhnovisti. Anche i rossi dovettero retrocedere, ma intanto avevano ottenuto il loro scopo: annientare i mackhnovisti. La sconfitta fu disastrosa e Mackhno riuscì a stento a fuggire con i pochi che gli rimanevano. Nello stesso tempo la stampa bolscevica dichiarava che Mackhno era un traditore e lo incolpava anche della ritirata dei rossi. Poco dopo questi fatti i bolscevichi trovarono il fratello di Mackhno in un ospedale e, scambiandolo per il capo ucraino lo fucilarono. A causa della sconfitta di Mackhno, i soldati di Denikin inseguirono nell’avanzata i soldati rossi attraversando vittoriosi la

frontiera russa. In questa situazione critica, Mackhno riuscì ad organizzare i suoi partigiani ed ad attaccare le retrovie dell’esercito di Denikin, si impossessò delle munizioni di Denikin facilitando così l’offensiva dei bolscevichi. Dopo un tale atto la stampa bolscevica tornò a riconoscere in Mackhno un rivoluzionario e il governo ritirò l’ordine di fucilarlo. Una volta sconfitto Denikin, Trotzky tornò ad esigere che i mackhnovisti entrassero nel suo esercito e al loro rifiuto, Mackhno fu di nuovo considerato un traditore e denigrato dal governo. Da allora iniziò la lotta disperata tra Mackhno ed i bolscevichi, ma non si giunse ad una soluzione definitiva che più tardi, quando a causa degli attacchi di Wrangel alla Russia sovietica, le relazioni tra il governo bolscevico ed i mackhnovisti cambiarono. Queste notizie del comando di Mosca mi sono state confermate totalmente da nuove informazioni da fonti dirette. Sono in possesso di un manoscritto di 112 pagine su questo argomento, che mi è stato dato da alcuni compagni russi. Ai primi del 1920 Mackhno si vide obbligato a dover lottare nello stesso tempo contro i bolscevichi e contro Wrangel. La situazione si fece così critica che i bolscevichi furono costretti a chiedere l’aiuto di Mackhno. L’esercito rosso era stato duramente provato dalla guerra contro la Polonia e non poteva fronteggiare Wrangel. Sull’orlo della catastrofe il governo rosso si risolse ad un patto con il “bandito” Machkno, che ora la stampa chiamava socio del “barone bianco”, cioè di Wrangel. Il 16 di ottobre si firmò tra Mackhno ed i bolscevichi il seguente patto: Trattato tra la repubblica Ucraina dei Soviet e l’esercito rivoluzionario Mackhnovista, per la collaborazione provvisoria delle operazioni militari. 1° L’esercito rivoluzionario dei Mackhnovisti si fonde con i soldati dell’esercito repubblicano, rimanendo intero l’esercito mackhnovista e riconoscendo soltanto il sovracomando dell’esercito rosso. 2° L’esercito rivoluzionario dei Mackhnovisti che si trova nel territorio dei Soviet non può accettare nelle sue file unità dell’esercito rosso o disertori. 3° La fusione dell’esercito rosso con quello rivoluzionario si fa allo scopo di distruggere il nemico comune, l’esercito bianco. I Mackhnovisti sono concordi con il richiamo fatto alla popolazione dal comando dell’esercito rosso affinché cessi ogni azione di resistenza contro di esso. 4° – Le famiglie dei soldati dell’esercito rivoluzionario Mackhnovista che abitano nel territorio della repubblica dei Soviet usufruiranno degli stessi diritti dei soldati rossi e percepiranno dal governo Ucraino i benefici accordati. Tra la repubblica Ucraina del Soviet e l’esercito Mackhnovista, si stipula il seguente patto per ciò che riguarda le questioni politiche: 1° Tutti i rivoluzionari Mackhnovisti ed anarchici che sono incarcerati nella repubblica dei Soviet, che non abbiano lottato in armi contro il regime bolscevico, saranno liberati ed in seguito cesserà ogni persecuzione. 2° – Libertà di propaganda orale e scritta per tutti gli anarchici. Sarà permessa solo la censura militare. Il governo dei Soviet riconosce gli anarchici come reali rivoluzionari ed è disposto a fornire il materiale necessario alle loro pubblicazioni, sulla base di accordi generali, vigenti per tali pubblicazioni. 3° – J Mackhnovisti e gli anarchici possono partecipare liberamente alle elezioni per i Soviet, ed hanno il diritto di essere membri degli stessi. Potranno partecipare al prossimo quinto congresso dei Soviet di Ucraina nel dicembre 1920. Letto ed approvato dai rappresentanti dei partiti, nella conferenza del 16

ottobre 1920 I Firmato Bela Kun-Popof. Sulla base del citato documento gli anarchici lottarono alla pari dell’esercito rosso contro Wrangel. Seguì il successo più completo: nella terza settimana di novembre il “Barone bianco” era completamente sconfitto ed i resti del suo esercito fuggivano verso il sud inseguiti dall’esercito rosso. Ma che successe poi? Subito dopo la ritirata di Wrangel il governo dei Soviet ruppe il trattato con Mackhno e l’esercito rosso attaccò repentinamente i suoi alleati uccidendone moltissimi. Mackhno riuscì a fuggire e la stampa bolscevica lo chiamò di nuovo traditore e bandito, inoltre tutti gli anarchici scarcerati in seguito al trattato furono arrestati di nuovo insieme agli altri. Queste sono le fasi distinte che il movimento mackhnovista ha dovuto passare: dalle prove citate si può vedere chiaramente che Mackhno in nessun modo è un traditore e controrivoluzionario e che ogni notizia che i bolscevichi hanno propagato contro di lui è falsa e calunniosa. Il vero tradito è stato proprio Mackhno, ed il tradimento non è stato ordito solo ai suoi danni ma a quelli della rivoluzione, sia quando nel 1919 lo lasciarono solo contro Denikin, sia quando il governo rosso ruppe il trattato. Il governo dei soviet qualificò Mackhno come controrivoluzionario davanti al mondo intero, dopo che con il trattato aveva riconosciuto che il suo movimento era rivoluzionario. Dichiara che Mackhno era un bandito, ma come è possibile che abbia poco prima stipulato un contratto ufficiale firmato da uno dei suoi più eminenti collaboratori? E se Mackhno fosse stato veramente un bandito, come si qualificano coloro che stipulano un patto con un individuo del genere? Che non si dica che il governo era in una situazione disperata e che si vide obbligato a questo passo. Neppure questo motivo potrebbe giustificare una tale azione. Il governo rosso era nella stessa situazione quando fu attaccato da Denikin e abbandonò Mackhno ed i suoi guerriglieri in una situazione disperata, sapendo che la sconfitta di Mackhno era pericolosa anche per l’esercito rosso. Poi si volle sacrificare Mackhno perché lo voleva Trotzky, perché lo voleva la ragion di stato. Gli uomini di Mosca sanno bene che Mackhno non è un bandito, sanno che lotta per una causa che non si adatta alla loro linea politica. Sanno che l’uomo che salvò due volte la Russia dalla catastrofe non può essere un controrivoluzionario. Lo sapevano bene i capi bolscevichi, ma sapevano anche che bisognava eliminarlo come un bandito, dato che non credeva nella bibbia bolscevica. E con lui bisognava eliminare i rivoluzionari di diverse tendenze e gli anarchici. Le affermazioni dei bolscevichi sono false e coloro che le sostengono lo sanno bene, ma che importa? La menzogna è sempre stata un fattore decisivo in ogni opera diplomatica e di essa si avvalgono i difensori della “diplomazia proletaria”

Capitolo 6: LA RIVOLTA Dl KRONSTADT

La stessa “diplomazia proletaria”, riuscì a trasformare la rivolta di Kronstadt in una congiura di “bianchi” preparata da elementi stranieri. Questa tergiversazione abile e astuta fu propagandata da tutta la stampa comunista. Volendo fare oggi un’analisi delle cause interne che causarono la rivolta di Kronstadt, dobbiamo convenire che i marinai erano controrivoluzionari così come lo erano gli anarchici e i seguaci di Mackhno. Un giornale di chiara tendenza bolscevica come il “Novi Put” di Riga, ebbe l’imprudenza di dire tutta la verità sull’insurrezione e sul carattere del movimento; pare che la redazione non avesse ricevuto a tempo le informazioni ufficiali. Nel numero del 19 marzo leggiamo infatti: “i marinai di Kronstadt sono in maggioranza anarchici. Sono alla sinistra dei comunisti, non alla destra. I loro ultimi notiziari radio ripetono costantemente: Viva il potere dei soviet! Viva la convenzione nazionale! Perché si sono ribellati contro il governo dei soviet? Perché non è sufficientemente sovietico. Essi scrissero sulla loro bandiera il motto semi-anarchico-semi-comunista che i bolscevichi adottarono tre anni fa, dopo la rivoluzione di ottobre. Nella loro lotta contro il governo sovietico i ribelli esprimono ripetutamente il loro odio verso i borghesi e verso tutto ciò che è politica. Sostengono che la repubblica sovietica si è imborghesita e che Zinoviev si è guastato. Dobbiamo aspettarci una rivolta estremista e non una sollevazione di destra.” Questa cronaca di “Novi Put” è stata confermata fino ad oggi in ogni senso; tutti i documenti ed i proclami dei ribelli di Kronstadt lo

testimoniano. I marinai di Kronstadt sono sempre stati energici e disposti al sacrificio nel movimento rivoluzionario russo; ebbero un ruolo importante nel 1905. Quando scoppiò la rivoluzione del 1917 essi furono di nuovo primi nella lotta, dimostrando tutto il loro coraggio. Sotto il governo di Kerensky proclamarono la comune di Kronstadt e si opposero energicamente all’assemblea costituente, nella quale vedevano un pericolo per la rivoluzione. Quando più tardi iniziò la rivoluzione ottobrista che diede il potere ai bolscevichi, furono ancora una volta alla testa del movimento rivoluzionario. Il loro motto era: “tutto il potere ai soviet!” Nella lotta sanguinosa con Yudenich, i marinai di Kronstadt furono una muraglia di ferro contro cui si dovettero battere tutti i reazionari. L’influenza delle idee anarchiche fu la causa della loro accanita difesa della propria autonomia, quando il governo di Mosca inizia a coartare sempre più i diritti dei soviet. Tutti i tentativi che Trotzky fece per piegare i marinai non ottennero esito alcuno. Nel febbraio del 1921 scoppiarono grossi tumulti tra i lavoratori di Pietrogrado, causati dai nuovi ordinamenti per la razione dei viveri. Gli operai scesero in sciopero. Molti di loro furono arrestati. La situazione era grave. I marinai di Kronstadt inviarono una delegazione a Pietrogrado con il compito di studiare la situazione sul luogo e per vedere se fosse possibile unirsi ai lavoratori in un’azione comune. Il primo di marzo del 1921 si tenne a Kronstadt un’assemblea dei lavoratori di tutte le linee fluviali, durante la quale la delegazione presentò le informazioni che aveva raccolto a Pietrogrado. Risultato dell’assemblea fu la seguente risoluzione: 1) Considerando che oggi i soviet esistenti non interpretano l’anelito degli operai e dei contadini, esigiamo che vengano indette nuove elezioni per i soviet, con voto segreto, e che tutti i contadini ed operai possano fare propaganda in libertà per le elezioni. 2) Libertà di riunione per i sindacati industriali e per le organizzazioni dei contadini. 3) Libertà di parola e di stampa per i contadini e gli operai, per gli anarchici e i socialisti rivoluzionari di sinistra 4) Convocazione di un’assemblea imparziale degli operai, soldati rossi e marinai di Kronstadt, Pietrogrado e della circoscrizione di Pietrogrado prima del 10 marzo 1921. 5) Liberazione dei prigionieri politici di tutti i partiti socialisti, contadini, operai, soldati rossi e marinai arrestati per via delle rivolte dei contadini e degli operai. 6) Nomina di una commissione speciale per controllare i processi dei prigionieri nelle carceri e nei campi di concentramento. 7) Soppressione di tutte le ripartizioni politiche speciali, perché nessun partito goda privilegi speciali per la sua propaganda e sia convenzionato dallo Stato. (Si riferisce a quelle organizzazioni, in tutte le istituzioni civili e militari della Russia, delle quali possono far parte membri dei partito comunista). 8) Soppressione del controllore nelle stazioni ferroviarie. (Si riferisce alle guardie militari nelle stazioni per proibire il trasporto dì viveri che lo Stato né compra né vende). 9) Razione uguale per tutti gli operai, ad eccezione di coloro che sono occupati in industrie malsane. 10) Soppressione di tutte le ripartizioni comuniste in tutte le corporazioni militari e delle guardie comuniste nelle fabbriche. 11) Che tutti i cittadini abbiano il diritto di disporre dei loro prodotti e

possano autogestire la fabbrica senza che occupino salariati. 12) Ci appelliamo ad ogni corporazione militare ed ai compagni delle scuole militari perché aderiscano al nostro movimento. 13) Chiediamo a tutti di dare la più ampia diffusione alla nostra risoluzione. 14) Libertà di lavoro e di domicilio, per tutto il tempo che non si impieghino salariati. Questa risoluzione fu letta in un’assemblea dei lavoratori di Kronstadt alla presenza di sedicimila persone e fu approvata all’unanimità. Il due marzo si riunirono i delegati delle corporazioni militari e delle officine e dei laboratori, in totale circa 300 persone. Si nominò un comitato rivoluzionario provvisorio che doveva preparare le elezioni per i soviet. Il comitato pubblicò un bollettino, “l’Isvestia”, che informava sul corso del movimento. Il compagno russo Isdinie, pubblicò in Les Temps Nouveaux” di Parigi parecchi resoconti tratti dalle “Isvestia” che accreditano il carattere e lo spirito di questo movimento tante volte vilipeso e sospettato. In un articolo dal titolo “Perché lottiamo” si legge: “La pazienza degli operai è finita. In tutto il paese si notano i primi sintomi dell’opposizione ad un sistema dì violenza e oppressione. Gli operai si dichiarano in sciopero, ma i bolscevichi si valgono di tutti i mezzi per soffocare la Terza Rivoluzione al suo inizio. Però questa è iniziata nonostante tutto, essendo gli stessi operai ari averla dichiarata… Qui a Kronstadt sono state collocate le basi della terza rivoluzione, che aprirà la strada verso il socialismo. Che la nostra rivoluzione convinca gli operai tutti dell’Oriente e dell’Occidente che tutto ciò che è accaduto in Russia nulla ha a che fare con il socialismo.

Gli operai e i contadini vanno avanti. Si allontanano dalla convenzione nazionale con il regime borghese; come pure dalla dittatura dei partito comunista (0fl la sua `commissione straordinaria” eri il suo capitalismo di Stato che strangola il popolo lavoratore con la frusta del boia. L’attuale rivoluzione permette agli operai di eleggere liberamente i suoi Sovìet, senza temere la pressione di alcun partito, e farà il possibile perché i sindacati, adesso completamente burocratizzati si riorganizzano in associazioni libere manuali ed intellettuali. In un altro articolo “Le tappe della rivoluzione’, apparso il 12 marzo si legge: “Il partito comunista detiene il potere pubblico, lasciando da parte gli operai ed i contadini nel cui nonne opera. Si è stabilito un nuovo feudalesimo in nome del comunismo Del contadino si è tatto un semplice schiavo e degli opera i, schiavi sa/aria/i nelle fabbriche sta/ali. Gli operai intellettuali sono stati degnatati al completo….É giunta l’ora di farla finita con la commissariocrazia Kronstadt non dorme. Nel marzo e nell’ottobre del 1917 si è trovata al fronte ed oggi è ancora lei che spiega la bandiera della terza rivoluzione: la rivoluzione proletaria. E’ finita la burocrazia. L `assemblea costituente appartiene al passato. Ora deve cadere la commissariocrazia. E’ giunta l’ora per il vero potere del proletariato, per il potere dei soviet! “. Ed in un appello “agli operai, soldati rossi e marinai” che apparve nel numero del 13 marzo, rifiutano energicamente l’accusa del governo che il movimento di Kronstadt sia diretto da generali bianchi e reazionari. Scrivono: “Il 2 marzo ci siamo sollevati a Kronstadt contro il giogo dei comunisti e spieghiamo la bandiera rossa della terza rivoluzione dei proletari. Soldati

rossi, marinai, operai! Kronstadt rivoluzionaria è insorta! Denunciamo che vi si inganna, che non vi si dice la verità di ciò che accade. Non vi si dice che siamo pronti a dare in olocausto la nostra vita per l’emancipazione degli operai e dei contadini. Vi vogliono persuadere che il comitato rivoluzionario provvisorio e sottoposto ai generali bianchi ed ai pope. Vogliamo finirla con le calunnie! VI diciamo i nomi dei membri del nostro comitato. Patricencko, impiegato nelle officine delle linee marittime; Jacobenko, telefonista della sezione telefonica di Kronstadt; Osokobenko, macchinista nelle linee marittime “Sebastopoli Perepelkin, elettricista nella Sebastopoli”; Archipov, primo macchinista; Petruchew, primo elettricista nella “pertopavlovsk “; Kupolv, medico; Verchinin, marinaio della “Sebastopoli “; Tukin. operaio elettricista; Romenko, riparatore navale; Oreschin, ispettore nella terza scuola del lavoro: Pabloww, operaio; Baikow, amministratore; Walk, direttore di una segheria; Kilgast, saldatore”. Impressiona profondamente l’appello ai lavoratori del mondo intero”, nel numero del 13 marzo. che dice: “Sono dodici giorni che un pugno di uomini, operai. soldati rossi e marinai, separati dal mondo intero,sopportano gli attacchi selvaggi dei boia comunisti. Siamo fermi perché ci proponiamo di liberare il popolo dal giogo che il fanatismo di un partito ha imposto. Moriremo gridando: Viva i soviet liberamente eletti! Che lo sappia il proletariato del mondo intero. Compagni, abbiamo bisogno del vostro aiuto morale! Protestate contro gli atti liberticidi degli autocrati comunisti” Quest’ultima domanda dei ribelli di Kronstadt, quando essi avevano già la morte davanti agli occhi, non trovò ripercussione alcuna. Nessuno comprese l’importanza della causa per la quale lottarono e misero a repentaglio le loro vite. Non si seppe neppure che furono assassinati a migliaia, così come lo erano stati i comunardi di Parigi quando le bandiere mercenarie di Gallifet li incitavano alla morte. Ma gli uomini e le donne della Comune di Parigi trovarono la comprensione del proletariato mondiale, invece coloro che tinsero del loro sangue le strade di Kronstadt. furono tacciati da traditori e controrivoluzionari della classe, e furono condannati senza che si conoscessero i motivi per i quali lottarono e il loro ultimo appello passò inosservata. Eppure il motto che gli operai ribelli avevano sulla loro bandiera era il grido di lotta dei bolscevichi quando in ottobre prepararono la rivolta che spazzò Kerensky. Chi avrebbe pensato che pochi anni dopo la “dittatura del proletariato” avrebbe inviato i suoi soldati rossi contro i difensori delle stesse idee che i dittatori di oggi avevano fatte proprie quando decisero di dare l’assalto al potere politico! Uno degli argomenti più importanti (`antro l’insurrezione di Kronstadt fu che la stampa controrivoluzionaria degli altri paesi espresse la propria simpatia verso gli insorti. Nell’articolo apparso il 20 aprile nella “Revue Hébdomadaire de la Presse Russe”, Radek volle dimostrare il carattere controrivoluzionario della rivolta di Kronstadt, valendosi soprattutto di questo argomento. I lettori della stampa comunista sono in genere molto modesti e seguono le direttive di ciò che si dà loro da leggere sempre che venga da Mosca. Pertanto lo scritto di Radek apparve su tutta la stampa comunista internazionale. A nessuno saltò in mente di verificare il contenuto. C’era la firma di Radek e questo bastava. Gli argomenti di Radek sono dunque calunniosi e ridicoli. I ribelli di Kronstadt rifiutarono sempre con disprezzo ogni aiuto da parte dei controrivoluzionari.

Quando giunse a Parigi la notizia del sollevamento di Kronstadt, i capitalisti russi offrirono ai ribelli 500.000 franchi. Ma gli insorti rifiutarono energicamente questa offerta. E quando alcuni ufficiali controrivoluzionari a Parigi mandarono un radiogramma ai ribelli offrendo i loro servigi, essi rifiutarono con disprezzo. Agiscono così dei controrivoluzionari? Mi pare di no, e gli uomini di Stato di Mosca sono i primi a saperlo. Capitolo 7: ORIGINI E SIGNIFICATO DELL’IDEA DEI SOVIET Se gettassimo la colpa di ciò che sta succedendo in Russia solo su alcuni personaggi di rilievo faremmo un grave errore. Essi sono responsabili solo in quanto dirigenti di una determinata tendenza ideologica. Ma le cause di questi fatti tragici sono più profonde: affondano le radici in un sistema che inevitabilmente avrebbe portato ad una tale situazione. Questo finora non è stato capito ed il motivo di fondo è che non sono stati analizzati e compresi i due concetti antitetici di organizzazione dei soviet (consigli operai) e di “dittatura del proletariato”. Anzi si è arrivati addirittura ad identificarli. La verità è che l’unione di queste due forze organizzative (soviet, dittatura del proletariato) è impossibile. La dittatura è la contraddizione diretta dell’organizzazione sovietica e quando si è preteso con la forza di legare le due tendenze si è ottenuto come risultato un prodotto ibrido sul tipo della commissariocrazia bolscevica nella Russia attuale, che ha soffocato la rivoluzione. L’idea dei “soviet” non ammette la dittatura del proletariato. Nell’organizzazione sovietista vale la volontà della base, l’energia creatrice del popolo, al contrario nella dittatura regge la violenza del vertice, la sottomissione cieca al modello di un dittatore. Le due forme non possono coesistere: in Russia trionfò la dittatura perciò non potevano esservi i soviet. Ciò che oggi esiste non è che una grottesca caricatura dell’idea sovietica. L’idea dei soviet è nel suo più profondo significato l’idea stessa della rivoluzione sociale, l’idea della dittatura è di pura origine borghese e non tiene relazione alcuna con il socialismo. L’idea dei soviet non è nuova né c’è giunta con la rivoluzione russa. Cominciò a svilupparsi all’interno della frazione più avanzata del movimento operaio europeo, quando la classe proletaria organizzata, lasciato da parte il radicalismo borghese, imboccava la strada della rivoluzione sociale. Questo accadeva all’epoca in cui l’associazione internazionale dei lavoratori cercava di unire i proletari di tutti i paesi in una grande unione il cui fine era arrivare alla liberazione dal giogo del salario. Nonostante l’Internazionale avesse un marcato carattere di unione internazionale di uffici e organizzazione dell’industria, i suoi statuti erano sufficientemente ampi perché venissero accettati da tutte le tendenze socialiste di allora, sempre che fossero d’accordo con le finalità dell’Associazione. E’ logico supporre che nei primi tempi la linea ideale della grande unificazione proletaria non aveva la chiarezza programmatica che ebbe poi nei congressi di Losanna (1867) e Ginevra (1868). Ma a misura che l’internazionale andava maturando interiormente e cresceva come organismo di lotta, le dottrine dei suoi aderenti andavano delineandosi con rapidità. L’attività pratica e la lotta contro il capitale ed il lavoro condusse da soli gli operai ad un’interpretazione più profonda dei problemi sociali con il proposito di trovare i mezzi per risolverli. A Basilea nel 1869, l’evoluzione dell’Associazione operaia aveva raggiunto maturità completa. Fatta eccezione per la questione della terra, sopra la quale si

riaffermò la risoluzione anteriore, il Congresso si dedicò al problema industriale. Nella relazione che presentarono il belga Hins ed il francese Pindy, si esprimeva per la prima volta, da un nuovo punto di vista, i principi ed il significato delle organizzazioni industriali, anche se nei loro discorsi si ritrovavano analogie con le idee di Owen, quando questi aveva fondato la “Grand Consolidated Trade Union”. Il congresso di Basilea dichiarò chiaramente che il Tradeunionismo o sindacalismo non e unicamente un’organizzazione di resistenza comune e temporanea la cui ragione di esistere si spieghi solo dentro la società capitalistica, dovendo operare nel suo seno. Al contrario, da principio fu modificato il concetto della tendenza socialista statale che cerca di circoscrivere l’azione degli organismi operai industriali alle rivendicazioni economiche ed al miglioramento delle condizioni di lavoro, esaurendo in questo tutta l’azione. Nella relazione di Hins si dichiarava che l’organizzazione per la lotta economica dei lavoratori doveva essere considerata come una finalità della futura società socialista e che compito dell’Internazionale era istruire l’organizzazione operaia per questa missione storica. Il congresso di Basilea approvò la seguente risoluzione: .·J/ congresso dichiara che tutti i lavoratori debbono teiitare di fondare società di azione nelle diverse industrie. Man mano che vadano formandosi tali associazioni si potranno fondare unioni nazionali dell’industria. Questa corporazione dovrò riunire tutti gli elementi che abbiano una qualche relazione con l’industria e giungere ad un accordo comune rispetto alle disposizioni necessarie perché la federazione dei produttori liberi possa rimpiazzare l’attuale sistema del salario. Il congresso autorizza il consiglio genera le a facilitare le relazioni delle organizzazioni dei diversi paesi”. Commentando la precedente risoluzione che la commissione presentò al congresso, Hins dichiarò che a questa doppia forma di organizzazione, cioè quella delle società locali e delle unioni generali dell’industria, avrebbe dovuto sostituirsi in seguito l’amministrazione politica delle comuni e la rappresentazione generale del lavoro in senso regionale, nazionale ed internazionale. “I consigli delle organizzazioni del lavoro occuperanno il posto degli attuali governi. Queste rappresentazioni porranno fine una volta per tutte ai vecchi sistemi politici del passato”. L’idea nuova fruttifera, nasceva dal convincimento che ogni nuova forma di organizzazione societaria deve portare ad una nuova forma di organizzazione politica e può giungere a realizzarsi soltanto in questa nuova forma politica e che pertanto il socialismo necessita anche di una forma nuova e diversa in cui possa trovare la sua espressione valida di inserimento nella realtà. Gli uomini della vecchia internazIonale erano convinti che la forma dei soviet fosse la forma politica più adeguata ad una società socialista. I lavoratori dei paesi latini, dove l’Internazionale trovò il suo massimo appoggio, svilupparono il movimento sulla base delle organizzazioni per la lotta economica e dei gruppi socialisti di propaganda, seguendo l’esempio delle risoluzioni adottate dal congresso di Basilea. Come si avvidero che lo Stato era unicamente il rappresentante e il protettore delle classi privilegiate non aspirarono alla conquista del potere politico, ma al trionfo sopra lo Stato, con lo scopo di abolire ogni forma di potere politico, poiché è soltanto l’espressione legale della tirannia e dello sfruttamento. Perciò non cercarono più di imitare la borghesia formando un nuovo partito politico e cooperando alla formazione di una nuova casta di politici di professione. Al contrario videro la finalità delle loro lotte nella conquista delle fabbriche, delle industrie e dei campi e compresero che questa finalità era totalmente diversa da quella che perseguivano i politici della borghesia radicale, che guastano le loro energie nel potere statale. Compresero che con il monopolio della ricchezza sarebbe caduto anche il monopolio del potere, che tutta la vita sociale futura avrebbe dovuto essere costruita

su basi completamente nuove. Partendo dal principio che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo doveva cessare e che bisognava organizzarsi in modo nuovo, sostituirono alla politica autoritaria dei partiti, la politica sindacale del lavoro. La frazione progressista dell’Internazionale era convinta che la riorganizzazione della società doveva sorgere dal mondo industriale e agricolo e che è in questo ambito che si debbono porre le basi del socialismo. Da questo convincimento nacque l’idea dei consigli operai (soviet). Questo pensiero fu analizzato e diffuso dalla stampa, dai libri e dai volantini dell’ala antiautoritaria dell’Internazionale riunita intorno a Bakunin. In modo particolare furono le stesse idee sviluppate nei congressi della Federazione del lavoro in Spagna, dove impegnarono le espressioni “giunte e consigli di lavoro”. I socialisti libertari dell’Internazionale videro chiaramente che il socialismo non poteva essere dettato dal governo, che doveva svilupparsi liberamente dal basso, dal seno delle masse e che era compito dei lavoratori stessi prendere la direzione della produzione e del consumo. Tale fu la politica che sostennero di fronte alle dottrine dei socialisti autoritari e dei parlamentari. La lotta sostenuta tra Bakunin e Karl Marx ed il Consiglio generale di Londra che terminò con la divisione dell’unione operaia, aveva la sua origine nelle contraddizioni tra federalismo e centralismo e le diverse interpretazioni del ruolo che lo Stato deve avere nel periodo transitorio. Non furono questioni personali quelle che condussero a questa lotta interna nonostante che Engels e Marx facessero il possibile per spostare la faccenda sul piano personale, divulgando sospetti e calunnie su Bakunin e i suoi seguaci. Si trattava invero di due diverse interpretazioni del socialismo e della scelta di due strade diverse verso il socialismo. Anche senza Marx e Bakunin il conflitto avrebbe avuto luogo ugualmente trattandosi del cozzo di due correnti ideologiche ben distinte. Durante le persecuzioni scatenate contro il movimento operaio nei paesi latini che iniziarono in Francia con la caduta della Comune e si propagarono in Spagna negli anni seguenti, l’idea dei soviet dovette lottare contro enormi difficoltà poiché tutta la propaganda pubblica era perseguitata, ed i lavoratori con i loro gruppi segreti dovevano concentrare tutte le loro forze nel combattere la reazione ed aiutarne le vittime colpite. Ma appena migliorò un poco la situazione e con l’evoluzione del sindacalismo rivoluzionario si svegliò una nuova vita, soprattutto nell’epoca della grande attività dei sindacalisti francesi tra il 1900 e il 1907, l’idea dei soviet raggiunse una chiara interpretazione. Basta solo gettare uno sguardo agli scritti di Pelloutier, Pouget, Grifueihes, Monatte, Ivetot e molti altri, per convincersi che né in Russia né in alcun altro paese l’idea dei soviet è nata, bensì essa è stata la realizzazione di ciò che il sindacalismo rivoluzionario aveva già stabilito venti o trenta anni prima. Nei circoli dei partiti operai socialisti non si volle saper nulla dell’idea dei soviet che consideravano con disprezzo come una “utopia idealista”. I bolscevichi non costituiscono un’eccezione a questa regola generale. L’idea dei “soviet” è il risultato naturale del socialismo libertario. Cominciò a svilupparsi in seno al movimento operaio rivoluzionario e rappresenta il totale abbandono da parte dei veri socialisti dell’idea borghese di Stato. Della dittatura non si può dire la stessa cosa. La concezione dittatoriale non è nata nel mondo delle idee socialiste né è il risultato del movimento operaio: è al contrario, un’eredità pericolosa che la borghesia lasciò al proletariato. E’ strettamente legata al desiderio di conquistare il potere politico, altra idea di origine borghese. La dittatura è una forma di violenza dello Stato. Come coloro che sostengono la necessità di uno Stato, così i sostenitori della dittatura credono che solo dall’alto debbono essere impartite le direttive per una buona organizzazione sociale. La dittatura, anche “socialista”, è un vero e proprio freno per la rivoluzione sociale, il cui elemento vitale consiste nella partecipazione costruttiva e nella iniziativa diretta delle masse. La dittatura è la negazione che il popolo sia capace di autogovernarsi, è l’imposizione di una minoranza sulla massa. I simpatizzanti della dittatura potranno essere animati

dalle migliori intenzioni; ma la logica dei fatti li porterà a praticare forme di dispotismo. Acutamente scriveva Bakunin: `la causa fondamentale che tutte le autorità statali rivoluzionarie del mondo intero abbiano fatto ben poco per dare impulso al cammino della rivoluzione è che hanno preteso sempre di dare il loro impulso con il potere e la loro autorità personale. In conseguenza potevano scegliere tra due soluzioni. per prima, dovevano limitare l’azione rivoluzionaria, perché perfino gli uomini di stato più intelligenti, energici e sinceramente rivoluzionari non hanno concetto alcuno di tutte le questioni della vita. Pertanto una dittatura, sia di una sola persona come di un comitato rivoluzionario e necessariamente immiserita, così come le navi più gigantesche non possono misurare l’estensione né la profondità del mare, così i dittatori non possono misurare la profondità della vita nel popolo. Secondariamente, ogni azione che si pretende imporre al popolo per mezzo del poteie ufficiale e legale, dall’alto, provocherà sempre nelle masse un sentimento di sollevazione e di opposizione”. E’ significativo che Lenin ed i suoi seguaci, con il proposito di screditarle tra le masse, non si stancano di chiamare piccolo-borghesi tutte le tendenze socialiste che non convergano con la loro bibbia. Ma sono proprio loro ad aver assorbito l’ideologia piccolo-borghese. L’idea della dittatura l’hanno derivata dai piccolo-borghesi giacobini. E’ opportuno ricordare che furono i giacobini che giudicarono criminali gli scioperi, esattamente come oggi in Russia, e che proibirono le organizzazioni industriali sotto minaccia di pena di morte. Saint-Just e Couthon furono i suoi portavoce e Robespierre, quantunque inizialmente reticente, l’esecutore. Persino Marat, nonostante comprendesse il pericolo della dittatura, simpatizzava molto con questa idea ed in conseguenza esigeva un dittatore con le catene ai piedi.

Capitolo 8: DITTATURA E SOCIALISMO

La falsa interpretazione che gli storici borghesi e radicali danno della grande rivoluzione francese, attribuisce alla dittatura giacobina una fama immeritata che si andò accentuando dopo le esecuzioni capitali dei suoi famosissimi dirigenti. Gli uomini si sa hanno il culto dei martiri e questo culto li rende spesso incapaci di fare una critica imparziale. Fu Louis Blanc colui che più di tutti contribui’ alla esaltazione del giacobinismo. Le conquiste rivoluzionarie, come l’abolizione del sistema feudale e della monarchia assoluta, sono state attribuite dagli storici ai Giacobini ed alla convenzione rivoluzionaria, cosicché si andò formando, con il trascorrere del tempo, una falsa valutazione della rivoluzione francese. Oggi possiamo a ragione dire che la interpretazione tradizionale della rivoluzione francese è basata sulla completa ignoranza dei fatti storici e che i fatti importanti della rivoluzione furono prodotti unicamente dall’azione dei proletari delle città e dei contadini, contro la stessa volontà dell’Assemblea Nazionale e della Convenzione. I giacobini e la Convenzione avevano sempre combattuto ogni idea di cambiamento radicale, finché di fronte ai fatti dovettero forzatamente adeguarsi. L’abolizione del feudalesimo fu opera esclusiva delle rivolte dei contadini, che erano state boicottate dai partiti politici. Nell’anno 1792 l’Assemblea Nazionale confermò il sistema feudale e solo nel 1793, quando i contadini conquistarono i loro diritti per proprio conto, la Convenzione rivoluzionaria si decise a sancire l’abolizione dei diritti feudali. Identico caso si ebbe con l’abolizione della monarchia assoluta. I primi leaders del movimento socialista popolare in Francia, pur uscendo dal circolo dei giacobini restarono

ancora sotto l’influenza della linea politica giacobina. Quando Babeuf, Darthé, Buonarroti ed i loro amici organizzarono la “Congiura degli eguali” avevano l’intenzione di trasformare la Francia per mezzo di una dittatura militare. Come comunisti riconoscevano che gli ideali della grande rivoluzione potevano realizzarsi unicamente con la soluzione del problema economico; ma credevano che questo proposito fosse raggiungibile solo usando la violenza ed il potere dello Stato. Questa fiducia nel potere supremo dello Stato era profondamente radicata nei giacobini. Babeuf e Darthé furono condotti alla ghigliottina. Buonarroti e altri furono esiliati, ma le loro idee continuarono a vivere nel popolo e trovarono albergo nelle società segrete dei babeuvisti, durante il regno di Luigi Filippo. Uomini come Barbés e Blanquì lottavano su questo stesso terreno e anelavano ad una dittatura del proletariato al fine di porre in pratica i loro principi comunisti e statali. Fu da questi uomini che Marx ed Engels presero l’idea della “dittatura del proletariato” tale come l’espressero nei “Manifesto comunista”. Anche loro intesero sotto tale nome la fondazione di un governo centralizzato e forte, la cui missione sarebbe stata quella di rompere il potere della borghesia, per mezzo dileggi e preparare poi più tardi una nuova società fondata sul socialismo statale. Tutti questi uomini venivano al socialismo dalla democrazia borghese ed erano imbevuti di idee giacobine. D’altra parte, il movimento socialista non era ancora completamente sviluppato per continuare un proprio cammino e rimaneva ancora sotto l’influenza della tradizione borghese. Fatta eccezione per Proudhon e seguaci tutte le tendenze socialiste degli anni 40 e 50 del secolo passato erano decise partigiane dell’idea dello Stato. All’epoca della I Internazionale, con lo sviluppo del movimento operaio, giunse il momento propizio perché i Socialisti fossero capaci di scuotere via gli ultimi residui della tradizione borghese, che ancora conservavano, e perché potessero poggiare il loro intervento su basi socialiste e liberta ne. Così si sviluppò l’idea dei soviet come contrapposizione all’idea di Stato e di potere politico in ogni sua forma, e in contrasto con l’idea di “dittatura”, che vuole non solo mantenere lo strumento di potere delle classi privilegiate, lo Stato, ma pretende anche di favorirne uno sviluppo prodigioso. I pionieri del sistema sovietico compresero che lo Stato, la violenza organizzata delle classi dirigenti, non poteva trasformarsi in uno strumento di liberazione per tutti i lavoratori. Per questo sostennero che il primo compito della rivoluzione sociale era quello di distruggere il vecchio apparato del potere politico per impedire così ogni forma di sfruttamento. Nel congresso dell’Aia, nel 1872, dove si ebbe la divisione dell’Internazionale, il portavoce della minoranza, espresse chiaramente il concetto che all’idea della conquista del potere si deve anteporre l’idea della distruzione di ogni potere politico. Non ci vengano a dire che “la dittatura del proletariato” è diversa da qualsiasi altra forma dittatoriale, trattandosi di dittatura di classe. Non è né può essere la dittatura di classe che la dittatura di un partito determinato che si arroga il diritto di parlare in nome di una classe, così come la borghesia giustifica i suoi atti dispotici in nome del popolo. Sono sempre più pericolosi i partiti che scalano per la prima volta il potere, perché nei suoi capi è generalmente più sviluppata l’arroganza e la credenza di essere grandi, di quello che non sia per altri partiti abituati a governare. La Russia è un eccellente esempio. Laggiù non si può ancora parlare della dittatura di un partito, ma di quella di un pugno di uomini sopra cui lo stesso partito non ha più influenza. L’immensa maggioranza del popolo russo è contro la dominazione dell’attuale oligarchia, che ha perduto da tempo tutte le simpatie del proletariato russo. Se i lavoratori russi avessero la possibilità di eleggere liberamente i loro rappresentanti ai soviet, il dominio bolscevico cadrebbe come un castello di carte. Non è la volontà di una classe quella che ha trovato espressione nella dittatura del proletariato, ma solo il potere delle baionette, dell’esercito rosso. Sotto la “dittatura del proletariato” la Russia si è trasformata in un

carcere gigantesco; non si sono raggiunti i propositi fondamentali della rivoluzione; al contrario ci si è allontanati da essa proporzionalmente, a mano a mano che il potere della nuova autocrazia cresceva e che l’iniziativa rivoluzionaria del popolo veniva soffocata. Oggi addirittura si sono abbandonati gli stessi propositi che si pretendeva rappresentare, ritornando al capitalismo. E’ vero che si cerca di coprire con gli imbrogli dialettici l’effetto di questa retrocessione, ma i sofismi di Lenin e Radek non possono coprire la realtà. La famosa “dittatura del proletariato”, oltre ad avere cambiato il lavoratore russo in uno schiavo, ha gettato le basi per il nuovo dominio di una nuova borghesia. Capitolo 9: LA VERA ESSENZA DELLO STATO

Alcuni mesi prima che scoppiasse la rivoluzione di Ottobre del 1917 Lenin scrive la sua opera “Stato e Rivoluzione” che contiene una strana mescolanza di idee marxiste ed anarchiche. Lenin cerca di dimostrare che Marx ed Engels sostennero sempre l’idea che lo Stato sarebbe scomparso ma che, durante il “periodo rivoluzionario transitorio”, cioè mentre la società andava cambiando il suo sistema sociale da capitalista a socialista, essa avrebbe dovuto servirsi dell’apparato statale. L’opera contiene altresì duri attacchi a Kautsky, Plekanov e i cosiddetti “opportunisti” del socialismo marxista moderno; li accusa di aver falsificato intenzionalmente la bibbia dei due maestri non avendo chiarito ai lavoratori il ruolo che lo Stato avrà durante la dittatura del proletariato. Non è ancora nostra intenzione verificare la veridicità delle asserzioni di Lenin. Alcuni dei suoi argomenti sono stati abbastanza arruffati e non sarebbe difficile scegliere dalle opere di Marx ed Engels altrettante citazioni che dimostrano il contrario di ciò che Lenin vuole dimostrare. Ma non ha importanza soffermarsi tanto su ciò che hanno scritto Marx ed Engels; ciò che conta è sapere se la loro maniera di vedere fu realizzata o meno in pratica. Ogni altra questione ha lo stesso valore dei commentali scritti da abili teologi sulle interpretazioni della Bibbia. Nella sopraccitata opera Lenin dichiara che la “differenza tra i marxisti e gli anarchici consiste nel fatto che i primi hanno il proposito di abolire lo Stato; ma credono che questo si possa realizzare quando la rivoluzione socialista abbia soppresso le classi, come risultato del socialismo, mentre gli ultimi aspirano ad abolire lo Stato dall’oggi al domani senza affrontare il lavoro che tale abolizione richiede”. A causa di questa dichiarazione molti anarchici credettero di vedere in Lenin e nel suo partito dei compagni di lotta. Molti di loro furono disposti ad accettare la dittatura del proletariato credendo che si trattasse solo di un periodo transitorio inevitabile e che fosse imprescindibile per la rivoluzione. Non si volle o non si poté comprendere che il pericolo stava proprio nel concetto che la dittatura fosse una fase necessaria. Si dovrebbe ragionare. Si dovrebbe ragionare con una logica non umana per considerare che lo Stato è indispensabile finché non saranno abolite le classi, come se lo Stato non fosse sempre il creatore di nuove classi, come se non fosse l’incarnazione viva delle differenze di classe nella società. Tutto il suo essere è l’eternizzazione dei contrasti di classe. La storia intera ci ha dimostrato sempre questa verità inequivocabile, che è ora confermata in Russia dal disgraziato esperimento dei bolscevichi. Si dovrebbe essere ciechi a non riconoscere il valore dell’insegnamento che la rivoluzione russa ci ha dato. Sotto la “dittatura del proletariato” si è sviluppata in Russia una nuova classe, la “commissaniocrazia” che è oggi detestata dalla massa come prima lo erano i rappresentanti dell’antico regime. E questa nuova classe conduce oggi la stessa vita parassitaria dei SUOi predecessori sotto il dominio degli

zar. Ha monopolizzato l’economia e si è appropriata di tutto, mentre il popolo è in miseria. Questa nuova classe si avvale degli stessi procedimenti tirannici del vecchio regime. Esercita un potere dispotico sulla massa. Nel vocabolario popolare russo si e creato il termine “borghese sovietico”, piuttosto caratteristico per indicare lo stato attuale sotto l’impero di Lenin. E’ un’espressione usata in tutti i circoli operai e ci dimostra come il popolo senta il giogo di questa nuova classe dirigente. Dunque l’apparato del potere statale può solo creare nuovi privilegi e mantenere i vecchi. Non può dunque convertirsi in strumento di liberazione del popolo. Kropotkin, nel suo libro “Lo Stato moderno”, scriveva: “Sperare che un `istituzione che rappresenta una determinata forma storica di evoluzione serva come mezzo di distruzione dei privilegi che essa stessa sviluppo non significa altro che riconoscere la propria incapacità. Non significa altro che l’ignoranza di una delle regole principali, cioè che le nuove funzioni esigono organi nuovi e sono queste stesse funzioni che devono svilupparli. Vuol dire che si è pigri e timorosi per pensare alla nuova direzione a cui conduce I evoluzione moderna”. Le parole di Kropotkin pongono l’attenzione su uno dei peggiori vizi spirituali di cui l’uomo moderno soffre. Le istituzioni occupano nella vita della società lo stesso luogo degli organi nel corpo animale. Sono gli organi di un corpo sociale. Gli organi non si sviluppano arbitrariamente, ma per necessità determinate. L’occhio del pesce nel profondo del mare è diverso da quello di un animale terrestre, poiché esercita le sue funzioni in un luogo diverso. Non avviene mai che un organo compia funzioni che non hanno relazione alcuna con l’ambiente. Così le istituzioni sociali si sviluppano sotto la spinta di particolari condizioni sociali. In questo modo si sviluppò lo stato moderno. Nel vecchio ordinamento sociale si sviluppò il monopolio e insieme a questo una forte divisione di classi diverse con interessi distinti. Le classi nascenti avevano bisogno di uno strumento per sostenere i loro privilegi sociali ed economici sopra la massa del popolo. Da questa forma nacque e si sviluppò io Stato moderno come organo della classe privilegiata per la schiavitù e lo sfruttamento delle masse. Nell’impiantare in Russia la dittatura del proletariato, i bolscevichi diedero allo Stato) tale potere sui cittadini che nessuno Stato aveva avuto prima. Crearono la burocrazia più forte che si sia mai visto prima. Le famose parole di Saint-Just che la missione del legislatore deve essere quella di paralizzare nell’individuo la coscienza privata e insegnargli a pensare nel senso della ragion di stato, non sono state realizzate in alcun altro posto meglio che in Russia. Tutte le opinioni che non siano conformi a quelle dei dittatori non hanno possibilità di essere conosciute, essendo soppressa la libertà di stampa e di parola; la stampa dello Stato pubblica solo ciò che è conforme alla ragion di Stato. Nella sua opera “Democrazia borghese e dittatura proletaria”, Lenin tenta di giustificare la soppressione della libertà di riunione in Russia, scrivendo che le rivoluzioni d’Inghilterra e Francia non permisero ai monarchici di riunirsi né di esprimere liberamente la loro opinione. Ma in Russia non sono soltanto perseguiti gli adepti del vecchio regime, ma anche tutte le tendenze rivoluzionarie che contribuirono a distruggere l’autocrazia e che in ogni momento della rivoluzione versarono il loro sangue e donarono la loro vita. Quando poi Lenin ci spiega che la libertà di stampa nei paesi cosiddetti “democratici” non è che un inganno, in quanto le migliori agenzie di stampa sono nelle mani dei capitalisti, dice la verità e tutti i socialisti lo sanno; ma tace stranamente quando parla della Russia, dove i giornali sono nelle mani dello Stato e per questo ogni opinione contraria al regime può essere repressa, sia che essa provenga dai reazionari che dai socialisti rivoluzionari. Il fatto sta in questi termini. Durante la rivoluzione inglese era repressa la stampa monarchica, ma nessuno tentò mai di strangolare le libere opinioni delle diverse tendenze rivoluzionarie, nonostante che la stampa rivoluzionaria non trattasse certamente il governo con i guanti bianchi. Perciò non hanno valore alcuno le parole

di Lenin. Le sue parole non servono che a mascherare la realtà. Qual’è stato il risultato di questa situazione? Hanno forse dato qualche risultato positivo queste limitazioni alla libertà personale? Hanno avvicinato di più la Russia al comunismo? No, mille volte no! Capitolo 10: RIVOLUZIONE POPOLARE E DITTATURA DI PARTITO

E’ già stato detto molte volte che la guerra che insanguinò la Russia per così lungo tempo, contribuì molto allo sviluppo della situazione politica in cui il paese si trova oggi. Pur tenendo presente questo fattore, cerchiamo di trovare le cause più profonde della situazione attuale. Se non fosse stato per la guerra i bolscevichi non avrebbero potuto esercitare la loro dittatura fino alle estreme conseguenze che viviamo oggi. I bolscevichi, come tutti i socialisti statalisti e giacobini, credono che ogni nuova forma sociale possa essere imposta al popolo dall’alto e, poiché non hanno fiducia nelle capacità costruttive delle masse, sono ostili ad ogni iniziativa che non porti lo “imprimatur” del loro partito. Vedono perciò in malo modo tutte le associazioni ed istituzioni che nascono direttamente dai contadini e dagli operai e cercano, con tutte le loro forze di limitare la indipendenza di tali organismi, tentando alla prima occasione di porli sotto il diretto controllo del partito. In questo modo hanno operato con i Soviet e con gli organismi industriali della Russia. Le associazioni cooperative dei contadini e degli operai sono state distrutte quasi al completo. Adesso cercano di costruirle di nuovo ma, si intende, sotto il controllo dello Stato. Questo esempio di sfiducia nelle proposte organizzative che vengono dal basso, spiega la loro fede fanatica nel potere dei decreti. Il decreto è il feticcio del bolscevico, è più importante del fatto rivoluzionario che solo sotto la spinta delle masse si può realizzare. Migliaia di decreti ed editti “rivoluzionari” hanno soffocata la rivoluzione russa. Anche se qualcuno sa che il 99% dei decreti ed editti si perde nei meandri della burocrazia, l’abbondanza dei foglietti di carta cresce ogni giorno per soffocare il popolo russo. Se fosse possibile liberare il mondo a furia di decreti, oggi la Russia sarebbe un nuovo paradiso terrestre. A questo proposito mi piace ricordare le parole di Bakunin: “Sono il peggiore nemico di tutte le rivoluzioni che si facciano per mezzo di decreti, che non sono altro che il risultato della applicazione pratica del concetto di “Stato rivoluzionario cioè di una reazione coperta dalla maschera della rivoluzione. Davanti al metodo dei decreti rivoluzionari, io pongo il metodo dei fatti rivoluzionari, che èi unico efficace, logico e reale. Il metodo autoritario, nel voler imporre dall’alto alle masse l’uguaglianza e la libertà, strangola la libertà e la uguaglianza. Il metodo anarchico dell’azione provoca fattori rivoluzionari e risveglia nelle masse una coscienza rivoluzionaria. Il metodo dello Stato rivoluzionario porta alla reazione, il secondo fa la rivoluzione perché essa nasce direttamente dal popolo tutto”. Bakunin non avrebbe mai pensato che la storia russa avrebbe confermato tragicamente le sue parole. Chi non ha fiducia nella capacità costruttiva del popolo crede nei decreti miracolosi. Ma chi crede nei decreti non capisce cosa significa libertà. Solo un uomo come Lenin che non è capace di concepire la forza creativa delle masse, può affermare che la libertà è un “concetto borghese”. La mania marxista di vedere tutte le rivoluzioni del passato come manifestazioni della borghesia, lo portò ad una tale interpretazione. Ma essa è sbagliata. Tanto nella rivoluzione inglese come nella francese si distinguono due correnti: la rivoluzione popolare ed il movimento rivoluzionario dei politici, ma queste due correnti si incontrano spesso e si uniscono nei grandi avvenimenti rivoluzionari, sebbene ognuna conservi le proprie finalità. Senza il movimento dei contadini e dei proletari della città, mai sarebbe stato abolito

in Francia il feudalesimo e la monarchia assoluta. Il proposito della borghesia era una monarchia costituzionale come in Inghilterra ed una riforma modesta del feudalesimo si sarebbe avuta con il dividere il potere tra loro borghesia ed aristocrazia. Le famose parole di Camillo Desmoulins: “prima del 1789 a Parigi non c’era che una dozzina di repubblicani”, ci dipinge bene la situazione. Furono le rivolte contadine ed operaie a dare impulso alla rivoluzione e furono represse aspramente dalla borghesia. Fu la rivoluzione popolare quella che pose fine al feudalesimo e distrusse la monarchia assoluta, nonostante che i politici tentassero in tutti i modi di conservarla. Il fatto che abbia trionfato la borghesia accaparrandosi il potere, non significa che la rivoluzione avesse un carattere meramente politico. E’ sufficiente citare il movimento “enragès” e la cospirazione di Babeuf per rendersi conto che nel seno delle masse c’erano forze che operavano e che in nessun modo si potevano definire “politiche”. Sotto la spinta del popolo la borghesia si vede costretta ad andare avanti ed ad includere nei suoi codici certi diritti e libertà per la comunità che mai avrebbe dato spontaneamente. Sappiamo che poi i suoi rappresentanti tentavano ad ogni costo di restringere questi diritti interpretando a loro favore le leggi o mediante violazioni dirette. Tutti conoscono le lotte dure che i lavoratori dovettero affrontare per conseguire il diritto di sciopero, di riunione, di organizzazione, ecc. che formano oggi la base di ogni movimento popolare. Ma questi diritti di cui godiamo oggi non debbono nessuna riconoscenza alla buona volontà borghese: sono il frutto di una lotta tenace, instancabile. Dire che questi diritti non sono che una idea “borghese” significa difendere il dispotismo dei tempi passati. Nessuno creda che ci inganniamo sul significato di questi diritti. Sappiamo molto bene che perfino nei paesi “liberi” questi diritti hanno valore molto relativo, ma c’è il fatto che nei paesi capitalisti i lavoratori possono godere almeno formalmente di questi diritti, mentre in Russia sotto la dittatura bolscevica, non è possibile. In ogni movimento rivoluzionario popolare si possono osservare due aspirazioni distinte nella azione della massa: la necessità di uguaglianza sociale e il desiderio di libertà individuale. Quindi possiamo affermare che la necessità di libertà fu sempre la forza d’impulso di ogni rivoluzione. Non furono soltanto questioni economiche quelle che sollevarono le moltitudini quanto anche il sentimento della propria dignità umana. Sarebbe sufficiente considerare le piccole lotte quotidiane dei nostri giorni per convincerci che molti scioperi si realizzano senza che ci sia un impulso dì rivendicazione economica, spesso sono scioperi di solidarietà con un compagno, o contro un caporale troppo zelante. Ignorare il desiderio di maggiore libertà individuale dell’uomo significa non comprendere l’efficacia di una delle forze più elementari dell’evoluzione della storia umana. La prova l’abbiamo avuta con i bolscevichi. Il fatto che il bolscevismo sia un acerrimo nemico di tutte le tendenze libertarie socialiste lo ha portato ad essere controrivoluzionano. Leggiamo le seguenti parole dì Bukarin per farci un `idea della ostilità bolscevica a1la Liberta:”la repressione proletaria, cominciando con le esecuzioni e concludendo con i lavori forzati, anche quando possa sembrare un paradosso, è il metodo per trasformare il materiale umano dell’epoca capitalista in umanità comunista’ Ci fa venire alla mente la tenebrosa figura di Torquemada, che accompagnava le sue vittime agli “auto da fè” con lacrime agli occhi e sosteneva che soltanto il rogo può convertire i ribelli in servi fedeli della chiesa. Il proposito di Torquemada era il trionfo della Santa Chiesa, lo scopo di Bukarin è costruire l’umanità comunista, i metodi per raggiungere lo scopo hanno la stessa matrice ideologica. Le parole di Bukarin non hanno un significato meramente platonico, ma tragico.

Sotto il predominio bolscevico il lavoro è stato completamente militarizzato e sottomesso ad una disciplina ferrea. A questo proposito scrive un operaio comunista nel numero 13 del “Metalista”: “nelle fabbriche di Krostoma si ebbe una sottomissione completa dei lavoratori agli ordini del direttore. Tutti gli ordini del Comitato del Lavoro concordano con gli ordini di vertice della direzione. Chi rimane fuori dal lavoro senza autorizzazione della direzione, perde le razioni extra. Chi rifiuta il lavoro straordinario è punito allo stesso modo. Chi giunge tardi al lavoro è punito con la sottrazione di due settimane di salario”. Il governo dei soviet promulgò una intera montagna di decreti per spiegare ai lavoratori che è indispensabile per gli interessi del Paese applicare alle fabbriche la stessa disciplina assoluta dell’esercito, ma i lavoratori non vollero accettare in nessun modo le condizioni. Nel 1920 iniziò un movimento di protesta con scioperi nella maggior parte dei centri industriali del paese, provocato dalla militarizzazione del lavoro. Per rendersi conto della forza del movimento diamo un’occhiata alle statistiche del comitato centrale del Segretariato Operaio: 1) Ci furono scioperi nel 77″ delle industrie medie e grandi; 2) scioperi al 90% nelle fabbriche nazionalizzate; 3) in alcune fabbriche ci furono 3, 4, scioperi durante tutto il tempo; 4) il numero maggiore di scioperi si ebbe a Pietrogrado, il minore a Kasan. Un manifesto dei lavoratori di Pietrogrado che fu pubblicato durante gli scioperi, poco prima della insurrezione di Kronstadt, riflette bene la disposizione degli scioperanti. Dice il manifesto: la nostra esistenza è come una condanna ai lavori forzati per tutta la vita, dato che bisogna obbedire agli “ordini”. Non siamo più liberi, siamo schiavi. In “Ispezione di contadini ed operai per la revisione dei carceri di Mosca”, apparso nel giugno del 1920, si legge: “Nel carcere di Butirka, a Mosca, ci sono 152 lavoratori che furono arrestati per aver partecipato ad uno sciopero il primo di marzo…”. Tutti questi scioperi furono repressi brutalmente dal governo bolscevico. Molti lavoratori furono condannati a morte e fucilati. In ogni fabbrica ci sono state spie di partito per annusare l’aria che tira presso gli operai, chi osa dire una parola contraria è arrestato e rinchiuso in galera. Così terrorizzano la classe operaia e si strangola il libero pensiero. E questa vergognosa tirannia è il mezzo che occorre a Bukanin ed ai suoi compagni per trasformare il materiale umano dell’epoca capitalista in umanità comunista”. Questi metodi non ci convincono. Anzi provocano reazioni contrarie e la crudele esperienza ci ha dato ragione. Il metodo bolscevico, invece di condurre la Russia verso “l’umanità comunista”, ha compromesso il comunismo ed ha impossibilitato la sua realizzazione, Invece dì creare la umanità comunista si è avviato al capitalismo. In queste condizioni non c’è speranza di poter trasformare il materiale umano dell’epoca capitalista in umanità comunista, come pretende Bukarin. “La dittatura del proletariato” creò un nuovo tipo di tiranno e convertì la Russia nei paese più schiavizzato del mondo e andò in rovina del tutto quando i suoi rappresentanti vollero riorganizzare la vita economica e sociale. Non c’è dubbio che ogni intento di riorganizzare la vita economica avrebbe dovuto superare tutta una serie di ostacoli. Le terribili conseguenze di una guerra lunga ed orribile, la scarsità delle materie prime e del ferro, le cattive vie di comunicazione, e tanti altri fattori di cui i bolscevichi non furono certamente responsabili. S’intende che il tentativo di ricostruzione della vita economica e sociale su basi nuove comporta un enorme impegno. Il rimprovero che tacciamo ai bolscevichi è che con i loro metodi violenti distrussero ogni possibilità veramente rivoluzionaria di costruire una nuova società, un uomo nuovo. Con la repressione di tutte le iniziative che partivano dal basso essi stessi distrussero la forza costruttiva della rivoluzione e dettero origine allo sviluppo abnorme della burocrazia, nelle cui sentine si spensero le ultime fiammate rivoluzionarie,

Essendo seguaci fedeli di Marx, i bolscevichi tentarono di organizzare il lavoro in un grande quadro industriale e per questo ignorarono al completo le piccole industrie in cui videro solo un intoppo alla loro centralizzazione. Tutti sanno che le grandi imprese industriali prosperano solo se fanno conto su una buona amministrazione e su elementi di prima classe. Ma in Russia gli elementi adatti non abbondavano certamente. I bolscevichi allora, posero commissari del partito, ignoranti e poco idonei, che controllassero i lavoratori ed i dirigenti e determinassero la loro attivata, In questo modo soffocarono ogni iniziativa privata, sotto-mettendo il lavoro ad un modello vecchio, ed il risultato fu rovinoso. Quando le piccole e medie industrie andarono in rovina, le cooperative russe proposero al governo che le fabbriche fossero affidate al loro controllo. Un governo che dice di voler instaurare il comunismo dovrebbe accettare di buon grado questa proposta. Prima di tutto le cooperative avevano elementi organizzati ed esperti, ed in secondo luogo avrebbero potuto essere buoni intermediani tra la città e tutto il paese perché avevano molti iscritti nelle campagne Ma questo non era quello che il governo voleva. Un legame diretto tra l’operaio ed il contadino senza l’intervento del commissario sarebbe stato contrario alle leggi della burocrazia. L’offerta fu rifiutata dal governo. Oggi pero si riaffidano le fabbriche ai padroni capitalisti per incrementare l’attività produttiva delle piccole industrie e favorire l’esportazione dei prodotti in tutto il paese. Ciò che fu negato alle cooperative è oggi affidato ai capitalisti, insieme ai loro primitivi diritti. Questo esempio è tipico. Questo metodo fece perdere ai lavoratori ogni interesse verso il lavoro. L’aver condannato i lavoratori ai lavori forzati, l’averli sottomessi agli ordini dei “capataz” senza possibilità di opposizione, soffocò in essi ogni senso di responsabilità, ogni aspirazione a interessi collettivi. Il lavoro forzato non sviluppa l’amore al lavoro. Solo lo sviluppo del senso di responsabilità, la libertà individuale, legano ognuno agli interessi della collettività. Il metodo geniale del “lavoro attraente” che sviluppò Fourier più di cento anni fa, non influì sui giacobini comunisti della Repubblica Russa dei Soviets. Kropotkin scrive con ragione nella sua opera “Richiamo) ai lavoratori dell’Europa occidentale”: “In Russia stiamo imparando come non deve essere imposto il comunismo, neppure ad una popolazione stanca dal vecchio regime che non oppone nessuna resistenza all’esperimento fatto dai nuovi governanti. L’idea dei soviets con facoltà di con trottare la vita politica ed economica del paese è grande, ma quando la vita economica e politica di un paese è governata dalla dittatura di un partito è evidente che i consigli operai e contadini perdono ogni significato. Sono ridotti al ruolo di “stati generali’ Un consiglio del lavoro cessa di essere un corpo consultivo libero ed efficace quando nel paese non esiste la libertà di stampa e questa è la situazione in cui ci dibattiamo da due anni a questa parte, col pretesto che si vive in stato di guerra. I consigli degli operai e dei contadini perdono ogni significato quando le elezioni non sono precedute da una campagna elettorale libera e quando le elezioni si effettuano sotto la pressione della dittatura di un partito. Come è naturale, la scusa corrente, la legge dittatoriale è presentata come una necessità per combattere l’antico regime. Ma una legge di questo tipo è una retro-cessione dal momento in cui la rivoluzione si dà il compito di ricostruire una nuova società su una nuova base economica. Implica una condanna a morte per la nuova costruzione. Oggi abbiamo chiaro che la “dittatura del proletariato” ha conseguito solo il fine di distruggere la rivoluzione socialista usando mezzi dispotici. Questo è il significato della politica bolscevica per la storia futura”. Capitolo 11: LA TERZA INTERNAZIONALE COME STRUMENTO DEL GOVERNO RUSSO

Non siamo i soli a vedere in questo modo la situazione della Russia. Anche i capi dei partiti comunisti nei diversi paesi di Europa, che non si sono ancora convertiti del tutto alle tesi russe sanno quello che succede laggiù. Ma la maggior parte di loro non ha sufficiente forza morale per denunciare pubblicamente i fatti. tutti sanno che il partito socialista italiano fu il primo a convertirsi alle tesi di Mosca. L’Avanti, organo ufficiale del partito, glorificò Lenin con un entusiasmo quasi religioso, ed il partito socialista italiano si dichiarò in favore di Mosca. Ma, dopo che alcune delegazioni di bolscevichi italiani ritornarono dalla Russia, velatamente cominciarono a circolare certe notizie, ed in alcuni di loro l’entusiasmo iniziale si affievolì enormemente. Avevano visto il paradiso comunista. Pubblicamente non lo fecero notare, anzi la loro stampa continuava a osannare la Russia, ma alcune notizie arrivarono anche alla stampa borghese, che ovviamente, non tacque. Da Mosca giunsero ordini agli italiani, perché questi purificassero le file del partito dagli elementi insicuri. L’epurazione diede origine alla divisione del partito. In questo periodo di lotta fra fratelli, Serrati, redattore capo dell’Avanti, una delle personalità principali della Terza Internazionale, diede a Lenin la seguente risposta: “Non pretendo di discutere rispetto alla proposta di espellere da tutte le organizzazioni proletarie, politiche, industriali, cooperative, culturali tutti i vecchi capi per sostituirli con comunisti. In Italia mancano gli uomini adatti. E’ possibile che alcuni di coloro, giunti da poco da noi e che si definiscono intransigenti comunisti, occupino il potere. Ma questo sarà un pericolo per il nostro, partito. Voi conoscete bene questo pericolo, perché è uno dei mali peggiori che debba sopportare la repubblica. Dalla rivoluzione di Ottobre il partito russo ha acquistato un numero di membri dieci volte maggiore di quello che aveva prima; ma non ha guadagnato granché con questo perché forte è la disciplina e dure le epurazioni periodiche. Il merito della rivoluzione rimane a voi, ma i `tribuni della rivoluzione’ sono i responsabili di questi errori e di queste bassezze. Essi furono i responsabili di questa burocrazia temeraria e futile, coloro che vollero crearsi nuovi privilegi nella repubblica sovietica, mentre la massa dei contadini e degli operai dovette sopp0rtare il peso enorme senza goderne i privilegi. Coloro che spargono il terrore tutto intorno, che mirano solo a interessi personali sono i rivoluzionari di ieri; sono quelli che hanno fatto della rivoluzione proletaria uno strumento per assicurarsi il potere. Noi diffidiamo di questi `rivoluzionari’ e ci penseremo bene prima di affidare loro la direzione del nostro partito Le parole di Serrati ci fanno vedere che persino nei circoli comunisti non ci si ingannava sulla situazione russa. Era un crimine tacere i soprusi fatti alla classe operaia, ma, probabilmente, temevano di passare per controrivoluzionari se denunciavano la verità. Così si comprende perché Serrati sia stato scomunicato e tacciato da controrivoluzionario. Si sa ormai che a Mosca lodi e censure sono regolate dalle leggi della domanda e dell’offerta come nel commercio. Basta ricordare l’affare Daumig in Germania. Lenin stesso qualificò Daumig come “filisteo codardo” e “reazionario”, ma quando questi si affiliò al partito comunista andarono nel dimenticatoio i graziosi appellativi affibbiatigli, e Daumig arrivò ad essere membro del comitato centrale del partito. Con la fondazione della Terza Internazionale il governo sovietico creò un organo di propaganda in favore della sua politica tra i lavoratori dei diversi paesi. In un primo momento non si sapevano con esattezza i fini e gli scopi di questa organizzazione La fine della seconda Internazionale, allo scoppiare della guerra, e l’influenza che la rivoluzione russa aveva sulla classe operaia di tutto il mondo, fecero sentire a tutti il bisogno di una internazionale, specie in quei paesi che vivevano in una situazione rivoluzionaria. Per questo la fondazione della Terza Internazionale fu salutata dappertutto con una certa simpatia. Il nostro caro amico Errico Malatesta prese una posizione ben precisa su “Umanità

Nova”: “Che tipo di corporazione è la Terza Internazionale, da avere un aspetto cosi misterioso? Il suo prestigio è dovuto al fatto che l’iniziativa viene dalla Russia rivoluzionaria? Ma perché è circondata da una nuvola di mistero? Ha forse un programma così preciso che possa essere accettato da tutte le varie tendenze che vi hanno aderito? Il programma, formulato nel primo congresso, purè forse discusso? E in quale posizione si porre il congresso? Sara realmente disposto ad ammettere delegati di tutte le organizzazioni operaie e di tutti i partiti rivoluzionari, affinché siano garantiti a tutti uguali diritti? Saranno invitati anche gli anarchici a partecipare alle sue deliberazioni? Ma se la Terza Internazionale persegue solamente lo scopo di creare un `organizzazione partitica socialista, con l’intento di impossessarsi del potere politico ed instaurare una dittatura dei proletariato `retta da uno stato autoritario “socialista”allora noi non abbiamo niente a che fare con loro. Una vera Internazionale dovrebbe riunire nelle sue file tutti i lavoratori che perseguono gli interessi della loro classe, tutti i lavoratori che gemono sotto il giogo dei padroni e che vogliono liberarsene, tutti i lavoratori che vogliono lottare contro il capitalismo. In una Internazionale di questo tipo potrebbero unirsi anarchici, socialisti e sindacalisti, facendo in modo che nessuna tendenza debba rinunciare ai propri scopi ed ai propri metodi. Così, ognuno potrebbe trovare il campo per la sua propaganda ed allo stesso tempo organizzare una forza potente per dare impulso alla masse perché si preparino cui una lotta decisiva. Questo è il giorno che auspichiamo’. Oggi ben conosciamo i propositi e le aspirazioni della Terza Internazionale, e possiamo constatare che Malatesta aveva visto giusto. I famosi 21 punti che il secondo congresso della Terza Internazionale approvò, aprirono gli occhi a tutti coloro che avevano un po’ di spirito d’indipendenza. Il centralismo sviluppato fino al più alto grado è la negazione della nostra libertà, la soppressione di ogni iniziativa personale, ed è tanto più pericoloso in quanto tende a trasformare tutto il movimento operaio in un branco di pecore che ubbidiscono ciecamente agli ordini del padrone. Così come in Russia ogni iniziativa indipendente era stata strangolata, e ogni opposizione rivoluzionaria stroncata con la galera e la fucilazione, con la Terza Internazionale si cercò di porre il giogo a tutto il movimento operaio internazionale. Se questo intento avesse trionfato, ogni vero movimento socialista sarebbe sparito dalla faccia della terra. I 21 punti sono il codice della più schiava sottomissione, con i quali Mosca tentava di assoggettare tutto il movimento operaio internazionale. La cosa era pazzesca ma tuttavia si cercò, addirittura, di imporre i 21 punti nella pratica politica. E questo accadde nella rivolta di marzo in Germania; questa sanguinosa tragedia fu il prezzo che i lavoratori pagarono per questa politica di assoggettamento. Gli operai della Germania furono spinti in una rivolta che sarebbe fallita inevitabilmente, perché non vi erano in quel momento le condizioni per una sollevazione delle masse. Essa fu solo un prodotto della dittatura. Le dichiarazioni del dottor Levi e compagni contro la centrale del partito comunista e le polemiche che essa sollevò ci aiutano a capire qualcosa di questo oscuro affare. Oggi sappiamo che quando Levi dichiarava: “la causa prima di questa agitazione non viene dai tedeschi” ma siccome Mosca era interessata a questo movimento, non c’è dubbio che preparò le cose per bene. Il governo russo era in una situazione critica, i grandi scioperi di Pietrogrado e l’insurrezione di Kronstadt avevano creato in Russia la psicosi che il governo dei bolscevichi corresse seri pericoli. Occorreva pertanto instradare le masse verso altra via. Eccoci dunque alla rivolta della Germania. La stampa governativa russa pubblicò notizie deliranti di questa rivolta, si parlava di una nuova rivoluzione, si diceva che la rivoluzione mondiale era vicina ed altre ridicolezze. Nello stesso tempo che si fucilavano gli anarchici di Kronstadt e si dava la caccia a tutti i veri rivoluzionari in tutta la Russia, si soffiava sul fuoco affinché i lavoratori tedeschi si sollevassero e la loro rivolta servisse da paravento alla politica reazionaria di Mosca. A questo scopo impiegarono i mezzi più vergognosi: i capi del Partito Comunista Tedesco ingannarono i lavoratori e diedero loro un falso quadro della situazione. Raccontavano che

Berlino era in fiamme, che i lavoratori del distretto della Ruhr erano in rivolta ed altre fandonie. La verità era che il 9O’~ dei lavoratori non ci pensava nemmeno, ma grazie a quelle menzogne, centinaia, tra gli operai che si sollevarono, furono incarcerati o assassinati. Oggi i lacchè di Mosca devono stare zitti quando Lenin, Trotzky e Radek li trattano apertamente da utili idioti, per la cieca obbedienza agli ordini di Mosca. Questo è un esempio della politica machiavellica che Mosca pratica con abilità e successo. Capitolo 12: L’INFLUENZA DEL BOLSCEVISMO SUL MOVIMENTO OPERAiO INTERNAZIONALE

Chi voglia rendersi conto della influenza negativa che il bolscevismo ebbe sui partiti comunisti di molti paesi, si legga la circolare che la centrale di Berlino del “partito comunista unito” inviò nel maggio deI 1921 a tutti i rami della sua organizzazione. In questa circolare sono poste in un certo rilievo tante cosiddette “note informative” e si legge anche che alcuni affiliati della organizzazione hanno il compito di spiare altri membri ed essere al corrente delle loro azioni ed opinioni. Riporto alcuni brani: “Le note informative sono il frutto di un’attenta indagine su vari fatti politici e militari; ogni compagno che vi si dedichi deve rendersi conto del valore rivoluzionario che nasce da questo lavoro, perché in caso di lotta aperta, si arriverebbe a sapere quanti si manterrebbero passivi e quanti ne prenderebbero parte, chi possiede armi, se ci sono depositi clandestini, se in case di controrivoluzionari si svolgono riunioni segrete, ecc. E’ importante coltivare amicizie nei confronti dei soldati, della polizia, dei lavoratori indifferenti ecc. Un membro del Partito, nel suo campo di lavoro, deve sapere vita morte e miracoli dei suoi compagni e conoscere in conseguenza l’atteggiamento che questi adotterebbero in caso di rivoluzione Cosi viene dunque corrotta la tempra rivoluzionaria dei lavoratori, facendone delle spie. La vergognosa istituzione della Russia bolsevica, la famosa CEKA. stende già la sua ombra sulla Germania. In tutte le frazioni del movimento operaio internazionale stiamo vivendo i risultati di questa politica di odio e di sfiducia. Non c’è stato alcun precedente periodo storico cosi agitato come ora. Mai, c’è stata tanta divisione nel movimento operaio, fino a quando una organizzazione socialista, con il suo organo la Terza Internazionale, ha opposto tanti ostacoli alla unione operaia. Nonostante questo mi pare ingiusto non riconoscere le buone intenzioni dei lavoratori iscritti al Partito Comunista. Essi sono onestamente convinti della correttezza e convenienza dei loro metodi, anche perché i dirigenti li imbottiscono dell’idea che la loro tattica è la quintessenza della saggezza politica. Questo è il motivo per cui nei circoli comunisti si anela a creare il cosiddetto “fronte unico del proletariato”. Si sente la necessità di una unificazione e si crede di poterla realizzare nel miglior modo possibile per mezzo di una forma ferrea di organizzazione centralizzata. Perciò si vuole vedere nella Terza Internazionale la base di questa unificazione e si spera sempre che questa arrivi ad abbracciare tutto il movimento internazionale. Se l’unificazione di un movimento non fosse altro che una fusione meccanica di forze, allora i famosi 21 punti del Secondo Congresso di Mosca sarebbero serviti a realizzare questo sogno, perché la tendènza centralista supera ogni limite. La qualificazione meramente meccanica dei fatti è il segno caratteristico di ogni direzione ideologica organizzata militarmente, e dimostra lo stesso timore cieco nei confronti dei fattori vivi della storia, che fino ad ora fu il tratto caratteristico di tutte le

dittature. Se il movimento socialista giungesse ad essere la vittima di questo metodo, significherebbe che ormai non nutre alcuna aspirazione libertaria e veramente socialista, che ha cessato di essere rivoluzionario. Si parla di unificazione del movimento operaio, ma tale unificazione è immaginata solo nei limiti ristretti di un partito con un preciso programma. Ma il socialismo che è l’anima del movimento operaio, e che lo ispira con la forza vitale di un nuovo essere sociale, non è una strada con ferrei limiti, ma si trova in costante evoluzione e conduce all’incessante rinnovamento nella conoscenza e nella concezione dei diversi fatti della vita sociale. Se non succedesse ciò, si avrebbe solo un dogma morto, giacché nel momento in cui giunge ad essere dimenticato il germe del suo vero essere, rovinerà come concezione mondiale e come movimento di massa. Per questo ciascuna delle sue diverse tendenze ha la sua esistenza giustificata, perché ciascuna di esse ci mostra aspetti e prospettive interamente nuove e fatti nuovi. A chi non è capace di concepire questa verità elementare, risulterà sempre un fatto puramente meccanico, che non può unire organicamente. La vecchia Internazionale influì poderosamente sull’evoluzione del movimento operaio europeo solo perché i suoi fondatori compresero il significato profondo di questo principio elementare, che fu per essi il punto essenziale per realizzare la organizzazione interna della unione operaia, poiché mentre l’Internazionale si mantenne dentro questo principio, si sviluppò vigorosamente vivificando con le sue idee creatrici tutto il movimento operaio. L’Internazionale aveva un’idea fondamentale per associare tutte le tendenze tra le sue fila: la soppressione del salario da schiavo e la riorganizzazione della società sulla base del lavoro comune in tutte le sue forme. Annunciò ai lavoratori che l’emancipazione sociale poteva essere raggiunta dai lavoratori stessi e lasciava libere le associazioni di lottare con tutti i mezzi, che ritenevano validi, e di fare la propaganda come meglio credevano. Nel momento in cui il Consiglio generale di Londra, completamente sotto l’influenza di Marx, realizzò l’intento di distruggere questo diritto elementare e di sopprimere l’autonomia delle sezioni e federazioni pretendendo di imporre la partecipazione alla attività parlamentare, ruppe l’unità della lega operaia dando origine ad una divisione gravissima, le cui tragiche conseguenze le viviamo oggi. La vecchia Internazionale era una unione di organizzazioni e gruppi socialisti. Il punto principale della sua organizzazione consisteva nel fatto che i suoi membri appartenevano a diversi partiti politici, nella loro qualità di produttori, minatori, marinai, contadini e tecnici. Fu una vera Internazionale, l’unica ad aver meritato questo nome. L’ala radicale, il cui rappresentante più conosciuto fu Bakunin, non volle privare i lavoratori tedeschi del diritto di partecipare alla attività parlamentare, e quando la conferenza di Londra (1871) si oppose a questo diritto, si ebbe la fine della unione organica della classe lavoratrice, che aveva trovato nella Internazionale la sua espressione più valida. La cosiddetta Seconda Internazionale fu, sin dalle origini, invece di una Internazionale proletaria, una Internazionale di partiti operai socialisti uniti sulla base comune della azione parlamentare. Con l’esclusione degli anarchici e di tutte quelle tendenze che rifiutavano come fine per realizzare il socialismo la conquista del potere politico, cesso di essere una lnternazionale operaia socialista perché rappresentò solamente una determinata tendenza del movimento operaio nel mondo delle idee socialiste. Completamente identica è la posizione della Terza Internazionale, la cui attuazione pratica è stata finora irrilevante, salvo che non si voglia prendere come risultato le continue divisioni che origina nel movimento operaio. Il piano originale dei suoi creatori, senza contare il ruolo che giocarono gli interessi statali dei bolscevichi, fu quello di dare origine ad una unione internazionale di tutti gli elementi estremisti del

movimento operaio, in attesa della rivoluzione mondiale. Neppure in questo caso si può parlare di una vera Internazionale operaia, né di una fusione di partiti operai, dato che in essa si unificarono solo una minoranza insignificante di partiti. Lo stesso Lenin d principio comprese la situazione e, nel vedere che la Terza Internazionale non aveva molta importanza, cercò di farne un’unione di sindacalisti sotto il controllo del partito comunista russo. Ma questa soluzione non ha avuto successo anzi ha causato a Mosca diversi grattacapi. E’ necessario ai fini di una crescita rivoluzionaria che le piccole minoranze abbiano il diritto di unirsi internazionalmente. Ma che realizzino la loro propaganda con onestà, che non si introducano nelle altre organizzazioni con il proposito di pregiudicarle o utilizzarle ai loro tini politici. Questo nuovo gesuitismo è tanto pericoloso quanto quello della compagnia di Gesù che giustificava tutti i mezzi quando si trattava di raggiungere un fine determinato o quando cercava di salvare gli interessi della Chiesa. L’origine dei “fini comunisti” in tutte le organizzazioni operaie che non siano di partito non è forse una nuova edizione degli stessi principi gesuiti nel movimento operaio? Qual’è il senso delle famose parole di Lenin: “l’estremismo malattia infantile del comunismo~’? Si deve saper resistere a tutto questo, prestarsi a tutti i sacrifici, impiegare lo stratagemma, metodi illeciti, nascondere la verità solo per poter entrare nelle associazioni operaie e realizzare in queste “l’opera comunista”? Come si fa ad avere fiducia in questo genere di persone che agisce secondo tali principi e giustifica questa tattica in nome della ragione di partito? Non significa questo creare dei corruttori, degli impostori che vogliono rovinare il movimento operaio? Come si può collaborare con queste organizzazioni? Se si leggono attentamente le parole dì Lenin si comprende il segreto dell’arte di un governo i cui rappresentanti distruggono in modo vergognoso la mackhnovicina, e si comprende anche il valore che hanno le notizie di fonte bolscevica. Lo stesso sistema “gesuita” è anche praticato nel partito comunista per comprometterne i vari membri. Dalla Russia vengono inviati agenti con lo scopo di spiare nelle centrali dei partiti comunisti dei vari paesi ed inviare a Mosca le informazioni carpite. Così scrive Levi ex dittatore comunista tedesco nella sua opera “Unser Weg”: “L’osservazione ufficiale del compagno Radek scopre un’altra operazione ancora più vergognosa del sistema dei delegati, la relazione diretta tra i delegati e Mosca. In tutti i paesi in cui questi emissari operano avviene la stessa cosa. E’ un sistema di cospirazione dove i delegati non collaborano mai con le centrali di diversi paesi, ma alle loro spalle e talvolta contro. E’ un sistema che distrugge ogni fiducia in un lavoro comune tra la centrale ed i partiti che vi aderiscono. Perciò lavoriamo in una situazione disperata senza alcuna direzione politica dal centro. L’unica attività che l’Esecutivo sviluppa è lanciare proclami che arrivano troppo tardi e sentenze di condanna che arrivano troppo presto… L’Esecutivo opera come la polizia segreta e la sua influenza oltrepassa i limiti Russi. La situazione è impossibile. Le precise esigenze per trasformare questo stato di cose, il desiderio che mani incompetenti di delegati incompetenti non giungano ad intrappolare la direzione di vari paesi, la volontà di avere una direzione politica invece di una direzione di partito, non significa che si esiga l’autonomia~~. Ora, quest’uomo, che aveva difeso con accanimento i famosi ventun punti, è stato scomunicato dalla centrale dì Mosca. Si aggiunga il fatto che la Terza Internazionale avendo l’aiuto finanziario del governo Russo, è in condizioni di fornire tantissimo materiale propagandistico e che questo, insieme col denaro, attrae moltissimo ogni ciarlatano che dica di operare per il proletariato. Capitolo 13: LA CORRENTE CENTRALISTA

Il centralismo non solo non è stato capace di unificare il movimento operaio, sua grande aspirazione, ma neppure è stato capace di mantenere l’unità tra i partiti comunisti. Anzi, tanto più forti erano le tendenze centraliste tanto più si verificavano frazionismi nei partiti comunisti dei diversi paesi. L’esempio più significativo lo abbiamo in Germania. Nonostante il fallimento del centralismo la linea del partito tende a rafforzarlo facendo appello alla disciplina. Leggiamo questo passo preso dal “Comunista” di Stoccarda, una vera perla nel suo genere: “ogni membro del partito deve essere pronto a sacrificare anima e corpo se il partito lo comanda, non ha più volontà propria”. Anticamente si combatteva per la chiesa, teologi, protestanti e cattolici gareggiavano tra loro con giochi metafisici ed il popolo ascoltava le loro parole con rispettoso fervore. I pochi pensatori di valore erano calunniati e denigrati. Quando più tardi cominciò la lotta per dare allo Stato una forma migliore, i diversi partiti politici giocarono nell’ambito del potere statale lo stesso ruolo che ebbero le diverse scuole teologiche nella sfera del potere della chiesa, cercarono di superarsi per scoprire quale fosse la forma migliore di Stato. Purtroppo pochi sono stati coloro che hanno capito che il nocciolo della questione non è un tipo di Stato piuttosto che un altro, non ha importanza il modo in cui siamo governati, ma il fatto che siamo governati. Il centralismo è diventato un mito della nostra epoca, ci dicono che significa fusione delle forze, concentrazione della volontà proletaria per un determinato fine, unità di azione, ma queste affermazioni non sono che menzogne poiché il centralismo non è stato unificazione di forze ma paralisi, è unità artificiale dall’alto verso il basso che tende a soffocare ogni iniziativa indipendente. Si comprende ora come lo stato sovietico veda nel centralismi la forma più completa di organizzazione Lo Stato coni batte la iniziativa personale, per esso ogni cittadino non è altro che un pezzo di un meccanismo che ha una funzionE specifica nella macchina statale. In poche parole per lo Stato la soppressione di ogni indipendenza individuale è questione vitale. Ma per il movimento operaio rivoluzionario sono necessari, se si vuole raggiungere il proposito a cui si aspira, pensiero indipendente, osservazione critica dei fatti, istinto libertario ed azione. Per questo il centralismo è un fatto reazionario. Per un movimento veramente libertario, il federalismo è l’unica forma di organizzazione possibile. Esso non significa dispersione di forze ma unione delle forze, poiché questa unione è basata sull’azione dei diversi gruppi, e si fonda sulla indipendenza del pensiero e su l’azione. Non cerca di raggiungere il suo proposito dando soluzioni che un gruppo di eletti ha preparato per la massa, ma con la coordinazione volontaria e metodica di tutte le forze che aspirano allo stesso fine. Il centralismo che in Russia ha trovato la sua espressione più alta nella dittatura del proletariato, soffocò la rivoluzione, tornando al capitalismo. In Germania dove nel novembre del 1918 tutto il potere cadde nelle mani dei partiti socialisti, non si costruì la vita economica su fondamenti nuovi. In Russia si sotterrò la rivoluzione con la dittatura, in Germania con la- costituzione. In entrambi i paesi il socialismo peri per la politica di potere dei partiti socialisti. In Germania la politica di potere della socialdemocrazia moderata condusse alla dittatura di Noske; in Russia la politica di potere della socialdemocrazia estremista portò alla dittatura di Lenin e Trotzky. Il risultato fu lo stesso in entrambi i casi: asservimento sanguinoso delle classi proletarie ed il trionfo della nuova reazione capitalista. L’era di Noske fu l’età delle leggi eccezionali del dispotismo socialista; l’era di Lenin è l’era del terrore del partito e della burocrazia, della repressione di ogni libertà e della violazione brutale di ogni dignità umana. Spero che i proletari capiscano che i partiti non sono capaci di riorganizzare la società su di una base socialista perché essi concentrano le proprie forze per la conquista del potere politico cioè della dittatura dall’alto.

Svegliare e sviluppare le masse è la grande missione del socialismo ma questo è possibile solo nell’organizzazione economica delle classi lavoratrici che solo possono realizzare praticamente la società socialista. Perciò educhiamoci per questo compito, apprendiamo come mandare avanti una fabbrica, un’industria, una miniera per saperci regolare in una situazione rivoluzionaria. Questa è l’unica scuola per preparare gli uomini al socialismo. L’unione economica degli operai del braccio e della mente e non il partito sarà il ponte che ci porterà ad una società nuova. Sappiamo che le rivoluzioni non sono pacifiche, le classi al potere non abdicheranno volontariamente i loro privilegi: sarà compito dei lavoratori espropriare il capitale sociale e sopprimere l’apparato politico che fu sempre il mezzo violento per lo sfruttamento delle masse. Questo è il contenuto essenziale della rivoluzione sociale come noi la intendiamo. I lavoratori si debbono liberare di ogni tradizione borghese, dell’idea del potere politico che sia patrimonio di pochi poiché chi ha il potere sempre ne abusa. La liberazione da ogni schiavitù sarà possibile solo quando sparisca l’apparato del potere politico poiché il monopolio del potere è pericoloso come quello della ricchezza. E’ tempo che i lavoratori comprendano che il cosiddetto interesse per la rivoluzione vuol dire talvolta interesse di un determinato partito o interesse di un pugno di politici affamati di potere. Sovietismo e non bolscevismo. Libertà e non dittatura. Tutto il potere ai soviet. Queste sono le parole d’ordine della rivoluzione sociale.