Storie di disertori russi e ucraini

Storie di disertori russi e ucraini.

L’altro esercito dei disertori. «I russi sono stanchi della guerra»

Dall’inizio delle operazioni in Ucraina, Get Lost ha aiutato oltre 400 persone a fuggire dall’incubo dei campi di battaglia. «Negli ultimi mesi abbiamo registrato una crescita delle richieste»

La fuga di Dmitrij Setrakov si è conclusa qualche settimana fa nella città di Gyumri, in Armenia. Il soldato russo aveva abbandonato la sua unità dopo tre mesi di servizio in Ucraina ed era scappato all’estero ma gli uomini del Cremlino l’hanno individuato e rimpatriato forzatamente in Russia dove lo attende un processo per diserzione. «È la prima volta che un disertore viene scoperto e rapito in un Paese terzo», spiega Grigorij Sverdlin, fondatore di Get Lost, un progetto di resistenza civica che aiuta i russi a sfuggire alla coscrizione e ad abbandonare il Paese. Con Setrakov non ci sono riusciti ma in molti altri casi hanno avuto miglior fortuna. Nel suo sito Internet l’organizzazione afferma di aver aiutato finora oltre 22mila persone a evitare l’arruolamento nell’esercito, fornendo loro assistenza legale e psicologica, aiutandole a varcare la frontiera e a ottenere asilo all’estero. Può contare su una rete di esperti fidati e su centinaia di volontari che comunicano con l’app di messaggistica Telegram e raccolgono donazioni attraverso Instagram. «Negli ultimi tre mesi dello scorso anno abbiamo registrato una crescita esponenziale delle richieste di aiuto da parte di soldati che intendono abbandonare i campi di battaglia», sostiene Sverdlin. Da ottobre a dicembre gli attivisti di Get Lost hanno ricevuto in totale 577 domande rispetto alle 305 del trimestre precedente.

Nella maggior parte dei casi a inviarle erano stati soldati che volevano disertare dopo essere stati feriti in battaglia e denunciavano il mancato avvicendamento delle truppe al fronte. Ma ci sono molti altri fattori che giustificano l’aumento delle richieste. «Innanzitutto il sostegno alla guerra non è mai stato così alto come la propaganda ha sempre cercato di farci credere», precisa ancora Sverdlin, che pochi giorni dopo l’inizio dell’attacco all’Ucraina ha lasciato la Russia trovando rifugio in Georgia e nella sua vita precedente lavorava in un’associazione che offriva assistenza ai senzatetto di Mosca e San Pietroburgo. «Certo, in un primo momento c’era un grande zelo patriottico ma adesso a prevalere sono la stanchezza e la delusione. Inoltre i prezzi salgono e le mogli dei coscritti cominciano a protestare. Poi ci sono molti ufficiali di carriera che non vogliono più combattere contro l’Ucraina ma non possono ritirarsi e allora scelgono di disertare. Infine, c’è chi è stato ingannato dopo essersi arruolato per motivi economici e credeva di dover prestare servizio solo per pochi mesi e lontano dal fronte, invece è stato mandato in prima linea e deve restarci a tempo indeterminato».
Dall’inizio della guerra in Ucraina, Get Lost ha aiutato oltre 400 persone a disertare, tra reclute, coscritti e soldati a contratto. Alcuni di essi hanno deciso di restare in Russia sebbene risultino nella lista dei ricercati. Tra le principali destinazioni dei soldati russi in fuga all’estero figurano il Kazakistan, la Turchia e la Georgia. «Siamo riusciti a portarne qualcuno anche nei paesi dell’UE passando attraverso l’Armenia e lo stesso Kazakistan. Nessuno di loro aveva un visto Schengen valido ma ad alcuni è stato concesso asilo politico. Purtroppo è assai più difficile ottenerlo per i disertori che per gli attivisti politici», conclude Sverdlin. «Ci battiamo da tempo contro la burocrazia europea su questo tema, cercando di garantire un percorso chiaro per la concessione dell’asilo ai disertori».

L’Ucraina è stanca della caccia alle reclute. Il fronte fa sempre più paura

Gli uomini fermati in strada, sui bus, al lavoro. Si moltiplicano i casi di diserzioni: 9mila i processi. Cresce il malcontento per i 500mila nuovi soldati, causa di attrito fra Zelensky e Zaluzhny

«Ragazzi, ma cosa state facendo? Non ce l’avete una coscienza?». La donna di mezz’età urla nell’autobus affollato che è stato appena fermato a Odessa. I destinatari della sua invettiva non sono teppisti o scippatori, ma due uomini in mimetica che stanno trascinando a forza un giovane fuori dal mezzo. A lui hanno appena chiesto i documenti, come mostra un video diventato virale sul web. Un gesto che provoca la reazione dei passeggeri. Perché tutti sanno che non si tratta di un controllo ordinario. Anche se non c’è scritto sulla divisa, i due agenti sono il volto di una sigla che negli ultimi mesi sta facendo tremare l’Ucraina: il Tcc. Acronimo sulla bocca di tutta la nazione che sta per “Centro di reclutamento territoriale”. È quella schiera indefinita di “buttadentro nell’esercito” che non sono né poliziotti né militari (ma spesso si tratta di ex soldati) e che hanno un compito: inviare gli uomini al fronte. Senza andare troppo per il sottile. Soprattutto quando una fetta sempre maggiore della popolazione non se la sente più di imbracciare un’arma e trovarsi in trincea.

È uno degli effetti della strategia di logoramento su cui punta la Russia a due anni dall’inizio della guerra. La stasi sui campi di battaglia, gli scarsi esiti della controffensiva lanciata a primavera, il numero crescente di morti al fronte, i terribili segnali di nuove avanzate russe, l’assenza di una prospettiva reale di riconquistare le regioni occupate, la corruzione che dilaga insieme con l’idea che i potenti sfuggano alla leva hanno spento l’entusiasmo di indossare la divisa. E si sta imponendo la «guerra dal salotto di casa», come alcuni generali l’hanno definita sulla stampa ucraina: il Paese sostiene l’esercito che lo sta difendendo, partecipa a collette per i soldati, acquista auto e droni da consegnare ai battaglioni, ma diventa sordo alla chiamata alle armi. Senza più nascondersi. «Nessuno dovrebbe essere obbligato a combattere. Avessi la possibilità, non lo permetterei», scrive il noto blogger Oleksandr Voloshy.

​Ad alimentare le tensioni contribuisce il giro di vite sulla “divisa imposta”: sia con le azioni aggressive dei reclutatori pubblici, sia con la nuova mobilitazione. E sono state proprio le future regole sulla coscrizione uno dei terreni di scontro fra il presidente Volodymyr Zelensky e il generale Valery Zaluzhny, il carismatico capo di Stato maggiore licenziato giovedì. Amato dall’opinione pubblica con oltre l’80% dei consensi, ma soprattutto nelle forze armate che reclamano innesti fra le fila dell’esercito, Zaluzhny è stato la mente della richiesta di 500mila nuovi uomini che il leader ucraino ha annunciato a dicembre. Una cifra che si è trasformata in incubo per la nazione quando ha fatto da base al progetto di legge presentato il giorno di Natale e firmato da Zaluzhny in persona. Disposizioni che sono state ritirate l’11 gennaio dopo la pioggia di critiche e i timori di incostituzionalità.

Risultato? Zelensky, per non finire nel tritacarne dell’impopolarità, ha cancellato ogni riferimento numerico dal pacchetto legislativo ripresentato in Parlamento e appena approvato in prima lettura. «Serve una legge completa ed equa», ha spiegato. E ha chiarito di non ritenere «necessaria la quota del mezzo milione. Non perché voglio compiacere qualcuno». Ma in questo modo il presidente è venuto incontro sia al malcontento della gente, sia alla rabbia delle aziende che, secondo la Confederazione dei datori di lavori, hanno perso 781mila uomini per la coscrizione e soffrono per l’assenza di personale specializzato inviato in trincea. «O si combatte o si lavora», ha sentenziato il capo dello Stato per placare gli animi. «La mobilitazione non piace agli elettori di Zelensky – dice il politologo Viktor Bobirenko -. Ma è una decisione inevitabile. Perciò il presidente intende farla passare non come una sua iniziativa».

Nella legge al vaglio della Camera la stretta rimane: età di ingaggio abbassata da 27 a 25 anni; tre mesi di addestramento per i ragazzi dai 18 ai 25 anni; la cartolina inviata anche per mail; donne medico o paramedico fra i possibili arruolati; ipotesi di far partire i detenuti. Ma non ci sarà un’altra opzione caldeggiata da Zaluzhny: la partenza degli “idonei parziali”, ossia quelli con disabilità e malattie. Poi la risposta a chi accusa i vertici militari di mandare subito in battaglia i neo-arrivati: l’addestramento durerà fra i due e i tre mesi. Non mancano i punti controversi. A cominciare dalle sanzioni per i disertori che si ritroveranno senza auto e soldi: infatti scatterà lo stop alla patente e ai conti correnti. Ma il commissario per i diritti, Dmytro Lubinets, fa sapere che «non possono essere le forze armate a limitare le libertà». E la stampa paventa che i possibili disertori trasferiranno soldi e proprietà ai parenti per aggirare il blocco economico. Poi c’è la rivolta dei dottorandi nelle università che hanno lanciato una petizione perché non saranno più esentati.

Sono 700mila i soldati che hanno bisogno di essere sostituiti. «E non ci sono più volontari», racconta Kum, militare che in due anni ha avuto solo 12 giorni di permesso. «Oggi il peso della guerra grava sui “nati nell’Unione Sovietica”, ossia sui 40-50enni – afferma l’ex comandante Yevhen Dykiy -. I giovani sabotano la mobilitazione». E fra i generali chi c’è vorrebbe che l’arruolamento scattasse già a 22 anni, ma anche che ci fosse il rimpatrio dei profughi all’estero. Le nuove norme bloccheranno i servizi consolari per i “fuggiaschi”. Però «l’evasione alla leva non è motivo di estradizione», ha comunicato la Germania. Più aperturiste Lettonia e Polonia che si dicono disponibili a «individuare le condizioni di rientro come forma di sostegno a Kiev».

Certo, la caccia ai “nuovi soldati” turba il Paese. Si viene fermati e precettati al ristorante, in fabbrica, in palestra. Anche sulle piste da sci della Transcarpazia. O alle frontiere dove sono comparsi posti di blocco per assoldare i conducenti: così è scattata le protesta dell’European Business Association che parla di «panico fra gli autotrasportatori» e di «commesse internazionali a rischio». Per sfuggire ai blitz sono state create reti clandestine che segnalano i movimenti degli agenti, come quella su Telegram con 20mila iscritti scoperta a Cherkasy che monitorava le indagini nei pub. I metodi dei Tcc sono finiti nel mirino. Lo testimonia la denuncia del cantante della band “Intermezzo”, Volodymyr Bilyk, che ha raccontato di essere stato rapito e picchiato in pieno giorno a Chernivtsi dai dipendenti del Tcc. E il blogger Andry Smoliy ha postato il filmato di un uomo costretto a salire su un’auto dei centri di reclutamento. Lo stesso Zelensky ha preso le distanze: «Nessuno dovrebbe essere catturato mentre è in giro».
Il «clima di terrore per le strade», almeno stando alle parole di un deputato, ha fatto scomparire gli uomini dai posti di lavoro e dai luoghi pubblici. Secondo il presidente della Commissione affari economici del Parlamento, Dmytro Natalukha, tre milioni di adulti «in età di leva» hanno fatto perdere le tracce: «Non sono all’estero, non studiano, non lavorano. Non abbiamo più informazioni su di loro». E si moltiplicano i casi di diserzione o mazzette per venire esonerati. Sono 9mila i procedimenti penali già aperti – che si potranno concludere con condanne fino a tre anni – cui si aggiungono 2mila denunce che arriveranno presto nei tribunali, stando ai dati del ministero dell’Interno. Come la vicenda di un giudice che ha aiutato più di mille persone a sottrarsi alla mobilitazione. O quella delle guardie di frontiera che hanno salvato dall’annegamento e poi arrestato un uomo che tentava di varcare il fiume Tibisco per raggiungere la Romania. Un fiume diventato cimitero: sono 19 i morti nelle sue acque pur di lasciarsi alle spalle la guerra e l’arruolamento.

Fonti

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/l-altro-esercito-quello-dei-disertori-i-russi

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/l-ucraina-e-stanca-della-caccia-alle-reclute-la-mobilitazione-fa-paura

La CGT è solidale con le popolazioni colpite dalla Dana della Comunità Valenciana e di Castilla La Mancha

Dalla CGT ( Spagna )

La CGT è solidale con le popolazioni colpite dalla Dana della Comunità Valenciana e di Castilla La Mancha


AnnunciUnioneSociale30/10/2024
Mentre siamo ancora immersi in una catastrofe di enorme portata che sta devastando una parte importante del territorio, in particolare la Comunità Valenciana e Castilla La Mancha, da CGT vogliamo esprimere:

Innanzitutto la nostra totale e incondizionata solidarietà alle vittime e alle loro famiglie. Al momento si parla già di numeri terribili di morti e dispersi e l’impressione è che questi dati possano peggiorare. Siamo con loro, con la loro gente, con i loro vicini della Comunità Valenciana, Murcia e Castilla La Mancha, soprattutto.
Il nostro pieno sostegno ai colleghi dei servizi di emergenza che agiscono nelle zone colpite, sappiamo della loro dedizione e generosità in queste circostanze; anche la loro dedizione in condizioni di lavoro molto difficili. Ancora una volta si rivela l’enorme valore che guida tanti lavoratori nella migliore espressione della loro attività professionale di servizio pubblico.
Naturalmente anche un abbraccio particolarmente forte e fraterno a tutti i colleghi del CGT delle zone colpite. Alla loro gente che è la nostra. A tutti coloro che lottano per un mondo migliore, dove ambientalismo e vivibilità siano condizioni ingiustificabili che orientano le nostre iniziative sociali e sindacali. Vale la pena ricordare che il modello di sviluppo capitalista è in gran parte responsabile di questa situazione.
Infine, la nostra condanna assoluta nei confronti di una classe politica che ha decimato i servizi essenziali per i cittadini, come fu all’epoca la soppressione dell’Unità di Emergenza Valenciana (UVE), o ne ha tenuti altri precari, come nel caso dei vigili del fuoco boschivi a Murcia. Anche a una classe imprenditoriale che ha costretto molti lavoratori a recarsi al lavoro nonostante fossero stati avvisati da giorni di un grande fenomeno meteorologico, come è avvenuto. Questo “allarme rosso” è diventato di banale importanza e dovremo vedere quanti decessi ci sono stati per essersi recati al lavoro nonostante gli avvertimenti.

Non dimentichiamolo: a nulla è valsa la consolazione della classe politica quando si sapeva che ciò poteva accadere.

Solidarietà alle vittime e alle persone colpite.

Solo le persone salvano le persone!

Fonte

https://cgt.org.es/cgt-se-solidariza-con-las-personas-afectadas-por-la-dana-del-pais-valencia-y-castilla-la-mancha/

Da CNT Valencia COMUNICATO SU DANA A VALÈNCIA

 

Da CNT Valencia

COMUNICATO SU DANA A VALÈNCIA:€ LA SICUREZZA SUL LAVORO NON PUÒ ESSERE VIOLATA IN NESSUN CASO
30 ottobre 2024


Dalla CNT València denunciamo tutte le aziende che hanno ignorato gli allarmi e non hanno adottato misure per evitare che i loro lavoratori fossero a rischio.

Innanzitutto, dalla CNT València vogliamo inviare il nostro sostegno a tutte le persone colpite dalla DANA che ha colpito così duramente la provincia nelle ultime ore. Nel momento in cui scriviamo questo comunicato si confermano i primi decessi, più di cinquanta al momento, e un numero crescente di scomparse. Non possiamo che esprimere, inoltre, le nostre più sentite condoglianze e l’auspicio che l’esito sia positivo in tutti quei casi attualmente incerti.

Ancora una volta, una situazione di emergenza ci porta a riflettere sulle condizioni lavorative di tante persone. Questo devastante DANA non è stata una sorpresa, ma piuttosto era stato previsto con giorni di anticipo. Ciò significa che c’era margine per le aziende per adottare misure preventive. Tuttavia, ancora una volta, la politica produttiva del sistema capitalista è stata al di sopra dei diritti, della vita, dei lavoratori.

Abbiamo visto sui media, e molti di noi hanno esempi ravvicinati, di come i dipendenti siano stati rinchiusi nelle fabbriche o nei magazzini, così come i professionisti dei trasporti abbiano messo a rischio la loro vita sulle strade. Tutto questo sotto la massima delle aziende di dover andare a lavorare comunque, indifferenti alle evidenti circostanze meteorologiche e, addirittura, ignorando gli allarmi emessi dalle corrispondenti organizzazioni ufficiali.

Non è un evento casuale. E non vogliamo nemmeno che rimanga un aneddoto. Questo è un chiaro sintomo delle pressioni esercitate da molti vertici aziendali e della violazione che esiste in molti luoghi di lavoro. Questa puntata di DANA sta portando alla luce problemi contro i quali noi di CNT combattiamo quotidianamente. La sicurezza e la salute sul lavoro sono un diritto fondamentale e garantirlo dovrebbe essere una priorità costante in qualsiasi lavoro. Nessuna eccezione.

D’altronde è in momenti come questi che ricordiamo l’importanza dei professionisti del settore pubblico che si occupano di questo tipo di emergenze, dai vigili del fuoco al personale sanitario. Naturalmente vogliamo riconoscere il loro lavoro come essenziale, ma chiediamo anche che non cadano nell’oblio quando il vortice passa. Si tratta di gruppi che da tempo reclamano una serie di meritati miglioramenti lavorativi (salari equi, attrezzature e mezzi adeguati, sicurezza, formazione continua, conciliazione familiare, pensionamento anticipato…) che vengono ignorati.

Nel complesso, questa DANA è stata riconosciuta come la più avversa del secolo, causando catastrofi che non si vedevano da decenni nella provincia di Valencia. Stiamo vivendo fenomeni meteorologici sempre più estremi. Succede con le ondate di caldo e, ovviamente, anche con le ondate di freddo. È impossibile mantenere il discorso negazionista o sostenere che sia un’eventualità. Il motivo ha un nome e non possiamo ignorarlo: cambiamento climatico.

Infine, vorremmo sottolineare la solidarietà che la società sta dimostrando. Il sostegno reciproco sarà sempre la nostra vera garanzia di resistenza e di salvezza come cittadini e come lavoratori. Chiediamo che le autorità affrontino con unità e forza le dure circostanze che il popolo valenciano sta affrontando.

Fonte

COMUNICADO SOBRE LA DANA EN VALÈNCIA: LA SEGURIDAD EN EL TRABAJO NO PUEDE VULNERARSE EN NINGÚN CASO