Donne curde: ridefinire la libertà attraverso la resilienza
Di: Dott. Shilan Fuad Hussain | 11 febbraio 2025
Quando parliamo di lotta, evochiamo un’immagine antica quanto la civiltà umana: l’eterna tensione tra oppressione e libertà, silenzio e voce, prigionia e liberazione. Ma raramente nella storia questa dicotomia trova un’espressione così vivida come nel viaggio in corso delle donne curde nel Rojava (Siria settentrionale) e nel Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale). La loro storia è una storia di sfida, resilienza e trasformazione, un racconto che sposa poesia e resistenza, e una storia che esige sia la nostra ammirazione che la nostra solidarietà.
Le donne curde sono state a lungo legate da un retaggio di emarginazione, non solo dalle tradizioni patriarcali delle loro comunità, ma anche dai regimi oppressivi che hanno cercato di cancellare l’identità curda stessa. Eppure, da queste ceneri, sono risorte, come una fenice, come leader, guerriere e visionarie. Sono artefici di una rivoluzione femminista, un’avanguardia nella lotta per l’uguaglianza di genere in alcuni dei terreni più ostili immaginabili. La loro lotta, sebbene specifica del loro contesto culturale e storico, risuona universalmente, chiamando tutti noi a reimmaginare le possibilità di libertà.
Ma per comprendere la portata dei loro successi, dobbiamo prima riconoscere il contesto della loro oppressione. Per decenni, le donne curde in Iraq, Siria, Turchia e Iran sono state emarginate tre volte: come curde all’interno di stati-nazione oppressivi, come donne all’interno di società profondamente patriarcali e come individui all’interno di un sistema globale che spesso ha trascurato la loro situazione. Il Rojava, la regione autonoma nel nord-est della Siria, e il Kurdistan iracheno sono diventati crogioli della loro resistenza.
Nel Kurdistan meridionale e in Iraq, le cicatrici della campagna di Anfal rimangono impresse nella memoria collettiva: un assalto genocida sotto il regime di Saddam Hussein che ha causato decine di migliaia di vite curde, lasciando innumerevoli donne vedove, sfollate e vulnerabili. Allo stesso modo, nel Rojava, la guerra civile siriana ha creato un vuoto di governance e sicurezza, in cui la violenza patriarcale, le ideologie estremiste e la negligenza sistemica hanno minacciato di travolgere le donne curde.
Ma le donne curde non hanno accettato la vittimizzazione come loro destino. Al contrario, l’hanno ridefinita, brandendo la loro oppressione come arma di sfida, forgiando solidarietà e creando spazi per autonomia, diritti e dignità.
Da nessuna parte questa sfida è più evidente che nel Rojava, dove le donne curde hanno guidato una rivoluzione femminista ed ecologica che sfida non solo il patriarcato, ma anche le strutture stesse dello Stato e del capitale. Al centro di questa rivoluzione c’è il principio della “Jineologia”, una filosofia femminista curda che deriva dalla parola curda per “donna”, jin, e rivendica il ruolo centrale delle donne nella società.
La Jineologia si discosta radicalmente sia dai ruoli di genere tradizionali che dal femminismo liberale occidentale. Insiste sul fatto che la liberazione della società nel suo complesso è impossibile senza la liberazione delle donne. In Rojava, questa filosofia si è tradotta in strutture di governance tangibili. Le donne prestano servizio a tutti i livelli della leadership politica, dai consigli locali al comando militare. Il sistema di co-presidenza impone che ogni posizione di leadership sia condivisa da un uomo e una donna, assicurando la parità di genere nel processo decisionale.
Non si tratta solo di un simbolo. Le donne del Rojava hanno riscritto leggi che un tempo legittimavano matrimoni forzati, delitti d’onore e violenza domestica. Hanno costruito case per le donne, centri di istruzione, mediazione e supporto, e fondato cooperative per promuovere l’indipendenza economica. Questi sono atti di rivoluzione silenziosa, radicati non solo nella teoria, ma nella trasformazione vissuta e pratica.
Il mondo ha notato per la prima volta la lotta delle donne curde durante la battaglia di Kobane nel 2014, quando le immagini di giovani donne in divisa mimetica, armate di Kalashnikov, hanno iniziato a circolare sui media globali. Queste donne, membri delle Women’s Protection Units (YPJ), erano in prima linea contro l’ISIS, una delle forze più brutali e misogine del XXI secolo. Il loro coraggio e la loro brillantezza tattica hanno cambiato le sorti della battaglia, strappando Kobane alla morsa dell’ISIS e guadagnandosi l’ammirazione del mondo.
Ma questa non è solo una storia di trionfo militare. Per le donne dello YPJ, la resistenza armata è un’estensione della loro ideologia femminista. Non combattono solo per la sovranità territoriale, ma per una liberazione più ampia dal patriarcato e dall’autoritarismo. Ai loro occhi, la pistola non è uno strumento di dominio, ma un veicolo per smantellare le strutture di oppressione.
Nel Kurdistan iracheno, la lotta per i diritti delle donne ha preso una strada diversa ma ugualmente significativa. Qui, le donne curde sono emerse come attiviste, politiche e sostenitrici, sfidando le norme culturali radicate e spingendo per le riforme legali.
Organizzazioni come la Kurdistan Women’s Union e la Kurdistan Women’s Rights Organization hanno condotto campagne instancabili contro la violenza di genere, il matrimonio infantile e le mutilazioni genitali femminili. I loro sforzi hanno portato a importanti vittorie legali, tra cui la criminalizzazione degli omicidi d’onore e l’istituzione di rifugi per le sopravvissute alla violenza domestica.
Tuttavia, il progresso è fragile. Le norme tradizionali e l’instabilità politica continuano a rappresentare delle sfide. Per ogni donna che entra in parlamento o guida una protesta, ce ne sono innumerevoli altre le cui voci rimangono inascoltate, i cui diritti rimangono inesauditi. Ma anche qui, le donne curde traggono forza dalla loro lotta collettiva, rifiutandosi di cedere di fronte alle avversità. C’è anche la situazione preoccupante in cui molte attiviste curde sono prese di mira da attacchi con droni o assassini da parte dell’esercito turco, come abbiamo visto ripetutamente negli ultimi anni.
Tuttavia, i risultati delle donne curde vanno ben oltre il loro contesto immediato. Sono diventate un simbolo di resistenza e un’ispirazione per i movimenti femministi in tutto il mondo. La loro lotta sfida le femministe occidentali a riconsiderare le intersezioni di genere, etnia e colonialismo. Ci ricorda che la liberazione non è un dono concesso dall’alto, ma una dura battaglia combattuta dal basso.
Le donne curde hanno anche forgiato solidarietà transnazionali, collaborando con organizzazioni femministe in tutto il mondo per amplificare il loro messaggio. Il loro lavoro ci ha mostrato che il femminismo non può essere separato da questioni di giustizia economica, sostenibilità ecologica e autodeterminazione etnica. Deve essere olistico, intersezionale e intransigente. In questo modo, l’ideologia del Confederalismo Democratico è significativa e gli scritti del leader curdo Abdullah Ocalan.
Nel riflettere sulla lotta delle donne curde, non dobbiamo trascurare la sua dimensione poetica. La loro rivoluzione non è semplicemente un atto politico; è anche profondamente culturale. Attraverso i loro canti, le loro danze e i loro racconti, le donne curde hanno preservato la loro eredità e hanno infuso la loro resistenza con un profondo senso di identità e scopo.
Ascoltate le loro voci e sentirete echi di Mala Jin, le case delle donne curde che sono allo stesso tempo spazi di rifugio e rivoluzione. Sentirete i canti di sfida delle donne a Kobane e i discorsi appassionati degli attivisti a Sulaymaniyah. Sentirete i ritmi di un popolo che, persino di fronte a sofferenze inimmaginabili, si rifiuta di rinunciare alla propria speranza.
Per concludere, chiediamoci: cosa ci chiede la lotta delle donne curde? Come minimo, ci chiede di testimoniare. Ci chiede di raccontare le loro storie, amplificando le loro voci in un mondo che troppo spesso le mette a tacere. Ma più di questo, ci chiama all’azione. Ci sfida a smantellare i sistemi di oppressione nelle nostre comunità, a lottare per l’uguaglianza di genere non come un ideale astratto, ma come una realtà vissuta.
Le donne curde ci hanno mostrato cosa è possibile quando il coraggio incontra la convinzione, quando il femminismo diventa non solo una teoria ma una pratica, uno stile di vita. Ci hanno insegnato che la liberazione non è una destinazione ma un viaggio, che richiede di camminare insieme, mano nella mano, verso un futuro in cui ogni donna, ovunque, possa vivere libera. Questa è la vera essenza dello slogan curdo “Jin, Jiyan Azadi” (Donne, Vita, Libertà), che puoi sentire cantare in tutto il mondo.