Continua la pubblicazione di documenti per non farci rubare la memoria. Questa volta, dopo una breve citazione di Camilla Cederna, si tratta dell’esperienza di Pietro Valpreda, anarchico a Milano.
“Per questo il caso Pinelli è importantissimo. Importantissimo perché, se è necessario che gli scandali avvengano, è colpevole lasciarli smorzare in un clima di rassegnato torpore. Pinelli è stato la vittima innocente di un gioco più vasto e più crudele, anche sul quale va fatta luce al più presto, cioè il caso Valpreda. Ristabilire la verità sulla sua morte è un dovere politico e morale; è indispensabile per aiutare a far sì che la giustizia in Italia non sia soltanto quella statua melensa ritta nel cortile di un tribunale che ai è rivelato incapace di assolvere i suoi compiti. Ed è la premessa per evitare che vi sia una seconda vittima innocente: Pietro Valpreda.”
( Camilla Cederna “Pinelli Una finestra sulla strage” ).
Il caso Pinelli e il caso Valpreda sono indissolubilmente intrecciati e se subito dopo la strage di Piazza Fontana era un dovere morale ristabilire la verità, ai giorni nostri è un dovere morale difenderla, non si può ricordare Pinelli senza ricordare Valpreda.
Siamo nel 2019, cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana, dell’assassinio di Pinelli e dell’incarcerazione dell’innocente
Pietro Valpreda insieme ad altri compagni anarchici.
In questo anno è nostra intenzione e nostro desiderio proporre una serie di iniziative politiche e culturali a difesa della memoria storica, ma anche per un rilancio delle lotte sociali. Non dimentichiamo che proprio per fermare le lotte per una società più giusta sono scoppiate le bombe.
Rimaniamo in contatto.
Quello che segue è un brano tratto da: Valpreda, processo al processo, di Marco Fini e Andrea Barbieri, Feltrinelli febbraio 1972
Anarchico a Milano
A 21 anni Pietro Valpreda ha già scelto l’anarchia o, come lui la chiama, “l’ideale.” Nel 1953 gira negli ambienti anarchici e radicali milanesi. Lo conoscono come “il ballerino.” In quegli anni il movimento anarchico a Milano praticamente non esiste: un gruppo sparuto si riunisce in un locale periferico dell’ECA, gli animatori sono Giuseppe Pinelli, manovratore delle ferrovie, e Cesare Vurchio, straccivendolo. Valpreda è agli inizi della carriera sul palcoscenico, per la politica ha poco tempo. Ma girando l’Italia ha modo di conoscere gli anarchici attivi nei “covi” di Livorno, Carrara, Genova, Canosa di Puglia. Quando, sul finire degli anni ’50, si stabilisce a Milano e mette su casa in una mansarda al quinto piano di Porta Venezia, i suoi rapporti con l’anarchismo si consolidano. Frequenta la sede del partito repubblicano in piazza Castello e poi la vecchia osteria Al Torchietto di via Ascanio Sforza, dove la sera si discute davanti a un fiasco di vino. Il nonno Paolo gli ha fatto conoscere anche Mario Damonti, eroe del maquis in Francia: da lui passa tutta la vecchia guardia antifascista di Milano. Ma istintivamente Pietro sceglie i più giovani: segue con interesse Pinelli e il gruppo Gaetano Bresci che si dà da fare con manifestini e ciclostilati libertari. La polizia chiude un occhio: gli anarchici sono ancora guardati come degli individualisti anacronistici e innocui.
Nel 1963 un nuovo raggruppamento, la Gioventù Libertaria (Pinelli è tra i fondatori), ridà fiato al movimento milanese. Ci sono perfino dei “botti” davanti a Palazzo Marino e all’Assolombarda: bombe-carta dimostrative per cui viene denunciato Ivo Della Savia, udinese, 25 anni, obiettore di coscienza e anarchico delle nuove leve.
Intanto in tutta Europa corrono fermenti libertari: nelle università tedesche i giovani portano avanti la polemica contro l’autoritarismo e la società dei consumi, in Italia si organizzano le prime dissidenze dal Partito comunista. La sinistra minoritaria si coagula e si scinde a ripetizione, a sinistra del PCI c’è spazio anche per gli anarchici storicamente antimarxisti e anticomunisti. Nelle manifestazioni contro l’imperialismo americano dell’inverno 1964-65 a Milano, le bandiere nere dell’anarchia si incrociano sempre più spesso con quelle rosse della sinistra dissidente. E’ durante una di queste manifestazioni anti-Nixon che Valpreda incontra Ivo Della Savia. L’amicizia continua nelle pizzerie di Porta Garibaldi dopo l’avanspettacolo al Teatro Smeraldo che impegna Pietro tutto l’inverno.
Nel 1965, gli anarchici milanesi aprono finalmente una sede, il circolo Sacco e Vanzetti di via Murillo, angolo piazzale Brescia. I più giovani vi portano gli echi del movimento beatnik americano, del pacifismo di Onda Verde, della rivolta studentesca all’insegna di Adorno e Marcuse. Nel circolo anarchico di via Murillo trova ospitalità anche il gruppo Provo Numero Uno, filiale della fantasiosa “provo-cazione” olandese. Ivo Della Savia va a vedere di persona come vanno le cose in Olanda e in Francia: scrive a Valpreda dei petardi fumogeni e degli happening antiborghesi dei provos, gli manda qualche numero di “Noir et Rouge,” la rivista che persegue la polemica anarco-comunista di “Socialisme ou Barbarie” in cui si formano in quegli anni Daniel Cohn-Bendit e Jean Pierre Duteuil, animatori poi del maggio ’68.
Alla fine del 1967, un rumoroso convegno della gioventù provo e anarchica, organizzato al Sacco e Vanzetti (Valpreda fa da segretario), provoca lo sfratto degli anarchici da via Murillo. Pinelli e compagni si trasferiscono in piazzale Lugano. E’ il Ponte della Ghisolfa, uno scantinato buio e umido, con un piccolo ufficio in cartone e compensato, un tavolone per le riunioni addossato a una parete su cui corre un lungo fumetto di Anarkik, l’omino nero con la bomba che mette in scomposta fuga il prete, il colonnello, lo sfruttatore e il tecnocrate. Nel nuovo circolo il gruppo di Bandiera Nera, legato all’ortodossia bakunista e all’empirismo combattentistico degli uomini che hanno fatto la Resistenza o hanno militato nei movimenti clandestini stranieri (“anarchici con la farfallona al posto della cravatta, una spiccata vocazione al martirio e un notevole complesso di persecuzione,” come malignamente dicono le nuove leve) coesiste senza attrito con i più giovani, insofferenti delle regole e in cerca di un dialogo con le forze politiche marxiste. Giuseppe Pinelli fa da mediatore tra tradizionalisti e innovatori. Il circolo è una comunità spontanea dove spesso l’intellettuale gira il ciclostile e l’operaio scrive il volantino. S’incontrano là, tra i tanti, il professore di agronomia Amedeo Bertolo, il ferroviere Pinelli, il ballerino Valpreda, lo studente di filosofia Jo Fallisi, il poeta Giorgio Cesarano, e un gruppo di giovanissimi immigrati meridionali.
Entrano al circolo, nelle tumultuose sedute del venerdì, i comitati operai di base, gruppi di fabbrica nati fuori e spesso contro il sindacato negli scioperi alla Pirelli, alla Siemens, all’ATM. Sono comitati con una forte componente libertaria, abbastanza vicini quindi all’anarco-sindacalismo che piace ai giovani del Ponte della Ghisolfa e anche a Pinelli. Pietro Valpreda cerca di partecipare il più possibile, anche se, guarito dal grave attacco del morbo di Burger, ha ripreso a ballare con regolarità e a viaggiare per tutta Italia. A Licia Pinelli, che lo vede spesso a casa sua abbozzare passi di danza per far ridere le sue bambine, dice una volta: “Pensare che la sera stiamo su a leggere Marcus [Marcuse in milanese] o a parlare dello statuto dei lavoratori e alla mattina mi tocca sgambettare con tutte quelle checche in calzamaglia.”
La passione per la “democrazia diretta” e la polemica contro la burocrazia sono genuine, in Valpreda. Molti lo ricordano intervenire nelle discussioni del circolo, il corpo piegato in due, i pugni alle tempie nella foga di un’invettiva in dialetto contro “il mito dell’organizzazione” nei partiti tradizionali. La erre moscia alla lombarda, il linguaggio colorito, il gesto teatrale, l’abbigliamento ricercato ne fanno un personaggio simpatico ai giovani, ma che non ispira troppa fiducia agli anziani, Valpreda si iscrive alla FAGI, federazione dei giovani anarchici, anche se gli altri aderenti hanno dieci anni meno di lui. Partecipa spesso alle assemblee della Statale, dove gli anarchici hanno trovato un certo seguito dopo il loro anticonformistico documento Sui privilegi della classe studentesca e tentano di inserirsi come terza forza tra i cattolici progressisti e i marxisti-leninisti del Movimento Studentesco.
Del resto, tutta la contestazione di quegli anni ha una forte componente libertaria. Nella primavera del 1968 il “sequestro” all’università del professor Luigi Trimarchi è quasi un happening anarchico. Anche le manifestazioni di solidarietà con la rivolta dei carcerati di San Vittore, la battaglia degli studenti davanti all’Università Cattolica, sono episodi che escono subito dai binari tracciati da partiti e da gruppi per diventare moti spontanei. La notte del1’8 giugno 1968 la folla è radunata in piazza del Duomo a Milano per un processo pubblico alla stampa borghese, ma di colpo straripa e corre all’assalto del “Corriere della Sera” fortificato e protetto da coorti di polizia. La zona di Brera si trasforma in un campo di improvvisata guerriglia e ricorda a molti osservatori le scene della rivolta libertaria degli studenti francesi. Quella notte sulle barricate di Brera sono molti gli anarchici. La mattina dopo la polizia ne ferma più di duecento.
Il nuovo anarchismo italiano si rifà chiaramente all’esperienza del gruppo francese 22 Marzo di Cohn-Bendit (antimperialismo, democrazia diretta) e a quella più radicale degli Arrabbiati di Nanterre (marxisti non leninisti, antisovietici e anticinesi). In Italia, le posizioni vecchie e nuove si scontrano a Carrara, cittadella dell’anarchismo tradizionale, dove fra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 1968 si tiene il quinto congresso mondiale delle federazioni anarchiche.
La polizia segue con molto interesse la vicenda. Agli atti dell’istruttoria Valpreda, c’è un rapporto particolareggiato sull’andamento del congresso firmato dal commissario di PS Domenico Spinella. E’ fatto evidentemente sulle note di un osservatore oculare. Spinella dà molto spazio a Daniel Cohn-Bendit che partecipa al congresso alla testa di un gruppo di reduci dalle barricate del maggio parigino. Il dialogo fra tradizionalisti e innovatori è subito difficile. Umberto Marzocchi e Alfonso Failla, libertari con i capelli bianchi, sono per “la condanna di ogni dittatura, del capitale come del proletariato.” Da un palchetto di velluto e oro del vecchio Teatro degli Animosi Cohn-Bendit invece grida: “Basta con il vecchio dilemma anarchismo-marxismo. La scelta oggi è tra rivoluzione e non rivoluzione.” I giovani anarchici italiani sono con lui. Il congresso di Carrara, che pure non esige, come normali congressi, maggioranze o conclusioni che valgano per tutti, va in crisi. Le delegazioni giovanili francesi, inglesi, svizzere e italiane abbandonano il teatro e tengono un loro contro-congresso sulla spiaggia di Marina di Carrara, nei bungalow di un villaggio turistico. Là, l’incontro con gruppi di cattolici ed extraparlamentari di sinistra è un fatto spontaneo. Sotto le tende improvvisate c’è anche Pinelli, sempre curioso dei giovani, insieme ad altri anarchici del Ponte della Ghisolfa.
La polizia ha registrato accuratamente i nomi dei partecipanti. “Di certo c’era anche Valpreda,” mette in evidenza il commissario Spinella nel suo rapporto. Valpreda infatti appare in molte fotografie pubblicate dai giornali borghesi accorsi in massa a registrare il nuovo folclore anarchico. In una di queste, lo si vede in un palchetto del Teatro degli Animosi, insieme a Amedeo Bertolo e Umberto del Grande. Ha anche lui al collo la sciarpa alla lavallière della vecchia guardia ma sta applaudendo con foga l’intervento di Cohn-Bendit. Valpreda oscillerà sempre tra l’anarchismo umanitario dei tempi eroici, e il libertarismo radicale della protesta giovanile.
Molti degli anarchici milanesi reduci da Carrara finiscono per uscire dal Ponte della Ghisolfa e per riunirsi in un nuovo circolo – La Comune – in via Scaldasole: un’ampia cantina a volte, con due finestroni a livello stradale, un grande tavolo in mezzo a qualche scaffale di libri. (E’ là che il commissario Calabresi, a neppure due ore di distanza dallo scoppio di piazza Fontana, trova Sergio Ardau e Giuseppe Pinelli, e li invita ad un colloquio amichevole in questura. E’ già durante il tragitto tra via Scaldasole e via Fatebenefratelli che Calabresi comincia a chiedere di “quel pazzo di Valpreda.”) La Comune ha caratteristiche diverse dal Ponte della Ghisolfa: vi si riuniscono soprattutto gli studenti e gli intellettuali del gruppo (da Cesarano, animatore dell’occupazione e dell’autogestione del Saggiatore a Fallisi del Movimento Studentesco, dal provo Gallieri detto Pinki ai fratelli Edoardo e Roberto Ginosa). Ma non si tratta di una rottura: Pinelli col suo motorino fa la spola tra i due circoli, mantiene i legami tra quello più organizzato ed efficiente di piazzale Lugano e quello più giovane e modernista di via Scaldasole. Alla Comune va spesso anche Pietro Valpreda, interessato ai comitati operai e ai gruppi studenteschi.
In via Scaldasole nascono in quel periodo i documenti più rappresentativi della nuova cultura anarchica come il manifesto dei Ludd-consigli proletari, assai vicino all’internazionale situazionista. A questo punto Pinelli e gli altri compagni del Ponte della Ghisolfa non li considerano già più anarchici, senza però che i contatti vengano mai interrotti. La Comune resta anarchica soprattutto nel costume, nell’apertura verso l’estero, nel rifiuto di etichette e patenti di ortodossia.
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