Strategia della tensione: partire dalle origini

 

Siamo nel 2019:nel cinquantenario della strage di Piazza Fontana, dell’assassinio di Pinelli, dell’incarcerazione di compagni innocenti come Valpreda, iniziamo a riproporre documenti per “comprendere e non dimenticare”. Comprendere gli avvenimenti, il contesto e, soprattutto, avere gli strumenti per attualizzare quegli avvenimenti. La memoria è azione. Nel 1965 all’Hotel “Parco dei Principi” di Roma secondo qualcuno si gettano le basi della strategia della tensione. Organizzato dall’istituto di studi storici e militari “Pollio”, si tiene un convegno sulla “Guerra rivoluzionaria”, vi partecipano esponenti della destra moderata ed estrema, giornalisti ed ex SS, studenti e, inutile dirlo, esponenti dei servizi. Tutti uniti per sbarrare il passo al “comunismo”. Con qualsiasi mezzo.

Vi proponiamo l’intervento di De Boccard https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_de_Boccard

esponente di destra ed appartenente ai servizi segreti.

 

 

Lineamenti ed interpretazione storica della guerra rivoluzionaria

Relazione di ENRICO DE BOCCARD

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Il mondo è oggi teatro d’una lotta spietata tra l’Occidente e il mondo comunista. Questa lotta rappresenta il fenomeno politico essenziale del XX secolo. Tutte le nazioni vi partecipano perché con il comunismo non esiste alcuna possibilità di negoziati o di neutralità: o si è con lui o contro di lui…

Per conseguire i loro scopi Mosca e Pekino dispongono a lato di quell’ arma classica che è costituita dalla guerra convenzionale, di due armi nuove: la guerra atomica e la guerra rivoluzionaria.

La guerra atomica è nata dal progresso scientifico. Essa possiede tuttavia la stessa natura fondamentale della guerra convenzionale: si tratta infatti di una guerra di distruzione materiale, di cui l’inizio e la fine ricevono una consacrazione ufficiale. L’unica differenza risiede nella vastità delle distruzioni ottenute. Queste distruzioni in effetti si trovano per la prima volta nella storia al livello planetario. È questa vastità stessa che rende la guerra atomica sempre meno probabile (visto e considerato che sempre più appare diffondersi il generale convincimento che essa equivarrebbe ad un suicidio collettivo), Lo stesso può dirsi ormai a proposito della guerra convenzionale, posto che il passaggio dall’una all’altra di queste forme di guerra sarebbe presso a poco inevitabile nel caso d’un conflitto armato fra grandi potenze.

Di tutt’altra natura è la guerra rivoluzionaria.

Quest’ultima forma di guerra è il prodotto più raffinato della dottrina marx-leninista. Essa consiste in una disgregazione generalizzata della società provocata grazie ad una tecnica incomparabilmente perfezionata di sovversione appoggiata dal terrore.

La guerra rivoluzionaria utilizza tecniche a lungo sperimentate e collaudate dalle organizzazioni clandestine, d’agitazione e di propaganda: la guerra rivoluzionaria non rispetta alcuna legge.

Questa guerra, per definizione è totale. Essa viene perciò condotta ormai su tutti i fronti: sul fronte politico, sul fronte militare, sul fronte economico, sul fronte sociale e anche sul fronte dell’ arte e della cultura. È una guerra che si combatte nelle officine ma anche all’Università.

Per quanto ciò possa apparire straordinario l’esistenza di questa guerra rivoluzionaria alla quale l’Occidente è sottoposto senza interruzione, è alle volte messo in dubbio. Eppure contrariamente a quanto può apparire, la guerra rivoluzionaria costituisce per l’Occidente una terribile minaccia. Se infatti la guerra atomica colpisce le persone fisiche ed i beni materiali, la guerra rivoluzionaria ha come bersaglio le anime stesse degli uomini, la struttura stessa della società.

.. Inoltre, mentre la guerra atomica e la guerra convenzionale non possono essere condotte che apertamente ed ognuno può prevederne le conseguenze, la guerra rivoluzionaria matura nella clandestinità e si sviluppa nel modo più insidioso; soltanto gli specialisti riescono a riconoscerne il vero volto.

Ma c’è di più. Lo spettro delta guerra atomica abilmente evocato dal mondo comunista cristallizza l’angoscia dell’Occidente, ‘costringe quest’ultimo a lanciarsi in una corsa agli armamenti le cui ripercussioni economiche e sociali sono molto gravi e soprattutto distrae l’attenzione dell’Occidente dall’autentico’ pericolo che lo minaccia. L’utilizzazione di ciò che potremmo definire «l’arma rivoluzionaria» presenta quindi per Mosca e per Pekino dei vantaggi enormi.

I comunisti sono inflitti i soli che sanno e possono servirsi di questa arma ed i loro avversari non sanno come difendersi. Possono anzi, i comunisti, per un supremo inganno, ed invocando questi stessi principi che sono cari ai loro avversari, condannare -!’impiego di altre armi. Diventa allora per i comunisti un gioco da bambini, trovandosi di fronte ad avversari. presso. a poco disarmati, di attuare i loro piani.

Questa strategia della guerra rivoluzionaria comunista è squisitamente offensiva. Mosca ha stabilito una volta per sempre, in modo irrevocabile, il suo obiettivo strategico: la conquista del .mondo. E per raggiungere questo obiettivo Mosca dispone, in seno stesso ai paesi stranieri come alleati, dei partiti comunisti, questi veri e propri cavalli di Troia dell’era moderna. Al contrario la tattica dei comunisti è di una estrema flessibilità. È una tattica che sa piegarsi e adattarsi a tutte le condizioni del momento.

LE TESI DI UN ESPERTO

Abbiamo voluto come introduzione a questo nostro discorso che, diciamolo subito, per forza di cose non potrà purtroppo essere breve, premettere un lungo estratto che ci siamo sforzati di tradurre interpretandone più lo spirito che la lettera e che ci siamo permessi in alcuni punti di aggiornare di un rarissimo opuscolo, pubblicato qualche anno fa clandestinamente, nel pieno della guerra d’Algeria.

Questo opuscolo è estremamente importante perché, a chiare lettere, reca il nome del suo estensore, il colonnello Antoine Argoud, una delle più serie, competenti e brillanti intelligenze, non soltanto militari, del nostro tempo.

Non sta a noi, e soprattutto in questa sede, di entrare in merito alle vicende interne di un grande Paese vicino. Solo possiamo e dobbiamo dire per testimonianza diretta, poiché i casi della nostra professione giornalistica ci hanno concesso l’onore di avvicinarlo più volte e di avere con lui diversi scambi di idee sui grandi problemi di fondo di questa torbida seconda metà del secolo, che il colonnello Argoud scelse una certa strada per un autentico assolutamente sincero amore del suo paese, cui si univa un amore altrettanto vero e profondo per quell’Occidente europeo e cristiano di cui tutti facciamo parte.

Per questo noi riteniamo che la definizione e la valutazione della «guerra rivoluzionaria» condotta dai marxisti in tutto il mondo non potevano essere meglio sintetizzate che in queste frasi scritte meditatamente da un uomo che piuttosto che rinunciare ai suoi convincimenti ha preferito barattare con una casacca da galeotto le stelle che stavano per giungergli di generale dell’esercito del suo paese.

In realtà, pensiamo che sarebbe difficile fornire una descrizione iniziale di quell’aspetto del « fenomeno guerra» che ci accingiamo ad intraprendere in forma più immediata e precisa di come ha fatto per l’appunto il colonnello Argoud in quel rarissimo opuscolo pubblicato alla macchia, proprio mentre il comunismo internazionale, con il pretesto di appoggiare un ambiguo movimento locale di «liberazione» nei dipartimenti francesi d’Algeria, stava conquistando, a pochi anni di distanza dalla sua prima grande vittoria riportata in Indocina, un’altra vittoria sull’Occidente. Una vittoria, se è possibile, ancora più pericolosa della precedente perché con essa gli strateghi della guerra rivoluzionaria riuscivano a disporre di una nuova, formidabile, testa di ponte per la loro azione sovvertitrice nel seno stesso del Mediterraneo; e cioè praticamente, per quanto ci riguarda, alle frontiere stesse dell’Italia,

Si è soliti, diremmo è di rigore, trattando di problemi connessi al «fenomeno guerra» citare, se non altro per conferire bene o male, alle proprie vedute una certa autorevolezza sia Machiavelli che soprattutto Clausewitz. Noi non intendiamo sottrarci a questa regola e non mancheremo, sia pure a ragion veduta, di farlo a tempo debito. Vorremmo ci fosse però consentito citare inizialmente poche righe dovute ad un altro autore, a no_tro avviso ingiustamente posto in secondo piano, se non nel dimenticatoio.

E ci riferiamo allo svizzero generale barone de Jomini, che fu come noto, un talento militare paragonabile a quello dello stes-so Napoleone. Scriveva dunque Jomini in una « avvertenza » premessa all’edizione belga del I838 del suo magistrale « Précis d’art de la guerre »: .

V’è forse una certa temerarietà nel pubblicare un’opera sulla guerra quando i-soli ad essere ascoltati sono gli apostoli della pace perpetua. Ma la guerra sarà sempre un male necessario, non soltanto per far grandi o salvare gli Stati, ma ancora per garantire il corpo sociale dalla dissoluzione.

Quante parole di Jomini rivestono tuttora un aspetto di straordinaria attualità, visto e considerato che una ondata di indiscriminato pacifismo sta investendo tutte le nazioni occidentali e segnatamente l’Italia. Dove, non senza turbamento, si assiste quotidianamente all’azione, con la parola e con lo scritto, anche di ‘sacerdoti i quali, in nome di un ambiguo quanto opinabile « neoirenismo» vanno sostenendo la legittimazione dell’obiezione di coscienza e così facendo implicitamente tendono a distogliere i giovani dall’osservanza del primo precetto che obbliga i cittadini verso lo Stato e cioè quello di difenderlo in armi.

Non è nostro compito, in questa sede almeno, spingere più avanti l’indagine su questo deplorevole fenomeno.

Ma non possiamo non ricordare e quanti sembrano averlo dimenticato che è stato proprio Mao-Tze-tung, tanto vale cominciare a farne il nome, il quale, con piena competenza ed una sincerità di cui non c’è motivo di dubitare, ha scritto che: «La guerra è la formula suprema della lotta tra le nazioni, gli Stati, le classi, i blocchi politici: le nazioni, gli Stati, le classi e i blocchi politici utilizzano tutte le leggi della guerra per conseguire la vittoria ».

GUERRA IN COREA O TERZA GUERRA MONDIALE?

Abbiamo insistito su questa visione della guerra come fatto tuttora ineluttabile perché si tratta di una realtà che è criminoso cercare di eludere, così come è puerile coltivare illusioni umanitaristiche al riguardo.

Era l’alba piovosa d’una domenica di I5 anni fa, quando il 25 giugno I950 i soldati sud-coreani dislocati alla meglio lungo la provvisoria frontiera segnata dal 38° parallelo scambiarono inizialmente per rumore del temporale che andava infuriando, lo improvviso e massiccio tuonare dei cannoni dell’« esercito popolare » della Corea del Nord.

Non appena, tramite il drammatico dispaccio inviato a Washington da John Muccio, ambasciatore degli Stati Uniti presso la R.O.K., la notizia di quanto stava avvenendo in Corea si diffuse attraverso la stampa e la radio di tutti i paesi, furono in molti a pensare che la terza guerra mondiale era esplosa su quel 38° parallelo, su cui del resto molta gente ignorava tutto. Al punto che in Italia ben pochi si ricordavano che il 38° parallelo passa anche per la Sicilia.

In realtà si potrebbe spostare la data della nascita della terza guerra mondiale in atto e farla risalire al 6 agosto del I945.

Fu in quel giorno, infatti, che venne per la prima volta impiegata – contro la città giapponese di Iroshima e provocando in

una volta sola circa I50 mila vittime tra la popolazione civile una nuova arma, quella atomica, destinata a modificare radicalmente la fisionomia di ciò che si è convenuto chiamare le leggi del «fenomeno guerra».

Insistiamo sull’aspetto prima di tutto psicologico, sui popoli e sui governi, della scoperta e dell’impiego delle armi atomiche. Il lancio della prima bomba atomica su Iroshima è riportato, infatti, essenzialmente per _’azione di choc da esso provocato sulla coscienza media dell’umanità. Così come comprova l’elevazione di questo tipo di armi ad ingrediente essenziale di una modernissima mitologia sui generis elaborata in sede letteraria e specialmente cinematografica.

Ora è vero che la bomba (all’uranio 235) sganciata sulla città cavia giapponese dalla superfortezza volante al comando del colonnello Tibbets distrusse una superficie di I.8 Kmq., uccise 80000 persone, ne ferì 70000 e rese inutilizzabili 65000 case d’abitazione sulle 9000 circa di cui si componeva l’agglomerato urbano di Iroshima. Ma è altrettanto vero che, per ottenere un con simile risultato con bombe di tipo convenzionale, sarebbe stato sufficiente sempre su Iroshima l’impiego di 210 apparecchi B29 ognuno provvisto di 10 tonnellate di bombe TNT.

Nel precedente mese di marzo I945, così, una forza aerea alleata di 279 apparecchi aveva compiuto una incursione su Tokio, impiegando I667 tonno di bombe convenzionali, conseguendo la distruzione di 6,I Kmq. della capitale giappol1ese e causando tra la popolazione 83000 morti (o dispersi) e 102000 feriti. Non risulta, tuttavia che gli effetti indubbiamente impressionanti

di questo o d’altri bombardamenti analoghi esercitino retrospettivamente una influenza di terrore in misura paragonabile a quella prodotta invece dall’esplosione dei due soli ordigni nucleari lanciati sul Giappone. .

Senza voler ovviamente nemmeno in minima parte negare le straordinarie, terribili e reali possibilità operative al livello strategico ed al livello tattico delle armi termonucleari, ma volutamente prescindendo a questo punto dal loro aspetto squisitamente tecnico, ci preme però porre in rilievo come la pre-citata «paura atomica» delle masse sia essenzialmente determinata sul piano psicologico (o accettando per comodità un linguaggio di derivazione freudiana, su quello del « inconscio collettivo») dal carattere apocalittico e, di conseguenza, «magico» attribuito alle armi termo-nucleari dalle masse in questione. Per le quali, naturalmente, l’energia atomica è qualcosa perfino nelle sue grandi linee di totalmente incomprensibile. Ma alla quale vengono irrazionalmente e fideisticamente attribuiti a torto o a ragione tutti i più straordinari poteri.

In realtà una corretta dottrina della guerra termo-nucleare presuppone una formulazione logica del tutto differente, fondata per l’appunto in ciò che si conviene definire «logica nucleare ». Non è nostro compito, in questa sede, addentrarci in una analisi delle dottrine di guerra termo-nucleari, analisi oltre tutto resa estremamente difficile dalla rapidissima evoluzione delle dottrine tesse e dell’evoluzione della tecnica. Ci limiteremo a osservare che una efficiente dottrina di guerra non può assolutamente prescindere dalla esistenza e dalla possibilità di impiego delle armi termo-nucleari.

Lo sviluppo delle dottrine di guerre connesse all’impiego delle armi termonucleari fornisce comunque alcune interessanti concetti che possiamo considerare polivalenti nello studio del «fenomeno guerra» della nostra epoca. E’ noto, ad es., che una delle espres-sioni più diffuse del linguaggio connesso ad una corretta logica della guerra termo-nucleare è quella cosiddetta del «gioco del chicken ».

IL GIOCO DEL «CHICKEN»

La terminologia « gioco del chicken » è stata introdotta nella semantica termo-nucleare da Bertrand Russe!. Essa deriva da un gioco, estremamente pericoloso, praticato dai teddy-boys e dai giovani bruciati dei paesi anglosassoni. Questo gioco consiste nel scegliere un lunghissimo rettilineo stradale su cui spicchi ben visibile la riga bianca di mezzeria. I due giocatori prendono posto, a conveniente distanza, su due automobili situate in senso inverso e disposte in modo che ognuna abbia due ruote esattamente disposte sulla linea di mezzeria. Al segnale di partenza i due concorrenti mettono in moto le macchine e accelerano al massimo l’uno in direzione dell’altro, avendo sempre cura di conservare due ruote sulla linea bianca. Ad un certo momento ove uno dei due concorrenti non sterzasse bruscamente la collisione diventerebbe inevitabile. Vince, naturalmente, quello fra i due concorrenti che non sterza, dimostrando così la propria impassibilità di fronte alla eventualità della catastrofe. In quanto all’altro concorrente, quello cioè che si è tirato da parte per evitare lo scontro, esso, oltre al perdere ovviamente la gara, perde anche la faccia di fronte agli amici che lo fanno oggetto di dileggio, gridandogli per l’appunto « chicken »!

Si comprende agevolmente la analogia tra questo gioco e il conflitto in atto fra due grandi potenze, tutte e due fornite di armi termo-nucleari. È chiaro infatti che se una di queste due potenze desidera realmente di vincere, la migliore strategia consiste nel far capire che essa, in questo gioco del chicken al livello mondiale, non si tirerà indietro.

Date queste premesse può essere interessante osservare …per inciso come si presenti davvero strano l’atteggiamento dei pacifisti di professione nei riguardi delle armi termo-nucleari. Contro le quali, come noto, si scatenano periodicamente campagne,

. petizioni, manifesti. In realtà codesti pacifisti, ove fossero ovviamente in buona fede, dovrebbero rallegrarsi dell’esistenza di armi che – con la loro sol presenza nei magazzini – contribuiscono senza alcun dubbio in modo determinante ad impedire l’insorgere di un conflitto mondiale generalizzato, secondo lo schema per esempio della la O della 2a guerra mondiale.

Vero è che le previsioni più volte avanzate, per cui la scoperta di armi di potenza sempre maggiore e sempre più terrificanti avrebbe finito con l’impedire praticamente la guerra, si sono dimostrate, alla stregua dei fatti, fallaci. Basti ricordare al proposito il caso avutosi nel secolo scorso di Jean Bloch, un israelita polacco, banchiere di professione e di vocazione pacifista. Il punto di vista di Bloch era non di sopprimere o limitare le guerre ma piuttosto di convincere le nazioni che la potenza sempre maggiore delle armi da fuoco aveva già di fatto eliminato la guerra come strumento giovevole dell’azione politica. Nel 1897 il Bloch raccolse il frutto dei suoi studi e delle sue delucidazioni in una ponderosa quanto caotica opera in ben sei volumi intitolata La guerra futura e le sue cooperazioni tecniche economiche e politiche. Sostanzialmente il pensiero del Bloch, quello cioè secondo il quale la guerra era ormai impossibile si fondava sul fatto che il progresso scientifico realizzato in tutti i campi avrebbe trasformato LI guerra stessa in un suicidio reciproco. In proposito il Bloch nel 1897 scriveva testualmente: «Il segno visibile che la guerra è finita è stata l’adozione generalizzata del fucile a ripetizione…

. Il soldato ha ormai perfezionato a tal punto la parte tecnica del massacro che si è ormai praticamente messo al sicuro dal massacro stesso ». Come è noto, infatti, dal 1897 a oggi non c’è stata più guerra nel mondo!

Fuori dagli scherzi, se è pure lecito scherzare in materia, occorre rilevare che le forme di guerra e le forme di condotta della guerra sia pure attraverso errori spesso tremendi si sono andate sempre adeguando ai tempi e alle possibilità di tutti i generi che i tempi stessi offrivano.

. E se ci è concesso di ritornare ancora una volta sulla esistenza, eh fatto insopprimibile, del « fenomeno guerra », ci permettere-mo di ricordare che la storia annota sino adesso l’esistenza fra i popoli di ben 8.000 trattati di pace. Ognuno dei quali naturalmen-te avrebbe dovuto, almeno in teoria, durare per l’eternità.

Una conseguenza, questa sì reale e non utopistica, di quel progresso scientifico e tecnico che era stato giustamente posto in luce dal Bloch, è stata invece la possibilità non già di ridurre i modi di manifestarsi del fenomeno guerra ma invece di moltiplicarli. Ci sono così, sotto il profilo operativo, diversi modi di condurre una guerra, anche prescindendo dall’impiego di arri nel senso classico di questo termine. E citeremo ad esempio le cosiddette « armi psicologiche» la cui gamma oggi è davvero impressionante. E di cui la radio e soprattutto la televisione sono le più efficaci e in certi casi decisive.

UNA GUERRA TOTALMENTE RIVOLUZIONARIA

Questa guerra, ideata dai comunisti e la cui dottrina scaturisce naturalmente dalla ideologia marx-leninista costituisce, va detto obiettivamente, una delle svolte più suggestive ed interessanti del pensiero militare di tutti i tempi. Essa è una guerra rivoluzionaria davvero in tutti i sensi e non solo per il fatto di presentarsi come lo strumento più adatto, flessibile, spaventosamente efficace per conseguire l’attuazione pratica a livello planetario della rivoluzione predicata dai marxisti. Ma è ancora di più rivoluzionaria per le radicali trasformazioni che essa ha apportato e continuamente apporta alla concezione stessa del « fenomeno guerra» ed alle tecniche di combattimento in tutti i campi.

Soprattutto occorre tenere presente che la g.r. è una guerra totale, che si esercita cioè non soltanto sui corpi ma anche sulle anime. In riassunto il termine rivoluzionario applicato a questa guerra, davanti alla quale i paesi non comunisti appaiono spaventosamente impreparati significa:

a) condotta rivoluzionaria della guerra;

b) armi rivoluzionarie per la guerra;

c) obiettivo rivoluzionario della guerra.

Il principio base della guerra rivoluzionaria deriva da un ulteriore approfondimento della precitata massima di Clausewitz. Se infatti egli diceva: «La guerra ‘non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi », Lenin ha scritto: «la politica non

è altro che la continuazione della guerra con altri mezzi».

Ne consegue un nuovissimo obiettivo per il fenomeno guerra. Se prima lo scopo principale di un conflitto armato era la conquista materiale del territorio del nemico, l’annientamento parziale o totale del suo potenziale bellico (non soltanto militare ma anche industriale ed economico), e l’imposizione di una pace vantaggiosa, la g.r. ragiona in termini totalmente diversi. Per i teorici della g.r. ciò che conta infatti prima d’ogni altra cosa .non è più la conquista del terreno del nemico ma la conquista dell’ animo delle popolazioni che ivi risiedono. Lo scopo finale della g.r. non è dunque quello di concludere una pace vantaggiosa con l’avversario vinto. E non è nemmeno quello di imporgli un governo più malleabile. Lo scopo finale della guerra rivoluzionaria consiste infatti non soltanto nel totale annientamento del regime politico e delle istituzioni politiche dell’avversario ma nella trasformazione in senso comunista della forma di società in cui è organizzato I l’avversario stesso.

Ci sia concesso di anticipare qui, riallacciandoci a quanto detto poc’anzi e sempre allo scopo di fugare un equivoco in cui molti facilmente cadono, che la g.r. non va confusa con la guerriglia di tipo classico. Ma la guerriglia è soltanto una delle infinite possibilità tattiche della g.r. Conseguentemente non è possibile comBattere, da un punto di vista difensivo, una guerra condotta con i principi della g.r. ricorrendo, quando ci si trova di fronte anche ad una attività di guerriglia, semplicemente ai metodi classici della contro-guerriglia; si sarebbe battuti in partenza.

È infatti per non aver chiaramente compreso sin dall’inizio questo concetto che la Francia ha rovinosamente perduto la guerra di Indocina, che possiamo considerare come la prima manifestazione ad alto livello della g.r. nel quadro del terzo conflitto mondiale in atto. È per questa ragione che gli Stati Uniti si trovano tuttora impegnati nelle crescenti difficoltà derivanti dalla

. g.r. nel Vietnam. Analogamente quella sconfitta e queste difficoltà, così come altre passate o future sconfitte, si debbono attribuire ad una imperfetta conoscenza del carattere totale della g.r. Perché, non ci stancheremo mai di ripeterlo, la g.r. è una guerra totale. Più totale ancora di una eventuale guerra termo-nucleare:

poiché quest’ultima distruggerebbe soltanto la materia, mentre la g.r. distrugge o peggio ancora trasforma la coscienza dell’uomo.

IL COSIDDETTO «SENSO DELLA STORIA»

Fu dunque in Indocina che per prima la Francia ebbe a scontrarsi con il cosiddetto «senso della storia ». VaIe a dire con la g.r. . Non si può comprendere l’essenza stessa della g.r. se non si ,ripone l’attenzione su questo pseudo concetto marxista del «senso della storia », che in mano agli agenti della g.r. è una delle armi più efficaci e più frequentemente adoperate. Evidentemente non possiamo in questa sede addentrarci nella questione, per altro di estremo interesse, concernente la domanda: «Ha o

meno un senso la storia? ». Brevissimamente e ai fini che ci interessano ci limiteremo dunque a dire che, se di un senso della storia, in senso squisitamente spirituale, si può parlare sono caso mai i cattolici (e noi siamo fra quelli) a poterlo fare, che per senso della storia intendono il cammino dell’umanità verso Dio.

Ed analogamente un senso della storia tutto suo particolare, che è nel contempo spirituale e temporale, possiede il popolo ebraico nella sua perdurante attesa del Messia liberatore della razza eletta. Fuori di queste escatologie non si comprende come possa seriamente intendersi l’esistenza mistica e pertanto irrazionale di un senso della storia così come sostengono i comunisti con l’appoggio costante di tutti i « progressisti » di varia sfumatura; e si comprende ancor meno come a questo senso della storia inteso in questi termini e cioè a una colossale panzana abbiano finito con il prestar fede coloro che non soltanto marxisti non sono ma che spesso fanno dichiarazioni, se non professione, di combattere il marxismo.

IL MITO DEL SUPREMO ALVEARE

Non è nostro compito entrare in merito all’assenza del comunismo, né pronunciare nei suoi confronti un ennesimo, severissimo giudizio negativo di principio. Giungiamo più in là: non intendiamo nemmeno discutere se il comunismo in tutte le sue gradazioni, segnatamente in quella sovietica ed in quella cinese, sia in effetti un abominio. Vogliamo per amor di ipotesi giungere perfino a dire che il comunismo sia o possa essere il migliore dei sistemi politici nel migliore dei mondi possibili. Vogliamo però sostenere contemporaneamente e con estrema, irriducibile fermezza che la libertà dell’uomo consiste proprio nel respingere anche ciò che può apparire vantaggioso per lui, e con molta semplicità diremo perciò che rifugiamo dal comunismo, che non accettiamo il comunismo, che combattiamo il marxismo ed esprimiamo pubblicamente la nostra volontà di combatterlo e soprattutto sul suo stesso terreno, restituendogli – tanto che siamo sulla difensiva – colpo per colpo e ben decisi, quando ciò sarà finalmente concesso dal maturarsi di situazioni, dall’intesa di uomini e soprattutto dalla chiara, realistica visione di una situazione che minaccia ogni giorno di più di diventare catastrofica, di passare risolutamente e con estrema spregiudicatezza all’offensiva. Restituendo, se necessario, abbondantemente ai comunisti il terrore che essi hanno imposto al mondo.

Perché ciò che soprattutto fondamentalmente ci ripugna nel marxismo è la sua pretesa di imporre al mondo, servendosi per l’appunto della g.r., quella che si deve ormai nel modo più esatto considerare come una pseudo religione,. tendente alla trasformazione dell’intero pianeta terra in un Grande Formicaio, in un Supremo Alveare. Dove è anche possibile che nei secoli futuri gli uomini siano, come lo sono le formiche, le api, o altri insetti, in grado di condurre una esistenza perfettamente regolata ed in cui ad ogni individuo, in funzione di ciò che produce o del lavoro che fa, verrà assegnata una razione di cibo amorfo ma contenente il numero esatto di calorie necessarie, non una di più non una di meno ed una cella nel pieno senso di questo termine dove dormire un sonno senza sogni. Perché di sogni e cioè delle speranze, delle aspirazioni connaturate alla fantasia costruttrice dell’individuo non si parlerà più nel Grande formicaio o nel grande Alveare. Retto come oggi avviene nei paesi comunisti o come

avviene per l’appunto in queste società perfette di insetti da un’Unica immutabile Intelligenza che è nel tempo stesso, Suprema, inesorabile Volontà.

Si, noi sappiamo perfettamente quanto vanno sostenendo alcuni alti autorevoli commentatori ed esegeti del cosiddetto «nuovo corso» del marxismo. Quello che, per esempio nel nostro paese si intende oggi come la «via italiana al socialismo ».

Non soltanto lo sappiamo, ma anche questa volta vogliamo largheggiare e prendere per buone le dichiarazioni di coloro che asseriscono essere oggi, con l’eliminazione interna dello stalinismo, il comunismo diventato un’altra cosa. Fra l’altra, gran concessione, ci si dice anche che questo nuovo comunismo, il còm\1nismo buono per intenderci (cioè quello che si richiama assai più alla società anonima oggi installata al Cremlino che non a quello di Mao, cui i marxisti da salotto osano ancora muovere qualche critica), non elimina più fisicamente i suoi- avversari, non riduce alla fame materialmente i suoi oppositori ma anzi consente loro, concessione sempre più grande, di poter lavorare e produrre nel nuovo stato creato all’insegna del Grande Formicaio. Ne prendiamo atto, cosi come prendiamo atto per riferirci al paragone precedente che da tempo i naturalisti hanno minutamente descritto la presenza nei formicai, prigionieri delle formiche che tuttavia pensano a dar loro un adeguato nutrimento, di certi insetti detti afìdi o gorgoglioni. O più pittorescamente, «mucche delle formiche ». Perché queste ultime, cosi come noi facciamo con le vacche mungane, provvedono ingegnosamente (perché anche le formiche come i marxisti sono molto ingegnose) a mungerli, ricavandone una specie di latte di cui sono ghiottissime. Ebbene, signori, io penso che a nessuno sorrida l’idea di essere trasformato in un gorgoglione della repubblica democratica popolare italiana; nemmeno se ciò comportasse la soddisfazione d’avere come mandriano l’on. Giancarlo Pajetta o come mungitrice la «Grande Vedova» Leonilde Jotti.

L’ARMA MARXISTA DELLA NEO-SEMATICA

Questi mutamenti, ammessi che ci siano, del marxismo non sono del resto altro che semplici misure di aggiornamento « liturgico », paragonabili a quelle che un Concilio ansioso di novità ha voluto imporre nelle cerimonie destinate al popolo cristiano. Perché, occorre ripeterlo, l’ideologia marx-leninista (cui corrispondono come «braccia secolari» le potenze comuniste) ha, tranne la fede in una vita ultra terrena, le caratteristiche di una pseudo-religione. È questa proprio una delle componenti più aberranti ed intollerabili del marxismo: quella cioè di presentarsi appunto, pur pretendendo di fondarsi su basi razionali e dichiaratamente anti-metafìsiche, come una nuova vera e propria religione dotata di pseudo dogmi e di pseudo santi ed alla quale non manca nemmeno, come abbiamo visto, un escatologia. In funzione della quale è stato creato per l’appunto lo pseudo concetto del senso della storia. Non pensiamo, si capisce, di avere, dicendo questo, scoperto il cavallo o l’ombrello. Poiché tutto ciò, prima di noi, più autorevolmente di noi e più esauriente di noi è stato detto da altri. Come, per esempio, da Benedetto Croce o più recentemente da Mircea Eliade in un suo magistrale scritto dedicato agli « Aspetti del mito ». Purtroppo ciò che è stato detto è stato anche spesso, troppo spesso, dimenticato. E proprio da chi ha avuto in sorte la responsabilità di difendere l’occidente dalla minaccia marxista.

Pseudo religione, il marx-leninismo ha creato anche come aveva per l’appunto fatto la Chiesa Cattolica fino alle recenti decisioni conciliari – un suo unico linguaggio. Elaborando una nuova semantica che costituisce, insieme al fideismo totale ed incondizionato del militante di base nella pseudo religione che lo guida, una delle armi fondamentali della g.r. Su questo punto della nuova semantica creata dai marxisti in tutti i paesi ed in tutte le lingue, manipolando con estrema abilità il linguaggio come premessa necessaria ed indispensabile alla successiva manipolazione ed alterazione in senso finalisticamente irreversibile delle coscienze, altri fra i presenti a questo convegno, che hanno voluto onorare con il loro intervento, potranno e dovranno parlare con maggiore e più approfondita cognizione di causa. Ci limiteremo, per ora, a dire che questa nuova semantica agisce su due direzioni. Mentre cioè da un lato essa si impadronisce di vocaboli propri alla società che vuole distruggere, sino a snaturarne completamente il significato (e si veda, come esempio banale.fin che si vuole ma quanto preciso, il destino assunto in questi ultimi anni dal vocabolo «pace» che è giunto oggi come oggi praticamente a significare il suo opposto nella bocca dei marxisti che se ne servono come gli antichi pirati si servivano di bandiere legittime, scoprendo il loro vessillo con la testa di morte solo al momento decisivo dell’abbordaggio), dall’altra essa impone invece alla società che i marxisti vogliono distruggere la propria terminologia. E forniamo un altro esempio banale ma immediato: si veda l’uso e l’abuso attualmente in corso del termine «alienazione », espressione questa tipica del gergo marxista che, come mille altre è stata adottata, soprattutto per snobismo, dalle società borghesi. Ora è chiaro che l’assuefazione a delle parole genera l’assuefazione a delle frasi; l’assuefazione alle frasi favorisce l’assimilazione di un gergo; l’assimilazione di un gergo porta conseguentemente alla assimilazione delle idee. In altri termini la parola, snaturata. od imposta dalla neo-semantica del comunismo, serve – nel quadro operativo della g.r. – a condizionare psicologicamente l’avversario, provocando in lui una sorta di anestesia che lo, induce ad accettare passivamente ed anche, perché no, senza soffrire il successivo intervento chirurgico rivoluzionario.

LA G.R.: UNA PARTITA A SCACCHI

Abbiamo detto la parola « condizionare » perché questa è, per l’appunto, la prima fase delle operazioni di una g.r. Il cui obiettivo principale è, ricordiamo, la conquista dell’animo della popolazione. Conquista che si svolge attraverso due metodi paralleli, ma non necessariamente simultanei:

a) l’azione psicologica

b) il terrorismo

Occorre, tuttavia, sempre e soprattutto in materia di g.r. – guardarsi dal legarsi troppo strettamente a schemi prefissati. Se riprendiamo, infatti, in esame il paragone del « Gioco del Chicken » di cui abbiamo parlato accennando all’ipotesi di guerra termonucleare, possiamo completarlo ora, servendoci di altri esemplificazioni, forse primarie ma che posseggono comunque il merito, mai troppo lodato, della chiarezza. E possiamo così stabilire le seguenti analogie:

a) tra la guerra termonucleare totale (cioè «non convenzionale ») ed il predetto « gioco del Chicken » (e cioè lo scontro diretto e catastrofico);

b) tra la guerra convenzionale classica ed il non meno classico gioco delle bocce Ce cioè lo scontro diretto, ma più o meno brutale e manovrato);

c) tra la g.r. ed il gioco degli scacchi. La g.r. può essere infatti a pieno titolo assimilata ad una partita a scacchi, purché si abbia l’avvertenza di tener presente che, nella g.r., tutti i pezzi in gioco hanno la possibilità di muoversi in tutte le direzioni come, su di una scacchiera autentica, un pezzo immaginario che combinasse in sé tutti i movimenti di cui dispone la Regina più quelli del cavallo) e che la scacchiera ha un numero « n » di caselle, essendo « n » un numero che s’avvicina sensibilmente all’infinito.

Nella g.r., infatti, l’eliminazione fisica del nemico non è, di norma, indiscriminata come negli altri tipi di conflitto. Così, mentre la guerra convenzionale e quella termonucleare fanno poco caso, in linea di massima, d’un risparmio di vite umane ivi comprese quelle della élite, cioè dei quadri, che le conducono

la g.r., sempre in una certa misura ben s’intende, tende ad economizzare le perdite tra i soldati ed i capi della parte che l’ha decisa, l’ha impostata e la combatte. Questa « economia» è tanto più osservata in quanto la g.r. è una guerra ricca soltanto di vite umane da spendere. Ma è, per il resto, una guerra in linea di massima avara – non soltanto per necessità ma anche per principio di denaro e di mezzi.

Abbiamo citato questi dati tratti da fonti francesi perché, come abbiamo detto, è stata la Françia, fra i Paesi occidentali, la prima a dover affrontare in pieno una guerra rivoluzionaria, quella d’lndocina. Questa guerra si concluse come è noto

per la Francia stessa con la clamorosa sconfitta militare di DienBien-Phu, cui fece seguito un’altra sconfitta, sul piano diplomatico questa volta, a Ginevra; Dove vennero sottoscritti quei negoziati di pace che abbandonavano metà dell’Indocina ai comunisti, tra il plauso di tutti i « progressisti », i pacifisti e – come si diceva una volta – panciafichisti non soltanto d’Europa ma anche degli Stati Uniti. Ove, del resto, ancora una volta il mito di un « anticolonialismo» di principio (che costituisce, molto spesso, la bandiera di comodo con cui vengono coperti interessi economici che ben poco hanno a che vedere con motivi ideali) impediva di scorgere cosa si celasse in realtà dietro certe guerre e certi movimenti presentati agli occhi dell’opinione pubblica mondiale come di «liberazione ».

A Dien-Bien-Phu, in realtà, a perdere una battaglia e nel tempo stesso una guerra non fu soltanto la Francia. Fu l’Occidente nel suo complesso anche se molti, ancora oggi, non se ne sono resi conto. La g.r., non ci stancheremo mai dal ripeterlo, è una guerra globale in cui nessun fronte può essere considerato a sé stante: per questo esiste uno strettissimo rapporto d’interdipendenza, per esempio, tra l’operazione «Vicario» condotta in Italia, e particolarmente a Roma, dal PCI per il tramite delle proprie organizzazioni fìancheggiatrici ed il movimento di protesta suscitato dagli agenti del Viet Cong tra i bonzi buddisti nel Viet-Nam o tra le operazioni dei guerriglieri nel Venezuela e l’improvvisa decisione, per ora soltanto simbolica, adottata dal PCI di organizzare l’afflusso di volontari italiani ad Hanoi, tra le manifestazioni inscenate contro Ciombé e quelle inscenate a favore dei negri americani.

Non staremo, perché l’argomento verrà adeguatamente, trattato da altri più competenti oratori (fra cui alcuni colleghi che vi ci sono recati più volte) non staremo qui a fare la storia della guerra d’Indocina, guerra iniziatasi nel 1945 e tra alterne fasi, come si sa, ancor oggi in atto, con un bilancio sempre più passivo – in complesso – per l’Occidente. Diremo soltanto che fu proprio dall’esperienza altamente drammatica della guerra d’Indocina che molti fra i migliori ufficiali del corpo di spedizione francese furono indotti a chiedersi, in forma spesso angosciosa, come mai un esercito dotato di unità d’assalto di primo ordine (come, per esempio, i reparti della Legione Straniera ed i paracadutisti) e di vaste riserve di materiale relativamente moderno e comunque sotto il profilo tecnico largamente superiore a quello dell’ avversario – subisse, malgrado il valore e lo spirito di sacrificio da esso in complesso dimostrato, continui e sempre più gravi scacchi ad opera di guerriglieri male armati, male equipaggiati e peggio nutriti.

È ad opera di questi ufficiali francesi che fu così possibile rilevare i primi lineamenti dottrinali della g.r. L’esercito ViethMinh è un esercito totale, dove ogni soldato è contemporaneamente un maestro di scuola, un poliziotto, ogni ufficiale un amministratore, un sacerdote e un ingegnere, fa dire ad uno dei suoi personaggi un ufficiale per l’appunto del corpo di spedizione in Indocina, il giornalista e scrittore Jean Larteguy. Quell’immaginario ufficiale prosegue: Per lottare contro un consimile esercito ci sarebbe voluto un esercito dello stesso tipo, una sorta di ordine militare, altrimenti la sconfitta era certa. Mi ‘dispiace, certo, dt essere stato sconfitto, mi dispiace di essere agli ordini di capi incapaci, ma mi dispiacerebbe ancor più di diventare un monaco-soldato o di tras/ormarmi in predicatore di non so bene quale nuova dottrina… Eppure non passerà molto tempo e quell’ufficiale, come vedremo, diventerà a sua volta un monaco-soldato ed un predicatore sino ad accettare con orgoglio (e si pensi che significa questo per un militare di carriera) la qualifica che altri vorrebbe infamante di « soldat perdu », soldato cioè perso nel senso che a questo aggettivo la lingua francese dà accoppiandolo alle ragazze di facili costumi. Ciò accadrà al tempo del sangue, del terrore, del sacrificio, della gloria cui viene negato il nome, dell’ultima, convulsa e disperata, difesa dell’Occidente armato in Africa, prima che venisse solennemente abbattuta la croce sulla Cattedrale destinata ad essere trasformata in moschea di Algeri la bianca. Anche se filtrata attraverso l’esperienza e l’indagine degli studiosi francesi (fra i quali citiamo in particolare il colonnello Roger Trinquier, autore del volume La guerre moderne che per quanto leggermente superato contiene tuttora preziose indicazioni specie per determinati aspetti tattici della g.r.) la dottrina di questa nuova forma rivoluzionaria di conflitto reca sempre, inconfondibile, la firma di colui che applicando con indubbia capacità ed al livello d’un intero continente i principi a suo tempo enunciati da Lenin e rielaborandoli con l’ausilio d’antichi frutti della cultura del suo paese – della g.r. stessa ha oggi fama di essere contemporaneamente il massimo teorico ed il maggior condottiero, il Napoleone cioè ed il Clausewitz. Vogliamo dire Mao-Tse-tung. Tra le molte doti di Mao-Tse-tung c’è anche, dicono, quella di essere non soltanto un condottiero politico e militare ma anche un raffinato poeta. Non possiamo pronunciarci al riguardo purtroppo non abbiamo finora avuto il modo di leggere le liriche che recano la firma di Mao-Tse-tung. Ma abbiamo in compenso letto i suoi scritti di carattere politico militare. Si è trattato, per la verità, di una fatica non indifferente. Sotto un profilo di pura critica letteraria non si può infatti non essere colpiti ed anche alquanto irritati dalla lettura dello stile adoperato da Mao-Tse-tung in questi suoi scritti, uno stile contraddistinto soprattutto dalla lentezza del ragionamento, in cui abbondano frequentissime le iterazioni. Bisogna tuttavia aver ben presente che questi scritti di Mao erano in origine destinati ad essere perfettamente intesi dagli uomini delle più diverse provenienze culturali, che lo seguivano e dovevano inoltre rappresentare una specie di riassunto delle frequentissime dispute ideologiche.

È vero, d’altra parte, che al nostro senso occidentale dello umorismo determinate affermazioni di Mao-Tse-tung possono apparire non soltanto ovvie ma anche curiosamente pittoresche. Si veda, ad esempio, quell’ormai classico concetto, inerente alla tattica della g.r., secondo il quale come è noto «i combattenti della g.r. debbono potersi muovere tra la popolazione del territorio in cui operano con la stessa facilità con cui un pesce si muove nell’acqua ». È perfino inutile aggiungere che su questa faccenda del pesce che si muove nell’acqua si è esercitata più volte, ed in tutte le forme possibili, l’ironia di diversi commentatori e critici militari occidentali, poco inclini per natura a prendere sul serio una esposizione che si vorrebbe tecnica ed in cui si parla di pesci anziché di parametri. Naturalmente è facile, ed a volte può del resto esser anche utile fare dell’ironia.

Perché, sia detto incidentalmente, anche l’ironia è un’arma e non indifferente.

MAO, L’EPIGONO DI SUN-ZU

Si, ripetiamo, può essere facile ironizzare sul modo di esprimersi di Mao-Tse-tung così come può ingenerare in noi qualche sorriso la lettura dell’antico e famosissimo (famosissimo nel senso che si tratta di una di quelle opere che in genere tutti citano sènza averle mai lette) trattato sull’« Arte della guerra» del venerando saggio cinese Sun Zu, una sorta di ClauseWlitz ante litteram, cui lo stesso Mao ama frequentemente richiamarsi. Trattato in cui, per altro, è icasticamente esposto un concetto che soltanto a prima vista può indurre un esperto militare occidentale a considerazioni umoristiche: «La suprema arte della guerra, sta nel soggiogare il nemico senza combattere ». Eppure proprio in questa frase, è racchiuso il concetto cardinale della g.r. Per esempio: così come essa è attualmente praticata dai comunisti in Italia.

Concetto che si accompagna a quest’altro, sempre di Sun Zu e ripreso interamente da Mao-Tse-tung: «Conosci l’avversario e conosci te stesso: allora tu sarai invincibile ». Per somme linee il pensiero militare di Mao-Tse-tung (e conseguentemente l’abc delU g.r.) si concreta in frasi di questo tipo, indicative anche a proposito dello stile in cui sono state redatte.

. Qualsiasi capo militare è obbligato a studiare le leggi della guerra e a conoscerle a fondo. Qualsiasi capo militare che conduce una guerra rivoluzionaria deve studiare le leggi della guerra rivoluzionaria e conoscerle a fondo… le guerre rivoluzionarie, oltre al possedere il carattere proprio della guerra in genere, posseggono dei loro caratteri specifici ed è per questo che esse non dipendono soltanto dalle leggi della guerra in generale, ma da tutta una serie di leggi particolari. Se non si comprendono le condizioni in cui si svolgono queste guerre ed il loro carattere particolare è impossibile di condurre una guerra rivoluzionaria, è impossibile di conseguire la vittoria in una guerra rivoluzionaria… Per sopprimere la guerra esiste soltanto un mezzo: combattere la guerra con la guerra. Tutte le guerre della storia si suddividono in ultima analisi in due categorie: le guerre giuste e le guerre ingiuste. Noi siamo per le guerre giuste e contro le guerre ingiuste. Tutte le guerre contro-rivoluzionarie sono ingiuste, tutte le guerre rivoluzionarie sono giuste.

Ci sia concesso sospendere, a questo punto, l’esposizione del pensiero di Mao-Tse-tung per commentarlo brevemente. È evidente, dal contesto, la concezione tipicamente manichea che ispira il condottiero della rivoluzione cinese in queste sue considerazioni che hanno per lo meno il pregio di esporre senza tanti fronzoli quella che è la dottrina più elementare, ma nello stesso tempo più pura, del marxismo. Riferendoci a quanto abbiamo detto precedentemente, troviamo in queste righe, ove fosse necessario, una ulteriore riprova dell’impostazione pseudo religiosa del comunismo. Segnatamente quella distinzione fra guerra giusta e guerra ingiusta è tratta di peso, per esempio, dalle elaborazioni sul problema di una certa patristica cristiana. Nello stesso modo che l’affermare, come fa Mao, che è commendevole il combattere una guerra purché questa guerra debba consentire di giungere alla abolizione della guerra stessa non è altro che una versione marxista e cinese del non enim pax quaeritur, ut bellum excitetur, sed bellum geritur, ut pax acquiratur di Sant’Agostino. È perfino superfluo, tuttavia, l’osservare che il concetto dello scrittore cristiano rispecchiava finalità metafisiche, mentre il pensiero di Mao si. pone su un piano di una utopia materialistica, assolutamente non giustificata. I marxisti stentano infatti a spiegare, dato e non concesso che si arrivasse a questa fase estrema del comunismo (e cioè l’abolizione totale delle classi e dello Stato), come ciò potrebbe conciliarsi con le loro teorie e segnatamente con quella « anima vivente» della dialettica materialistica rappresentata dalla contraddizione che determina costantemente la spinta in avanti. Per riprendere, al riguardo, le parole stesse di un autorevole esegeta marxista: cosa diventerà dunque la storia quando la lotta delle classi non ne costituirà più il motore? Evidentemente poco convincente, al di fuori del suo vago contenuto pseudo messianico è la risposta dello stesso esegeta: le contraddizioni non saranno abolite ma non si tratterà più di contraddizioni antagonistiche tra gli uomini. Allora fioriranno in pieno le dialettiche interminabili della libertà. Ed in primo luogo la conquista continua della natura da parte dell’uomo, ecc. ecc., per giungere a questa sorprendente ed apodittica conclusione, che in realtà non .conclude niente (come, in ultima analisi, non significa niente) ma .che dovrebbe pur fare riflettere tutti quei cattolici che si ostinano in un «dialogo» condannato in partenza al fallimento:

il materialismo marxista, fedele alla sua iniziale ispirazione faustiana, sarà il creatore di un mondo popolato da iddii senza noia, le cui creazioni inaugureranno una dialettica aperta sull’infinito.

Siamo dunque, tornando a Mao, nel campo della utopia. Ma occorre pure tenere presente che per tendere alla realizzazione di questa utopia è stata messa a punto una dottrina ed una tecnica di guerra che utopistica non è. Cos1 come quando al servizio di questa utopia viene costretta una massa di circa settecento milioni di uomini, decisi a tutto se non altro perché il promesso l’aggiungimento dell’utopia stessa porrebbe fine ad una loro in-concepibile condizione umana, l’umanità si trova allora realmente in pericolo. Si ricordi, al proposito, che in Cina si procede con metodi che appaiono incredibili alla nostra attuale civiltà altamente industrializzata, metodi sostanzialmente identici a quelli che venivano adoperati dai faraoni egiziani.

L’ESSENZA DELLA G.R.

Passiamo ora all’analisi del pensiero di Mao nella elaborazione dei precetti fondamentali della guerra rivoluzionaria. È questa una guerra, specifica Mao, che non si impara soltanto nei libri ma che si impara soprattutto facendola. Combattere è imparare. Questo è un’altro degli slogans fondamentali, slogan che viene completato da molte altre regole considerate ugualmente di estrema importanza e che nel complesso costituiscono in modo organico un vero e proprio manuale teorico-pratico della sovversione. Piuttosto che seguire pedissequamente l’esposizione di Mao, cerchiamo considerando soprattutto la realtà della g.r. così come s’è svolta in questi anni di isolarne alcuni aspetti determinanti:

.

I) nella guerra rivoluzionaria occorre che chi la combatte abbia ben chiaro in mente che non esiste nessuna differenza tra 10 sparare in combattimento regolare contro il nemico e l’uccidere invece in agguato, o come volgarmente si dice « a tradimento» il nemico stesso;

2) il combattente della guerra rivoluzionaria deve essere ben cosciente di quelle che sono le regole del gioco: e cioè che se il combattente regolare, catturato in combattimento, se la cava con un periodo di prigionia, il combattente della guerra rivoluzionaria, se catturato in determinate condizioni, rischia la fucilazione;

3) il combattente della guerra rivoluzionaria non si deve considerare tale soltanto quando impugna un’arma. L’arma decisiva di una guerra rivoluzionaria è, infatti, proprio il combattente in quanto tale;

4) il soldato regolare si sente guidato. Il combattente della guerra rivoluzionaria, e soprattutto il terrorista, deve essere in grado di guidare se stesso;

5) l’eliminazione fisica di un avversario non costituisce un problema morale (l’avversario combatte infatti una guerra per definizione «ingiusta»): costituisce soltanto un problema d’opportunità;

6) il terrorismo non deve essere fine a se stesso: esso deve sorgere e svilupparsi secondo un piano preciso, di volta in volta concepito in forma autonoma, ricorrendo se necessario anche al metodo della ricerca operativa;

7) il terrorista di base non deve soltanto agire, deve anche capire;

8) per essere efficace il terrorismo non deve essere indiscriminato.

IL TENTATIVO FRANCESE DI UNA «G.R. OCCIDENTALE»

Freschi ancora delle loro esperienze di Indocina i militari francesi si trovarono a dover affrontare in Algeria una nuova fase di guerre rivoluzionarie. Inizialmente i francesi cercarono di reprimere l’insurrezione algerina ricorrendo a quegli stessi metodi classici che così poco felicemente avevano impiegato in Indocina. Fu allora che, nella mente di un gruppo di ufficiali che costituivano l’élite dell’esercito stesso, scaturì l’idea di combattere in Algeria il nemico con la sua stessa tecnica, applicando cioè i dettami della guerra rivoluzionaria. ‘Questa applicazione, in effetti, permise almeno in un primo tempo, di conseguire risultati piuttosto soddisfacenti anche se non fu sempre facile né agevole. D’altra parte la condotta di una contro-guerra rivoluzionaria pone agli occidentali dei problemi di fondo spesso insolubili o che provocano comunque profondi turbamenti nelle coscienze. Questo graduale passaggio dei militari francesi in Algeria dalla condotta di una guerra convenzionale, sia pure limitata al campo della contro-guerriglia, all’attuazione di una contro-guerra rivoluzionaria è stato efficacemente analizzato oltre che nei romanzi di Jean Larteguy, anche in un’altra opera, « çette haine qui ressemble à l’amour» del giornalista e scrittore algerino Jean Brune, ora costretto all’esilio.

Accenniamo di sfuggita al problema, per esempio, della tortura. Il caso tipico è il seguente: un combattente della guerra

rivoluzionaria compie un’azione di terrorismo e depone una

bomba a tempo in una località sconosciuta, bomba che esplodendo provocherà senza alcun dubbio la morte e il ferimento di un certo numero di persone inconsapevoli e probabilmente del tutto estranee alle operazioni militari in corso. Il terrorista viene però catturato nel corso di una operazione di rastrellamento.

Si sa che egli ha messo una bomba che scoppierà fra due ore, ma si ignora dove. Il problema è questo: per evitare la morte e

il ferimento sicuro di un certo numero di persone estranee, è ammesso o non è ammesso costringere il terrorista con tutti i mezzi ivi compresa la tortura a rivelare dove ha celato il micidiale ordigno esplosivo?

Si tratta, naturalmente di un problema non soltanto scottante, ma di fondo. I marxisti, che pure non sono soliti preoccuparsi a casa loro di simili quisquiglie, sono così riusciti a scatenare un vasto movimento di protesta e di indignazione, sfruttando segnatamente gli intellettuali progressisti ed il mondo della cultura, per stigmatizzare l’impiego della tortura contro i terroristi da parte delle forze francesi di repressione in Algeria. Certo la tortura, così come già disse Cesare Beccaria, è cosa riprovevole. Ma (questo Cesare Beccaria non poteva dirlo) anche il terrorismo, l’eliminazione fisica degli avversari con un colpo alla nuca o l’impiego di bombe che provocano vittime innocenti sono cose riprovevoli. Eppure gli intellettuali ed il mondo della cultura, a proposito della guerra d’Algeria, condannarono soltanto l’impiego della tortura contro i terroristi, ma non l’operato dei terroristi medesimi. Anche questo rientra squisitamente nel campo della guerra rivoluzionaria, così come nel campo della contro-guerra rivoluzionaria viene ad assumere un significato particolare il fatto che nella sua precitata opera «La guerre moderne» il colonnello Trinquier senta il bisogno di dedicare un intero capitolo ai metodi da adoperare nel condurre l’interrogatorio di un terrorista, comprendendo tra quei metodi medesimi, anche la tortura… che, a detta del Trinquier, deve tuttavia essere impiegata a ragion veduta ed entro determinati limiti.

Da questo fuggevole accenno scaturisce una decisiva domanda: fin dove è possibile difendere l’Occidente servendosi di metodi che sono la negazione dei valori stessi che dell’Occidente costituiscono l’insopprimibile essenza? È sostanzialmente, a nostro avviso almeno, al non aver potuto o saputo trovare una risposta a questo quesito, che si deve in gran parte attribuire il fallimento dell’unico tentativo di guerra rivoluzionaria condotta sinora da combattenti occidentali: vogliamo dire cioè quella che venne attuata in Algeria ed in Francia dai francesi (ed anche dai berberi e dagli arabi) che militavano nei ranghi dell’OAS. Tale tentativo, ha comunque lasciato due validi insegnamenti:

1) prima di tutto il fatto che è possibile, sia pure attraverso molti tentennamenti, diverse esitazioni ed un innegabile, spesso tragico, travaglio spirituale, pervenire ad una formulazione occidentale della guerra rivoluzionaria, ritorcendo contro i marxisti il loro stesso strumento di lotta, uno strumento di cui essi erano sin ‘ora convinti di avere esclusivamente il monopolio, così come per tanti anni gli americani si cullarono nell’idea di mantenere il monopolio esclusivo delle armi nucleari.

2) È stata inoltre dimostrata, per quanto si riferiva alla Francia la possibilità di porre finalmente fine nel quadro della guerra rivoluzionaria contro il comunismo alla annosa e sterile polemica anche in Francia come in Italia continuamente ed artificiosamente mantenuta in vita dal comunismo stesso tra il fascismo e l’anti-fascismo. Nei ranghi dell’GAS, si trovarono infatti a combattere insieme la medesima battaglia uomini che provenivano dalle più diverse e contrastanti passate esperienze.

Si sono visti, infatti, uniti insieme nelle file dell’GAS ex appartenenti alla resistenza e reduci magari dai campi tedeschi di Buchenwald o di Mauthausen, ed ex collaborazionisti, seguaci del maresciallo Petain, membri della milizia di Vichy o combattenti sul fronte russo nei ranghi delle Waffen SS.

3) Il terzo e conclusivo insegnamento consiste nel fare chiaramente vedere come una guerra rivoluzionaria possa essere condotta con qualche possibilità di successo soltanto quando a dirigerla ed a combatterla si trovano insieme elementi militari di professione ed elementi civili altamente specializzati. In precedenza, infatti, il fallimento del « putsch » dei generali di Algeri si deve attribuire esattamente alle stesse cause che fecero, per esempio, fallire a suo tempo il putsch di Kapp nella Germania sconvolta del primo dopo guerra. Ovverosia nel fatto che nel secolo XX, in Europa almeno non è più possibile effettuare o un colpo di Stato od ancor più una rivoluzione con il solo impiego delle forze armate in uniforme, così come non è ugualmente possibile realizzare positivamente una operazione del genere fondandosi unicamente sul concorso di forze civili che non abbiano l’appoggio non tanto indiretto quanto diretto ed esplicito delle Forze armate. Così come dimostra, sempre riferendoci alla guerra d’Algeria, il successo pieno ed incontrastato dell’operazione rivoluzionaria compiuta congiuntamente da elementi militari ed elementi civili il 13 maggio 1958 operazione conclusasi, come è noto, con il crollo della Quarta Repubblica e l’avvento al potere del Generale De Gaulle. .

Da tutto questo emerge anch’e la considerazione che la condotta e l’attuazione operativa di una guerra rivoluzionaria è affidata in primo luogo soltanto a ristrette élites di comandanti e combattenti militari e civili, ai quali l’appoggio delle masse è giovevole solo in forma indiretta, nel senso cioè che consente loro – per riprendere a nostra volta la pittoresca immagine di Mao di muoversi liberamente in tutto il territorio come il pesce nell’acqua.

Sia dalla guerra rivoluzionaria comunista d’Indocina, sia dalla g.r. fomentata dai comunisti in Algeria, sia dalla g.r. anti-comunista condotta dall’OAS in Algeria ed in Francia emerge poi in modo chiarissimo l’importanza decisiva della presenza di quelle che nella terminologia per l’appunto della guerra rivoluzionaria vengono definite come « basi logistiche ». Si intende per «base logistica» la possibilità da parte dell’esercito che conduce la g.r. di trovare appoggio di ogni genere in tutta una serie di paesi apparentemente estranei al conflitto in corso. Avremo così delle «basi logistiche ravvicinate », situate cioè in paesi finitimi al teatro di operazioni, come per esempio la Cina comunista all’epoca della prima guerra di Indocina, la Tunisia od il Marocco durante la guerra d’Algeria, il Vietnam settentrionale durante l’attuale guerra di Indocina. Queste basi servono innanzi tutto ad alimentare in armi, munizioni, viveri, medicinali ed uomini le unità impegnate nella guerra rivoluzionaria. In secondo luogo queste basi servono ad alloggiare i comandi operativi a più alto livello che possono così esercitare la loro azione in condizioni di invulnerabilità da parte del nemico come accadde per le basi del F.L.N. algerino in Tunisia.

È sempre per l’esistenza di queste basi che la guerra di Corea. condotta inizialmente – come abbiamo visto – dai comunisti con metodi convenzionali può essere considerata ugualmente una guerra rivoluzionaria. Si veda in proposito la gigantesca campagna condotta dai comunisti circa il presunto quanto cervellotico impiego da parte delle forze delle nazioni unite e cioè praticamente dagli americani, di armi di guerra batteriologiche.

COME I COMUNISTI ESTORCONO LE «CONFESSIONI»

Questa campagna circa la presunta guerra batteriologica condotta dagli americani venne effettuata con un vigore ancora superiore il quella recentissima svolta dai comunisti a proposito dell’impiego, questa volta reale, di gas per altro non letali compiuto dagli americani nel Vietnam. Può essere di un certo interesse nel quadro della problematica della guerra rivoluzionaria ricordare come i comunisti ottennero da 38 aviatori americani, sottoponendoli alla tortura o alla minaccia la « confessione» di avere adoperato armi batteriologiche contro i comunisti nord-coreani e cinesi. La «confessione» più notevole fu quella, fitta di ben seimila parole, estorta al colonnello Frank Schwable, capo di stato maggiore del primo squadrone dell’Aviazione dei Marines. Accusato dai comunisti di aver partecipato alle operazioni di guerra batteriologica e sottoposto a pressioni di ogni genere

perché confessasse questo suo « crimine », lo Schwable venne tenuto segregato per cinque mesi in una cella non riscaldata delle dimensioni di un metro per due, e continuamente pungolato dagli stessi interrogatori. «Fu negli ultimi giorni di novembre che mi sono arreso» spiegò il colonnello, quando finalmente riuscì a far ritorno negli Stati Uniti «Ero gelato. La mia mano era gelata. Non c’era alcun dubbio per me. lo sapevo che non m’avrebbero mai permesso di trovarmi di fronte ad un plotone di esecuzione. Loro mi avrebbero lasciato lì per tutto l’inverno. Sapevo che non avrei potuto resistere. Credo che una lenta tortura mentale che si prolunga all’infinito è peggio di brevi torture fisiche. Si rimane li, giorno dopo giorno, ed un giorno ancora dopo un altro giorno. Non c’è davvero una grande scelta: o si confessa o si rimane là ».

Un altro ufficiale americano subì, allo stesso scopo, il seguente trattamento da parte degli specialisti cinesi della g.r.: «Dopo essere stato schedato come criminale di guerra egli venne interrogato e tenuto sotto pressione per quattro mesi. Per otto volte gli venne intimato l’ordine di confessare, promettendogli un migliore trattamento se lo avesse fatto o la morte se si fosse rifiutato di farlo. Per otto volte egli si rifiutò. Lo costringevano a stare sull’attenti per cinque ore di fila; lo rinchiusero per otto giorni in una cella strettissima; lo fecero stare al suolo tenuto da due guardie mentre una terza guardia lo percuoteva con pugni e calci; lo costrinsero un’altra volta a stare sull’attenti per 32 ore consecutive finché non crollò a terra; percosso mentre era caduto, dovette rialzarsi e restare in piedi altre due ore. Fu interrogato per 3 ore di fila con un proiettore puntato a 15 cm. dai suoi occhi. Gli diedero ordine di confessare con una pistola puntata sulla sua nuca. Lo tennero tutta una notte sotto una grondaia dur_te un temporale. Lo lasciarono senza cibo per 3 giorni. Lo posero davanti ad un plotone di esecuzione e gli offrirono la sua ultima possibilità, appeso per le mani e per i piedi alle travi di una casa. Davanti al suo ennesimo rifiuto, i comunisti cinesi lo lasciarono in pace. Sembravano aver rinunciato, trovandosi di fronte ad un caso impossibile. Questo ufficiale è tornato vivo ».

In definitiva da tutto quanto abbiamo in precedenza detto e da molte altre cose che per brevità di discorso siamo stati costretti a tacere, una constatazione appare chiara e precisa: e cioè che con la formulazione come dottrina della guerra rivoluzionaria il «fenomeno guerra» è uscito da ciò che potremmo definire il sistema. Un sistema in cui, grosso modo, la mentalità e le reazioni del nemico erano in una certa misura prevedibili. Ma dallo studio appunto della g.r. si acquisisce, ove fosse pur necessario, la certezza che i comunisti intendiamo qui ovviamente riferirci alle élite dirigenti e non certo alle masse che bovinamente le seguono nulla hanno a che spartire con il restante dell’umanità, ma costituiscono in seno all’umanità stessa una presenza estranea, tal quale si trattasse di appartenenti a quelle razze extra terrene di cui si fa tanto uso ed abuso nei romanzi di fantascienza. È dunque non soltanto ridicolo e puerile, ma estremamente pericoloso pensare che si possa comunque trovare un modus vivendi con ‘i comunisti che costituiscono, lo ripetiamo, al livello planetario una umanità nella umanità, così come in ogni singolo paese occidentale essi hanno dato vita de facto ad uno stato nello stato, ‘uno stato delle catacombe che possiede le proprie leggi ed una propria etica che nulla, assolutamente nulla hanno a che spartire con l’altro stato, quello formale in cui sono impiantati e che vanno giorno per giorno fagocitando sino a quando le ultime apparenze di quel medesimo stato corroso dal suo interno non cadranno in polvere. O al primo scossone dato dai comunisti stessi – o addirittura spontaneamente. Come appunto, minaccia, gravemente minaccia, di accadere in Italia.

LA G.R. COMUNISTA IN ITALIA

Perché anche in Italia la guerra rivoluzionaria comunista è in atto e da gran tempo, e non ci si deve fare ingannare dal fatto che essa non abbia assunto in questi ultimi anni una forma ” calda “. Noi abbiamo visto precedentemente come, a detta stessa dei suoi massimi teorici, lo scopo finale di ogni g.r. è la disgregazione dello stato esistente. Nello stesso tempo per Mao che riprende il pensiero di Sun Zu l’arte suprema della guerra in genere e più specificamente della g.r. consiste nel soggiogare il nemico (un nemico che si deve, lo si ricordi, conoscere perfettamente) senza combattere. O combattendo, naturalmente, il meno possibile. Va ora rilevato che, d’altra parte, non è esatto che la g.r. comunista in Italia non contempli nel suo schema operativo una fase “calda”. Soltanto che questa fase si è già, in larghissima parte, attuata in passato. E’ ormai infatti concorde opinione di tutti gli storici d’una certa obiettività che la partecipazione del partito comunista italiano alla guerra civile che divampò tragicamente nel nostro paese dal 1943 al 1945 non si deve considerare come una parte integrante del movimento di resistenza, ma come una guerra squisitamente “privata” condotta dallo stesso partito comunista contro la società tradizionale italiana, guerra facilitata dal pretesto di combattere contro il fascismo. In realtà in quegli anni e anche per un cospicuo periodo di tempo che seguì la fine delle ostilità, il partito comunista italiano attuò proprio una delle norme fondamentali della g.r. Quella cioè che, come abbiamo visto, consiste nel condizionare una popolazione servendosi sia dell’azione psicologica che del terrorismo. Ci fu dunque, dal punto di vista tattico, una semplice e meditata inversione di fasi. Nella condotta della g.r. in Italia, il partito comunista ritenne opportuno, sfruttando le contingenze favorevoli, di far precedere la propria azione psicologica del terrorismo. Il risultato, è inutile disconoscerlo, venne largamente ottenuto. Tanto che, oggi ancora, a venti anni esatti di distanza da quei massacri dell’aprile 1945 che dal defunto on. Togliatti vennero non a caso definiti come “una delle più belle pagine della storia italiana », perdura in Italia la paura del terrore comunista. E su questo tema potrebbero in modo molto eloquente ed interessante parlare quanti, per esempio, svolgono la loro attività professionale od industriale in diverse zone dell’Italia del nord dove, sul ricordo di quella bella pagina, impera e prospera tuttora un autentico racket di marca marxista, alle cui esazioni debbono sottostare, a ,scanso di ,guai, proprietari di stabilimenti ed operatori economici. Siamo al punto, che in una grande città italiana come Bologna, diverse persone rifuggono _al manifestare le loro opinioni o dal comunicare determinate notizie per telefono, tanto è radicata in loro la sensazione – a torto o a ragione, non importa – che i telefoni siano controllati dagli specialisti della g.r.

Dopo questa fase di terrore palese (quello sotterraneo, come abbiamo detto, continua) il partito comunista italiano ha sviluppato e con risultati ugualmente ottimi la propria azione psicologica, operando secondo diverse direttrici. Che vanno dall’accaparramento della intellighent sia nostrana, sempre pronta ad aderire a chi le dà la sensazione di essere il più forte, al controllo in

,alcuni casi presso che totale degli strumenti per la manipolazione dell’opinione pubblica. Così, come, notoriamente, è avvenuto ed avviene alla televisione.

La g.r. marxista è dunque pienamente in atto anche nel nostro paese e per questo assume, signori, un sapore quanto mai attuale ed ammonitorio quanto scriveva Nicolò Machiavelli, nella sua « Arte della guerra »: Credevano i nostri principi italiani} prima ch’egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre} che a uno principe bastasse sapere} negli scrittoi pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera} mostrare ne} gemme e d}oro} dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri} tenere assai lascivie interne} governarsi co’ sudditi amaramente e superbamente} marcirsi nell’ozio, dare i gradi della milizia per grazia} disprezzare se alcuno avesse loro dimostrato alcuna lodevole via} volere che le parole loro fussero responsi d’oraculi, nè si accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava.

L’esistenza di questa nuova guerra impone a chi deve fronteggiarla di adeguare ld propria mentalità ad una nuova logica.

Questo adeguamento, anche in persone di cui non è assolutamente permesso porre in dubbio la fedeltà allo Stato che lealmente servono, è purtroppo in Italia tuttora piuttosto raro.

E citiamo un solo esempio. Si tratta di una vicenda che, parafrasando Hemingway, potremmo intitolare: «Il vecchio giudice e il pilota ». Forse quanto stiamo per dirvi è considerato, al livello dei «principi italiani» per servirci dell’espressione di Macchiavelli un «segreto di stato» che essi preferiscono tener ben chiuso nei loro scrittoi.

Ma anche, e non lo crediamo, se questo è un «segreto di Stato », pigliamo su di noi, signori, la responsabilità, l’intera responsabilità di rivelarvelo in questa sede, in questo Convegno

di uomini qualificati che si sentono come rioi ci sentiamo mobilitati in permanenza al servizio dell’Italia, di quell’Italia dantescamente «umile» cui abbiamo, una volta per tutte, dedicato sin dalla prima giovinezza la nostra esistenza.

Lor signori ricorderanno come, tempo fa, un pilota bulgaro ebbe a compiere un atterraggio di fortuna nell’Italia meridionale, a breve distanza da un’importante installazione militare NATO.

Le intenzioni di quel pilota e le ragioni del suo singolarissimo volo vennero da lui spiegate adducendo un banale errore di rotta. Ma sul pilota bulgaro le competenti autorità italiane rinvennero una pianta topografica d’un genere speciale (cioè ciò che in linguaggio tecnico si chiama un «memory sketch»), vale a dire la pianta dettagliata proprio dell’installazione militare, presso la quale era precipitato. ,

Ebbene, al giudice istruttore cui l’aviatore comunista era stato deferito sotto l’accusa di spionaggio, il pilota bulgaro dichiarò che quella mappa non era altro che lo schizzo di una palestra di Sofia, ove egli era solito andare a far ginnastica.

Tra un « errore di rotta» e l’altro, supponiamo.

Tanto bastò a quel candido magistrato che, in fatto di guerra, deve essere rimasto ai cortesi tempi della cosiddetta « guerre en dentelles » e del celeberrimo: «Messieurs les Anglais, tirez les premiers» per prendere carta, penna e calamaio, ed inoltrare, per il prescritto iter diplomatico, una cortese letterina al Governo Bulgaro, letterina in cui, con la massima serietà, quell’ottimo giudice richiedeva, allegando copia del «memory sketch » rinvenuta sul pilota, di confermargli che quella era realmente la pianta d’una palestra di ginnastica e non d’una installazione militare della NATO.

A stretto giro di posta il Governo della Repubblica Democratica Popolare Bulgara s’affrettò a rispondere al richiedente. Non soltanto specificando, ovviamente, che quella pianta era effettivamente quella d’una palestra ginnastica, ma allegando anche premurosamente un certo numero di fotografie della palestra stessa (che era stata, si capisce, rapidamente montata per l’occasione). Cosi quel gentilissimo giudice concluse la propria istruttoria con un non luogo a procedere ed il pilota bulgaro poté felicemente far ritorno in Patria. Dove, ci sia consentito pensare, sarà stato tuttavia ristretto – perché i comunisti certe missioni fallite non le perdonano – per un certo periodo di tempo se non in carcere, per lo meno in una palestra ginnastica.

Non è, dunque, con consimili, superate mentalità che uno Stato non comunista può difendersi specie se in eSso è in atto ‘un processo di g.r.

Analogamente sarebbe oggi per quanto abbiamo visto inconcepibile che le FF.AA. di un Paese occidentale considerassero un atto d’aggressione, soltanto il tentativo svolto da soldati stranieri di varcare in armi una delle sue frontiere.

Oggi l’aggressione e la g.r., infatti, possono benissimo fare a meno delle antiche coreografie belliche e il nemico non ha alcun bisogno di varcare le frontiere di un Paese nel cui interno già dispone di proprie forze agguerrite e preparate,

Ne consegue che tutta la dottrina di una difesa occidentale contro la g.r. comunista deve poggiare su basi interamente nuove ed anch’esse – occorre pur dirlo «rivoluzionarie ». Cosi come nella esauriente e straordinariamente acuta relazione che ascolterete oggi, verrà in modo magistrale chiarito dall’amico professor Eggardo Beltrametti.

Noi ci limiteremo a dire, a conclusione di questo nostro davvero troppo lungo discorso, che per la formulazione di questa nuova dottrina, che potremmo definire della «controguerra rivoluzionaria », è non solo possibile, ma conveniente rifarsi, anche

in questo caso, al linguaggio polivalente in cui si esprime la logica della guerra termonucleare. ,

Come lor signori certo non ignorano, dalle prevalenti dottrine in materia per l’appunto di guerra termonucleare, emergono – fra gli altri – due concetti fondamentali. Quello, cioè di « santuario» e l’altro, legato al precedente, di «teatro d’operazioni ».

Si indica, in breve, come «santuario» lo spazio geografico protetto da una forza di dissuasione totale, vale a dire, lo spazio, in ogni senso vitale, d’uno Stato. Ove, infatti, questo spazio venisse colpito dalle armi termonucleari del nemico ciò provocherebbe automaticamente lo scatenarsi contro il nemico stesso della guerra atomica totale.

Per «teatro d’operazioni» si intende, invece, quello spazio geografico per la difesa del quale non è previsto – in caso di aggressione il. ricorso alle armi termonucleari, ma di cui verrebbe tentata la difesa avvalendosi, caso per caso, delle armi convenzionali più opportune.

Come lor signori hanno già perfettamente intuito questi due concetti sono perfettamente validi anche nel quadro logico della g.r.

Basta, infatti, sostituire all’espressione «spazio geografico» quella di « spazio politico ».

E attualmente, – come ha precisato, tra gli altri, in un suo autorevole studio un ufficiale spagnolo, il capitano Fernando Sanz Esteban, sulla rivista «Ejercito», corrispondente alla nostra ottima «Rivista Militare» – le FF.AA. di un Paese Occidentale non possono più – come per il passato – preoccuparsi di assicurare, unicamente ed esclusivamente la difesa dello « spazio geografico». « Està superado » scrive il Sanz Esteban « el concepto de oficial apolitico. Hoy en dia està planteada una lucha ideologica de la) que no podemos desentendernos y en la que tenemos obligacion de manejar armas tan eficaces almeno como las del adversario… .».

L’autore spagnolo si ricollega qui a quanto ha scritto il colonnello Argoud cosi come abbiamo detto all’inizio. Ne risulta che gli atti della guerra rivoluzionaria comunista diretta contro lo spazio politico di un «teatro d’operazioni» possono e debbono . essere contenuti, di. volta in volta,’ con le armi convenzionali (e cioè, per intenderei, mediante l’azione di «autodifesa» delle forze civili anticomuniste).

Ma ne risulta, ugualmente, che qualsiasi violazione compiuta dai comunisti, nel quadro della loro guerra rivoluzionaria nei riguardi del «santuario» come, per esempio, il riuscire, da parte loro, sfruttando opportunità d’eventi e debolezza di governi – di inserirsi in una « nuova maggioranza» o peggio ancora a penetrare, non fosse che con un sottosegretario alle PP.TT. in un gabinetto ministeriale costituirebbe un atto di aggressione talmente grave contro «lo spazio politico» vitale dello Stato, da rendere necessaria l’attuazione nei loro confronti di un piano di difesa totale.

Vale a dire l’intervento diretto, deciso e decisivo delle FF.AA. di quel Paese. Queste FF.AA. in caso contrario, rinuncerebbero infatti, il che non è ammissibile, al loro più preciso e più alto dovere: quello di tutelare nel modo più valido e con l’ultima ma la più efficace delle «ragioni» l’indipendenza e la libertà denti loro Nazione