Tutto torna, vero?

L’individuo che indossa l’uniforme da ufficiale delle Waffen SS non è un tedesco, ma un italiano.
Si tratta dell’ SS-Obersturmführer ( tenente ) Pio Filippani Ronconi, arruolato nella 29esima. Waffen-Grenadier-Division der SS (italienische Nr. 1) che aveva tra i 10000 i 20000 effettivi, tutti italiani.
Nelle Waffen SS ( le SS combattenti ) non si arruolarono solo italiani. Praticamente ogni paese europeo controllato dalla Germania aveva la sua divisione di SS: croati, ucraini, albanesi, norvegesi,francesi, belgi, russi,  ecc.
Decine di migliaia di naxisti non tedeschi che combattevano per la Germania. C’era anche una divisione musulmana, la Handschar ( poco meno di 20000 effettivi alcuni dei quali, finita la guerra, tra il 1947 e il 1948  combatterono nel Mandato Britannico di Palestina e nella guerra arabo-israeliana, contro Israele).
Nelle SS italiane Pietro Mannelli raggiunse il grado di Brigadeführer ( generale di brigata ), fu condannato per collaborazionismo, ma presto scarcerato.
Di tutto ciò si parla poco perchè si preferisce credere o far credere che il naxismo fu un fenomeno solo tedesco e invece non fu affatto così.
Non voler vedere le basi di consenso che il nazismo in Europa ebbe, significa creare le condizioni per un suo ritorno, magari senza camicie brune, ma l’abbigliamento è solo un dettaglio….

P.S.
Tornando a Filippani Ronconi la sua attività di studioso orientalista è proseguita fino a valergli la laurea honoris causa in teologia e scienza dell’islam all’univeristà di Teheran. Ma non si è limitato allo studio, ha lavorato presso il ministero della difesa italiano, ha scritto per il Corriere della Sera ( fino a quando la sua passata appartenenza alle Waffen SS è tornata a galla ), ma soprattutto ha partecipato al convegno sulla Guerra Rivoluzionaria del 1965 all’hotel Parco dei Principi a Roma, nel quale molti sostengono furono gettate le basi per la strategia della tensione.
Tutto torna, vero?

IL TEMPO SCHERMO

 

Il tempo schermo oggi modifica le capacità di attenzione di bambini/e e rischia di modificare l’intero sviluppo psicomotorio. Riduce il tempo del sonno, del gioco libero, del tempo all’aria aperta e della lettura, frantumazione le capacità attentive. Non è forse giunto il momento di prestare più attenzione all’infanzia per evitare di abbandonarla ai nuovi pifferai magici dell’economia dell’attenzione?
Ne parliamo con Simone Lanza, docente della scuola primaria e ricercatore, in occasione della presentazione del suo libro “L’attenzione contesa” – Come il tempo schermo modifica l’infanzia.

Domenica 09/02/2025
ore 17:00
Circolo Anarchico
Ponte della Ghisolfa
Sala Pinelli
Viale Monza 255 Milano

 

 

Gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado.

 

Gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado.
Italiani brava gente?


Si parlerà di questo nel giorno della memoria?

Leggete la storia del campo di concentramento fascista di Giado, in Libia, dove vennero internati appartenenti alla comunità ebraica locale.

( Da ricordare che gli ebrei si possono dividere in due grandi gruppi: Askenaziti quelli provenienti dall’est Europa e Sefarditi quelli che si sono stabiliti in nord Africa, provenienti dalla Spagna ).

Nella foto il generale Bastico, organizzatore dei rastrellamenti.

Gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado.

Nel febbraio del 1942 Mussolini dispose che tutti gli ebrei della Cirenaica fossero riuniti in un campo di concentramento della Tripolitania. Tre settimane dopo furono compiuti i primi rastrellamenti della comunità ebraica della Cirenaica sotto la guida del generale Bastico. Così sorse il campo di concentramento di Giado.

La testimonianza del deportato Ofek è sconvolgente: “Ogni due settimane, l’oppressore appendeva nella piazza di Bengasi un elenco delle famiglie che si dovevano preparare per poi recarsi nelle scuole da dove si sarebbe partiti. Ci caricarono sui camion, quelli solitamente usati per il trasporto delle merci. E il viaggio sarebbe durato cinque giorni…. In tutto 2600 famiglie furono portate via. Arrivammo al campo di Giado la vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica… Soldati italiani e arabi vigilavano sul reticolato e chiunque si avvicinava rischiava di venire colpito dai fucili dei guardiani. Ci davano 120 grammi di pane al giorno. Le altre cose da mangiare venivano distribuite i domenica per l’intera settimana: cinque grammi di riso al giorno, tre grammi d’olio, tre grammi di conserva di pomodoro, cinque grammi di zucchero e cinque grammi di caffè… Ci costringevano a lavorare per dodici ore di seguito, senza pausa, senza interruzione, senza riposo… Era una tortura quotidiana… Organizzammo una delegazione di ebrei per andare dal comandante, il maggiore, e domandare razioni più consistenti. Ci rise dietro… Fu soltanto dopo molti pianti e alcuni discorsi convincenti degli anziani della nostra comunità che il comandante, crudele, consentì agli arabi della zona di venderci verdura, datteri e frumento… Ovviamente non avevamo soldi con noi…. DOpo una giornata di lavoro, comletamente esausti. Lavoravamo per il villaggio arabo, le nostre donne cucivano abiti per loro e in cambio ottenevamo qualcosa dai loro orti…”.

A Giado, a centottanta chilometri a sud di Tripoli, presso il crinale di Gebel Nefusa, gli ebrei raccoglievano pietre e le trasportavano da un lato all’altro del campo. Un lavoro inutile, senza senso, che serviva soltato a farli stancare e a annientarli psicologicamente.La follia nazista era arrivata anche lì. Nel 1942 circa 2000 ebrei furono rastrellati in tutta la Libia e inviati in questa località.

Moshe Saban lo ricorda così: “Era terribile. E’ così che ci siamo ammalati, tutte quelle infezioni e il tifo. Ricordo di essermi tolta la maglietta e di aver visto le cimici… grandi la metà di una zanzara che strisciavano sul mio corpo. La sera, verso le 19 quando cominciava a scendere il buio, eravamo costretti a addormentarci. L’ufficiale entrava con una frusta e guai a chi continuava a parlare o faceva altri rumori… Andava da una baracca all’altra per controllare chi aveva la febbre e portava i malati in ospedale. Chi lasciava la famiglia e andava in ospedale sapeva che non sarebbe più tornato”. Il lavoro era logorante e snervante. Yehuda Chachmon ricorda che erano impegnati “a scavare buche profonde e a etrare la terra rocciosa. Il giorno dopo portavano un altro gruppo e li costringevano a riempire le stesse buche con la stessa roba. Tracciavano una linea intorno al luogo dove stavamo lavorando e chi osava passare oltre quella linea veniva ucciso…”.

L’orrore irruppe nella vita del campo all’apprestarsi degli inglesi con un ordine raccapricciante: tutti gli ebrei maschi dovevano essere radunati e uccisi, mentre i 480 malati dell’infermeria del campo dovevano essere condotti nello scantinato per essere bruciati. Miracolosamente quest’ordine fu revocato. Gli inglesi trovarono a Giado gente malata ovunque, con addosso solo stracci, distesa per terra, nelle baracche, in condizioni igieniche inesistenti, privi di letti, colta dal tifo e affamata. Vi persero la vita più di 560 tra uomini, donne e bambini di origine ebraica, dati che fanno di Giado il lager italiano con il maggior numero di vittime.

Fonte