- Palestinesi in lotta contro genocidio e Hamas
Bashir Abu-Manneh 7 Aprile 2025
Da Jacobin
Le manifestazioni di Gaza dei giorni scorsi mettono in evidenza non solo il contrasto alla distruzione sistematica e massiccia da parte di Israele, ma anche la prima seria contestazione della strategia seguita dall’organizzazione islamica
Dopo quasi un anno e mezzo in cui i palestinesi di Gaza hanno sopportato distruzione di massa e miseria collettiva, ora stanno facendo sentire la loro voce. Negli ultimi giorni, migliaia di persone hanno partecipato a diverse proteste nella Striscia assediata, chiedendo il diritto a vivere in dignità e pace in patria.
I principali obiettivi dei dimostranti erano la guerra genocida di Israele e le nuove ipotesi americane di cancellazione e rimozione, nonché la complicità dei regimi arabi e dell’Occidente. I dimostranti erano anche particolarmente critici nei confronti di Hamas e della sua dispendiosa forma di resistenza all’occupazione israeliana. Anche i media arabi come Al-Jazeera non sono stati risparmiati per via dellla loro acritica copertura delle posizioni di Hamas.
Sulla scia del movimento di Gaza Vogliamo vivere , esistente prima della guerra, i manifestanti in una delle aree più disastrate al nord di Gaza, hanno scandito slogan come «La gente vuole rovesciare Hamas» e «Hamas vattene». Un dimostrante ha riassunto bene i sentimenti popolari quando ha detto: «Oggi abbiamo manifestato per dire che non vogliamo morire. Alla fine, è Israele che attacca e bombarda, ma anche Hamas ha una responsabilità diretta, così come tutti coloro che si definiscono leader arabi e palestinesi».
La risposta di Hamas è stata all’altezza del proprio modello autocratico. Invece di riconoscere le profonde sacche di rabbia e indignazione collettiva per questa guerra senza fine e il sistematico degrado dell’esistenza umana a Gaza, ha calpestato i sentimenti popolari palestinesi e ha minacciato i dimostranti di punizione.
Hamas ha affermato in primo luogo che le manifestazioni erano contro Israele in quanto occupante, non contro di loro. Poi ha represso i dimostranti con la forza, li ha definiti traditori, divisivi e ha rilasciato una dichiarazione insieme ad altri gruppi che ha apertamente definito i manifestanti «individui sospetti» e «collaboratori» di Israele, accusandoli, curiosamente, di minare la posizione di Hamas nelle trattative sugli ostaggi. Fonti palestinesi hanno riferito anche che Hamas ha «rapito, torturato e assassinato» un dimostrante palestinese per reprimere le proteste.
Se Hamas riuscirà a soffocare questo sentimento collettivo è ancora da vedere. Ma la sua pesante risposta non fa che confermare il significato di queste mobilitazioni spontanee, vale a dire che le domande sulla sua condotta politica e militare a Gaza non possono essere messe a tacere o rimandate all’infinito, ma anche che i palestinesi di Gaza, che soffrono da tempo, vogliono partecipare alla definizione del loro futuro politico. Quando è in gioco la sopravvivenza nazionale, una resa dei conti politica e storica è più urgente che mai.
Le proteste a Gaza sono dovute principalmente a tre motivi: innanzitutto, il genocidio israeliano in corso e i recenti piani di espulsione di Stati uniti e Israele, il fallimento sistematico di Hamas nel proteggere i civili palestinesi durante questa guerra e le aspirazioni incrollabili dei palestinesi a vivere in dignità e libertà.
Dal 7 ottobre, i palestinesi sono intrappolati in un girone infernale creato da Israele. Nessuno sembra in grado di fermare la distruzione della loro società. I palestinesi hanno resistito ben oltre la normale tolleranza umana, sono stati sfollati più volte senza un posto sicuro dove andare e ora vivono tra macerie e fosse comuni in condizioni brutali inadatte all’esistenza umana.
I numeri sono impressionanti. Almeno cinquantamila palestinesi (per lo più civili) sono già stati uccisi direttamente dalla guerra di Israele, oltre il 2 percento della popolazione di Gaza, a un ritmo e a una portata senza precedenti nel ventunesimo secolo, in una delle aree più densamente popolate del mondo, dove metà della popolazione è composta da bambini.
Due milioni di palestinesi non hanno accesso regolare ad acqua pulita o cibo e affrontano alti livelli di insicurezza alimentare. Quelli che sopravvivono trascorrono la maggior parte delle loro ore di veglia cercando di garantirsi le basilari necessità, poiché vivono in tende e campi umanitari improvvisati che vengono regolarmente bombardati da Israele. Ogni giorno è una lotta per rimanere in vita.
Il novantadue percento delle unità abitative a Gaza sono state distrutte o danneggiate. Intere città e campi profughi sono stati cancellati dalla mappa. La maggior parte dei bambini in età scolare non ha accesso all’istruzione formale, con 2.308 strutture educative distrutte. Il sistema educativo ha cessato di esistere e tutte le università sono state distrutte. Solo pochissimi ospedali sono pienamente funzionanti, molti sono stati completamente distrutti. Un milione di bambini ha bisogno di sostegno per la salute mentale e rimarrà segnato dalla guerra in modo permanente.
Con i bombardamenti incessanti e indiscriminati, Israele ha deliberatamente distrutto la società palestinese a Gaza e l’ha resa inabitabile. E del resto era questo il piano: creare le condizioni per la fuga e l’espulsione di massa dei palestinesi e per l’occupazione israeliana permanente.
Il genocidio è la deliberata conseguenza della guerra di Israele. È la vendetta di Israele per il 7 ottobre. Lo si può vedere nel comportamento dei soldati israeliani e sentirlo nelle canzoni israeliane a proposito dei villaggi in fiamme e dell’annientamento dei palestinesi: tutti, non solo Hamas. Non esistono dosi di censura, negazionismo e silenzio da parte di Israele e dei suoi alleati (come la Bbc) che possono cancellare la realtà del genocidio.
Questa è la ragione principale per cui i palestinesi stanno protestando. Non ne possono più delle uccisioni di massa e di essere un popolo sacrificabile e pedine negli schemi coloniali e nelle fantasie imperiali degli altri.
Il militarismo di Hamas
I dimostranti di Gaza hanno inoltre identificato Hamas come un problema e chiedono che lasci la Striscia. Per coloro che sono fuori Gaza e non hanno vissuto questo genocidio, questa richiesta potrebbe sembrare strana: come possono i palestinesi essere così apertamente critici e diffidenti nei confronti del principale gruppo di resistenza di Gaza? Dopotutto, la fuoriuscita di Hamas è ciò che Israele vuole come punizione per il 7 ottobre, così come lo fu il ritiro dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina da Beirut nel 1982.
Anche questa richiesta è un effetto della guerra (sebbene uno slogan simile sia stato scandito dai dimostranti a Gaza nell’agosto 2023). Il 7 ottobre ha lasciato i palestinesi totalmente esposti all’ira genocida di Israele, senza alcuna protezione per i civili a Gaza. Mentre i palestinesi hanno sopportato il peso della distruzione, le forze di Hamas si sono rifugiate nei tunnel costruiti sotto Gaza. La pratica di proteggere i combattenti ma non le persone è una chiara fonte di risentimento popolare contro Hamas.
Un altro esempio drammatico di strage di massa è quello avvenuto la scorsa settimana, quando Netanyahu ha violato l’accordo di cessate il fuoco e l’esercito israeliano ha ucciso oltre quattrocento civili palestinesi a Gaza, il più grande massacro di bambini dall’inizio della guerra avvenuto in un solo giorno. I manifestanti hanno così esposto dei cartelli con la scritta: «Il sangue dei nostri bambini non è a buon mercato».
E anche in questo caso è stata evidente la risposta inefficace di Hamas a un altro massacro israeliano. Ha sparato due razzi rudimentali su Tel Aviv che sono stati intercettati dall’Iron Dome. A far arrabbiare i palestinesi è il fatto che tali tattiche militari non hanno alcuna possibilità di fermare la guerra a Gaza. Sollevano anche molte domande sulla natura della resistenza militare di Hamas e sulla sua efficacia. I dimostranti hanno parlato apertamente del fallimento e dell’inutilità di tali tattiche di resistenza, le quali, anziché scoraggiare Israele, espongono ulteriormente i palestinesi alle punizioni.
Un altro problema per i dimostranti sono gli ostaggi israeliani ancora trattenuti a Gaza. Alla luce dell’esperienza avuta con l’accordo sul soldato Gilad Shalit, il calcolo di Hamas era che la presa di ostaggi avrebbe costretto Israele a negoziare, a togliere l’assedio a Gaza e a liberare tutti i prigionieri politici palestinesi. Ma quella scommessa è fallita. Netanyahu ha neutralizzato qualsiasi potenziale leva politica che gli ostaggi avrebbero potuto avere nell’influenzare il corso della guerra.
In realtà, è accaduto il contrario: Netanyahu ha usato gli ostaggi per prolungare la guerra. Ora fungono da pretesto principale per uccidere altri palestinesi, per puntare alla «vittoria totale» contro Hamas e per garantire che Gaza sia pacificata per le generazioni a venire. Per neutralizzare la leva politica degli ostaggi, Netanyahu ha affrontato l’opinione pubblica israeliana e la pressione dell’élite per raggiungere un accordo e porre fine alla guerra. Ma ci è riuscito e il suo governo è ora più sicuro che mai.
È ovvio che né i razzi di Hamas né gli ostaggi che detiene abbiano agito come meccanismo per alleviare l’occupazione o migliorare le condizioni a Gaza. Le massicce dosi di teatralità avvenute in occasione delle dannose cerimonie di rilascio degli ostaggi da parte di Hamas può nascondere il fatto che la guerra sia stata un completo disastro per i palestinesi. Quelle cerimonie, che Hamas ha sfruttato come una rozza dimostrazione di forza, sono diventate un altro pretesto per Israele per riprendere la distruzione di Gaza.
Arrestando migliaia di palestinesi dal 7 ottobre (a oggi in diecimila languono nelle prigioni israeliane), Israele ha preventivamente svuotato di valore reale lo scambio tra ostaggi e prigionieri. Infatti, dopo ogni scambio, Israele arresta ancora più palestinesi di quanti ne rilasci.
Come dimostrano i loro cori, i dimostranti palestinesi a Gaza hanno capito tutto questo e hanno assunto delle posizioni razionali sull’efficacia dell’indiscriminata resistenza militare contro Israele. Nelle macerie delle loro città e delle loro case, non vedono le decantate vittorie di Hamas, ma l’insensata distruzione dell’esistenza sociale a Gaza che richiederà decenni per essere riparata. Quello che chiedono è ogni possibile politica di emergenza urgentemente centrata sui loro bisogni e interessi.
Il diritto di vivere a Gaza
Infine, le proteste affermano qualcosa di fondamentale: il radicamento quotidiano della gente comune a Gaza, il chiaro desiderio di rimanere e ricostruire la propria patria devastata. I palestinesi vogliono che la guerra finisca in modo da avere la possibilità di rimettere insieme le proprie vite spezzate, per quanto questo sia difficile.
Sull’orlo dell’annientamento e dell’espulsione, solo l’azione collettiva e la solidarietà possono guarire la società palestinese e permettere di reagire alla nuova nakba. Reprimere o distorcere tutto ciò significa rinchiudere i palestinesi in formule politiche fallite, e mettere a rischio il futuro di Gaza.
Sebbene si tratti di una sfida apparentemente insormontabile, adesso molti palestinesi sono alla ricerca di nuove strategie di emancipazione anticolonialiste in grado di salvaguardare il loro futuro in Palestina, di prendere le distanze dall’esaurimento di una politica e dal settarismo delle attuali leadership, sia a Gaza che in Cisgiordania.
Fonte https://jacobinitalia.it/palestinesi-in-lotta-contro-genocidio-e-hamas/