Torneranno i prati [spoiler]

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La trincea è buia, fredda, umida. Ci si sta accalcati, appiccicati ai propri umori, agli odori, ai sudori. C’è pochissimo spazio. Nella trincea si sta immobili, ci si ravviva solo quando arriva la posta. C’è il soldato che non ne riceve mai, di posta. Perché non ha più una moglie che lo aspetta a casa. Perché l’unica volta che è tornato, l’ha trovata a letto con un altro. Oppure quando arriva il rancio. Rumore di gamelle e una brodaglia scura, nella quale galleggiano come stracci pochi pezzi di carne sconosciuta, fette di pane duro, che sembra fatto con la segatura.
Non c’è spazio per il cameratismo nel film di Olmi. Non si vedono le foto di donnine poco vestite appiccicate alla branda, non ci si scambia pacche sulle spalle, non si sorride mai. Tutta la vicenda del film si svolge in una notte. La notte in cui sulla trincea, uno sperduto avamposto di alta montagna, piove un ordine insensato. Bisogna fare arrivare il filo del telefono fino ad un punto di osservazione situato una ventina di metri fuori dalla trincea. Strisciare sulla neve, nella notte illuminata dai bengala che preparano l’imminente attacco nemico, completamente allo scoperto, per portare il filo del telefono al punto di osservazione e da li, comunicare al comando quel che si vede.
Non ci sono atti di eroismo nel film di Olmi. Continua a leggere